Non amo Godard, o meglio non amo il suo cinema, lento, noioso e pedante, meno ispirato e leggibile di quello di Truffaut e meno elegante di quello di Rohmer. Pure lo considero un impareggiabile teorico del cinema moderno e contemporaneo. La Cineteca di Bologna ha appena curato l’uscita di un cofanetto, composto da due stupendi DVD ed un libro, contenente la superba lezione sul Cinema di Godard, intitolata “Histoire(s) du cinéma”, in cui si raccoglie l’intera serie, il corso incessante della storia (delle storie) del cinema cui si dedica e la passione e la riflessione dell’autore svizzero-francese, contrappuntata da un monologo interiore straordinario per densità e potere evocativo, recitato dallo stesso Godard, con immagini del cinema d’ogni epoca e d’ogni paese che si intrecciano e si inseguono, in un’opera poderosa che è un saggio sul cinema condotto con gli strumenti stessi del cinema, un’autobiografia amorosa, un omaggio, un gesto critico, un poema epico e non-lineare, un esperimento di libera associazione. Soprattutto, l’espressione di uno spirito enciclopedico, motivato dall’amore, percorso d’ironia, intriso dalla malinconia per qualcosa che c’è stato (il cinema così come l’abbiamo conosciuto) e che non c’è più. Primo eroe della nouvelle vague, sperimentatore instancabile d’ogni forma della rappresentazione audiovisiva, presentava, nel 1988, la sua serie video Histoire(s) du cinéma, che nei dieci anni successivi avrebbe prodotto quattro capitoli, ciascuno diviso in due parti. La serie, programmata da numerosi canali televisivi europei, è immediatamente divenuta oggetto di culto cinefilo e critico, ed è stata negli anni oggetto di installazioni in varie esposizioni e musei. Nel libro, inoltre, sono raccolti migliori testi di studiosi francesi e italiani che hanno affrontato la complessa sfida posta dalle Histoire(s): da Jean Douchet ad Alberto Farassino, da André Labarthe a Jacques Aumont. Con la trascrizione dell’incontro di Jean-Luc Godard con il pubblico bolognese, organizzato dalla Cineteca di Bologna nel luglio 1998, a cura di Rinaldo Censi. A Jean Luc Godard, “compositore del cinema”, la cineteca bolognese ha dedicato una intera retrospettiva, apertasi a febbraio e conclusasi a luglio scorso, il cui vasto programma può essere letto su: http://www.cinetecadibologna.it/classici_jean_luc_godard/ev/programmazione. Ma voglio tornare (e ne chiedo scusa al lettore), sul fatto Godard-Romher-Truffaut, ricordando che diversamente da Rohmer ma anche da Truffaut, Godard ha un percorso artistico molto più irregolar e già nei suoi primi articoli cinematografici esprime una sua personale visione del cinema fatta anche di un certo gusto per la provocazione e il paradosso. Laddove André Bazin nei suoi scritti aderisce al reale, Godard dichiarava che il cinema era “L’espressione dei bei sentimenti”. Mentre il cinema di Godard è prettamente poetico in quanto non è legato ad alcuna struttura narrativa, quello di Truffaut è pura prosa, è struttura narrativa ben leggibile a tutti i livelli. A questo proposito è fondamentale il rapporto tra Truffaut e la letteratura: basta pensare al film “I quattrocento colpi” tratto dal romanzo di Henry James e a “Jules e Jim” tratto dal primo romanzo dello scrittore settantaquattrenne Rochet. Questo regista instaurava un rapporto di passione con la letteratura, creando un ciclo continuo di film dove il protagonista era sempre lo stesso: Jeanpierre Leaud. Si tratta di opere in serie nelle quali si sviluppa crescendo e invecchiando una sola vita: quella dello stesso autore. Il mondo che ci presenta Truffaut, in modo totalmente opposto a Godard, nei suoi film appare privo di angoscia esistenziale mentre è presente invece, un senso struggente di sconfitta specialmente nelle sue grandi tematiche di fondo: la condizione infantile, la donna e l’amore, raccontare se stesso. Certamente Godard e Truffaut, ma anche Malle, Rohmer e Chabrol, hanno contribuito a quel percorso che dal neorealismo, ha prodotto il cambiamento autoriale detto “nouvelle vague”, che gran parte della cinematografia occidentale, con varie influenze anche nei paesi socialisti, ha impiegato nel tentativo di contrastare il cinema di puro consumo ma anche retorico, con eccellenti risultati e con una funzione critica notevolmente importante. Questo nuovo cinema si è ancorato esclusivamente alla realtà concreta per rappresentarla in maniera critica e mettendone in discussione le prassi cinematografiche precedenti. Tuttavia Godard lo ha teorizzato, Truffaut e Rohmer lo hanno “fatto”, sullo schermo.
Carlo Di Stanislao
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