Già nel gennaio scorso, dopo il primo turno alle presidenziali, si era capito che il sogno indipendentista dell’Ucraina era ormai tramontato. E ieri, ai festeggiamenti per il diciannovesimo anniversario dell’indipendenza ucraina (24 agosto 1991), il governo si è dovuto confrontare con un Paese che crede sempre meno alle possibilità di riforma e soprattutto che ritiene sempre più il suo presidente il rappresentante di interessi personali e non nazionali. Tutto questo confermato da un’inchiesta resa nota dal Razumkov Center di Kiev, specializzato nelle indagini politiche e sociologiche, che segnala una perdita di circa il 10% dei consensi del presidente Viktor Yanukovich. Se a maggio il 39,7% degli ucraini supportava il capo dello stato pienamente, il 32,2% lo sosteneva in parte (totale 71,9%) e il 23% riteneva negativo il lavoro di Yanukovich, ad agosto la percentuale degli scontenti è aumentata di oltre il 10% (33,3%) ed è diminuito il numero di coloro che lo sostengono. Il numero degli ucraini che sostiene Yanukovich senza se e senza ma è quasi dimezzata: dal 39,7% al 22,5%. Sono aumentati invece quelli lo appoggiano solo in parte, dal 32,2% al 38,7. Il totale dei sostenitori arriva dunque a 61,2%, facendo segnare un calo complessivo del 10,7%. Stando a questi numeri, il 50,4% degli ucraini ritiene che il paese stia andando nella direzione sbagliata, solo il 25,6% in quella giusta. Un vero e proprio tracollo. Diciannove anni fa , il parlamento ucraino, dichiarò l’indipendenza da Mosca. La decisione fu confermata in un referendum popolare che si svolse il primo dicembre dello stesso anno, in cui furono oltre il 90% gli ucraini che si espressero per il distacco dal Cremlino. Oggi la situazione di crisi è tale che si vorrebbe tornare indietro. La decisione del ’91, ci dice l’esporto di problemi sovietici del Corriere Fabrizio Dragosei, fu strettamente legata allo scioglimento dell’Urss – deciso dai leader delle tre maggiori repubbliche, cioè Russia, Bielorussia e Ucraina, ma il Paese, più degli altri due, ha dovuto affrontare numerosi problemi economici, tali che oggi la rivoluzione arancione sembra essere svanita nel nulla. L’Ucraina era dapprima rimasta nelle mani di ex sovietici come il presidente, Leonid Kucma, l’allora primo ministro, Viktor Yanukovic. Poi, nel 2004 ci fu la famosa rivoluzione arancione che accese tante speranze negli ucraini. Molti pensarono che il Paese fosse veramente ad una svolta clamorosa. Ma la politica ucraina di questi anni è di nuovo sprofondata nella palude delle fazioni, della lotta senza sbocco, del farsi i dispetti a vicenda, del dividersi e contro-dividersi, per cui i grandi alleati di quei giorni di dicembre – Viktor Yushchenko e Yulia Tymoshenko – che sembravano avviati a traghettare il Paese verso una vera democrazia e verso lo sviluppo economico, iniziarono invece ben presto a litigare, trascinando la nazione verso l’assoluto sconforto. Tuttavia, va ricordato, che l’Ucraina è e resta un grande “cuscinetto” tra l’Unione Europea e la Russia ed attraverso il suo territorio passa uno dei principali gasdotti che porta metano dalla Siberia fino nel cuore dell’Europa. Inoltre è anche un Paese che ha forte interesse economico, perché ci sono ancora grandi industrie siderurgiche e anche alcune industrie ex militari o ex belliche di punta, che potrebbero avere un ruolo sia in Russia che nell’Unione Europea. Per questo fa gola a molti e tutti se ne occupano. In definitiva, L’Ucraina, come altri paesi dell’ex-URSS, sconta la tensione derivante dalla volontà della Russia di mantenere la propria influenza e in certi casi la sovranità su questi popoli ed il loro desiderio di affrancarsi da Mosca ed entrare a far parte, nel caso dell’Ucraina, di Unione Europea e Nato. Le tensioni in Moldova/Transnistria e nell’area del Caucaso (Georgia, Ossezia, Inguscezia, Abkhazia) che da anni sono teatro di conflitti e cruente rappresaglie quando non di guerra vera e propria fra Russia e governi e/o indipendentisti locali (spesso sostenuti dagli USA), non di rado riguardano anche l’Ucraina, poiché le unità militari navali della Russia sono ancora oggi di stanza nel porto di Sebastopoli, a fronte di un ingente contributo economico. Kiev, ad aprile, ha raggiunto un accordo con Mosca ottenendo uno sconto del 30% sul prezzo del gas in cambio di una proroga fino al 2042 della licenza alla marina russa per la base di Sebastopoli in Crimea ed il 15 agosto, ha rincarato il prezzo, chiedendo uno sconto ulteriore. L’Ucrainia, quindi, ha ancora un ruolo di grande peso e non solo nella politica dei paesi dell’ex Unione Sovietica. Ne è prova la vertenza gas dello scorso anno e la notizia, drammatica secondo la Coldiretti, di limitare le esportazioni di grano ed orzo ad un massimo di 3,5 milioni di tonnellate fino alla fine dell’anno, che ha immediamente fatto tornare a salire i prezzi del grano e delle altre materie prime, sui mercati internazionali. L’Ucraina, oltre ad essere il sesto esportatore mondiale di grano, con circa 21 milioni di tonnellate nelle scorso anno, e’ soprattutto il principale esportatore di orzo e la preoccupazione sull’andamento dei prezzi al consumo si estende dalla pane e pasta, sino alla birra. E paesi come l’Italia, L’Italia ‘ fortemente dipendenti dall’estero (noi importiamo circa 4 milioni di tonnellate di frumento tenero che coprono circa la metà del fabbisogno essenzialmente per la produzione di pane e biscotti ed esportiamo 2 milioni di tonnellate di grano duro), debbono guardare ai fatti di Ucraina e di Russia con grande preoccupazione. E mentre un ritorno dell’Ucraina nell’area russa è visto di buon grado dai cittadini del paese con sbocco sul Mar Nero (e naturalmente dalla Russia), l’evento è guardato con trepidazione da chi, come i nostri produttori, temono cartelli su materie prime alimentari e costo del gas.
Carlo Di Stanislao
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