La partita di Villa Campari si è chiusa con un inconcludente 1 a 1: Berlusconi incassa la rinuncia alle elezioni e Bossi tiene fuori dalla coalizione l’UDC che, comunque, non si dice svilita, poiché Cesa, il segretario, prima della conclusione del vertice a tre (solo Tremonti era presente, nessun’altro) aveva diramato un comunicato per dire che i democratici di centro non avevano alcuna intensione di entrare nel governo (da piccolo, al mio paese, si diceva “chiamarsi fuori, prima di non essere chiamati”). I finiani affermano che il pareggio di ieri per loro è una vittoria e commentano “non possono sostituirci”, facendo intendere che la panchina del leader è corta, molto corta e loro sono, obtorto collo, indispensabili. Di fatto “tanto rumore per nulla”. Le cose stanno esattamente come prima e non sono pochi coloro che affermano che la realtà delle cose è che il vertice tripartito, altrimenti inutile, in verità è servito per discutere di ben altro: la candidatura doppia Pdl-Lega per le prossime elezioni “naturali”, con l’idea di mandare Tremonti a palazzo Chigi e Berlusconi sul Colle. A parte questa idea un po’ (ma forse non troppo) fantapolitica (ma allora perché sia Lupi che Cota, in tv, si affrettano a smentirla?) e nonostante l’invito della Marcegaglia ad operare per le riforme vere, i fatti dimostrano che un governo azzoppato e sotto scacco, dovrà, fin dalla ripresa di settembre, mettere mano ad una serie di passaggi riformatori che, nella prima parte del suo mandato e con una maggioranza schiacciante, sono stati solo annunciati. A Berlusconi preme la riforma della giustizia e a Bossi quella sul federalismo. Circa gli alti punti (rilancio economico e Sud), sembrano quisquilie da cui occuparsi a tempo perso o come dei semplici “sine cura”. Ma torniamo a questo teatrino politico agostiano e divertiamoci (si fa per dire) a vedere cosa fanno tutti gli altri. Il Pd tira un sospiro perché non dovrà gareggiare in una tornata elettorale che sarebbe stata un ulteriore bagno di sangue e continua, imperterrito, con ideazioni a tutto campo, privi di sostanza e di strategia e con dichiarazioni le più dissonanti e contraddittorie fra presidente e segretario, vice ed ex. Nichi Vendola prosegue indefettibile le sue primarie in “solitaria” e l’Idv, con i suo ringhi minacciosi e vuoti all’indirizzo del berlusconismo. Fini, che continua a non chiarire se è furbo o fesso nel caso Tulliani, si prepara per Mirabello, dove certamente non fonderà un nuovo partito e parlerà in generale di questione morale, cercando parole acconce per non passare per un ipocrita moralista. E rametti d’ulivo gli vengono offerti dal Pdl, che fa passare la notizia di un rinvio della seduta, fissata il 17 settembre, dei probiviri o fa capire che se pure vi sarà, deliberà in modo molto clemente ed assolutorio. Un tutto questo vociare resta zitto Rutelli, in attesa delle deliberazioni provenienti dal meeting di Rimini, per creare ad hoc una politica che ne catturi il maggior numero. In politica l’ellissi statu quo, viene utilizzata soprattutto per indicare, negativamente, una situazione di immobilismo gattopardiano, il più delle volte originata da convenienze di compromesso tra le parti. Ed in definitiva tutta il mulinare di proclami, voci, muscoli ed insulti di questo mese d’agosto, non ha fatto altro che dare la sensazione di un cambiamento, dietro l’intenzione di non cambiare proprio nulla. Nel Latino diplomatico di diciannovesimo secolo, si usava una frase: in bellum ante erant di ricerca di quo di statu, indicante il ritiro delle truppe nemiche e il ripristino della direzione prebellica. E’ quanto è accaduto in questo mese di Sol Leone: una guerra finta e senza vittime, per garantire alla politica la sua continuazione. Pertanto ci fa sorridere, ma non ci meraviglia, che stamani quel genio di Bersani annunci la creazione di “un nuovo Ulivo” e di una “alleanza democratica” contro il premier Silvio Berlusconi, con la quale presentarsi alle prossime elezioni. Due giorni fa, in una lunga lettera al Corriere della Sera, l’ex segretario del Pd Walter Veltroni aveva bocciato l’ipotesi di una “santa alleanza” per sconfiggere il centrodestra, spiegando che “le uniche alleanze credibili” sono quelle “fondate su una reale convergenza programmatica e politica”. Ma la patente contraddizione fa parte del gioco. Un gioco che deve solo garantire, anche nell’opposizione, una giustificazione ad esistere, in uno status quo in cui, vedrete, a tempo debito rispunterà anche Prodi.
Carlo Di Stanislao
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