Anche quest’anno ritorna, dal 4 all’11 settembre, la IX edizione della manifestazione di turismo sportivo “Settembre andiamo, è tempo di migrare”, organizzata dall’Unione Sportiva Acli lungo le vie verdi della transumanza e, in particolare, del Regio Tratturo che da Pescasseroli scende a Lucera, nel Tavoliere.L’itinerario, in sette tappe, attraversa le province dell’Aquila, Isernia, Campobasso, Benevento, Avellino e Foggia, per un totale di 170 chilometri, che i partecipanti percorreranno in bicicletta o a cavallo. Con questa iniziativa si vuole far conoscere e valorizzare i beni ambientali, paesaggistici e archeologici che l’antica civiltà della transumanza ha generato nei secoli, soprattutto in Abruzzo, Molise, Campania e Puglia. Una particolare attenzione sarà posta per riscoprire la cultura e le tradizioni delle comunità incontrate durante il percorso. L’iniziativa, quest’anno, è promossa all’insegna della solidarietà verso le popolazioni aquilane colpite dal sisma del 6 aprile 2009 e del rilancio delle attività di sport ecologico e di turismo responsabile nelle località ricadenti nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise che, a causa del terremoto, sono state alquanto disertate dai turisti.
La manifestazione s’inaugura sabato 4 settembre, alle 10, presso il Cinema “Rinascimento” di Scanno, alla presenza del sindaco di Pescasseroli, Nunzio Finamore, dell’assessore al Turismo, Ernesto Paolo Alba, e del presidente del Parco Nazionale d’Abruzzo, Giuseppe Rossi, con la proiezione del film “Uomini e lupi”, di Giuseppe De Santis. Lo presenterà Antonio Bini, infaticabile operatore culturale, che nel 2008 pubblicò per la rivista D’ABRUZZO (n. 81/2008) una ricerca sul film, girato nel 1956 interamente in Abruzzo, tra Scanno e Pescasseroli. Particolarmente attesa è la presenza dell’attore Euro Teodori, che nel film recitò la parte del giovane Amerigo. “Si tratta di un ritorno a Pescasseroli dopo oltre cinquant’anni; un ritorno che mi emoziona profondamente, essendo rimasto sempre legato al film ed ai luoghi in cui fu girato”, ha dichiarato l’attore. Al termine della proiezione è prevista una comunicazione sul percorso, per favorire il riconoscimento da parte dell’UNESCO della civiltà della transumanza. Seguirà una visita ai luoghi in cui il film fu girato. Nella mattinata e nel primo pomeriggio arriveranno da varie parte d’Italia i cavalieri (una quarantina) che seguiranno l’itinerario sulle tracce dell’antico tratturo.
La proiezione del film, che viene opportunamente contestualizzata nella manifestazione, merita qualche breve riflessione, considerato il lungo tempo trascorso da quando furono fatte le riprese. In Abruzzo “Uomini e lupi” sembra essere stato dimenticato, eppure gli esterni furono interamente girati nella regione, appunto tra Scanno e Pescasseroli, e alcune scene anche a Roccaraso. Ma sopra tutto all’Abruzzo si riferisce l’intera storia, incentrata sui “lupari”, ossia i cacciatori di lupi oggi figure ormai scomparse, inseriti nello scenario del mondo pastorale di allora, peraltro con un cast di grande spessore. L’Archivio di Rai Uno ha definito il film “dramma intenso e selvaggio ambientato tra le montagne abruzzesi e interpretato da un gruppo di attori di rilievo, fra cui spiccano il giovane Yves Montand e l’affascinante Silvana Mangano”. In occasione del cinquantesimo anniversario dell’uscita nelle sale cinematografiche (2007), “Uomini e lupi” è stato ricordato dallo storico Museo Nazionale della Montagna di Torino – sorto alla fine dell’800, parallelamente al CAI – che ha dedicato al film due settimane di programmazione, e dalla Fondazione DiversoInverso, presso il teatro “Pagani” di Monterubbiano, nelle Marche. In precedenza è stato proiettato in rassegne cinematografiche a Tolosa, La Rochelle e Boston. Il film uscì anche in Francia, Germania, USA e Messico.
Il film si inserisce nel Neorealimo, straordinaria stagione del cinema italiano, alla quale Giuseppe De Santis, indimenticato regista di “Riso Amaro” (1949), contribuirà attraverso un’analisi rigorosa delle forze sociali, con una presa diretta della realtà umana, coinvolgendo spesso nelle riprese gente del luogo, come avvenne anche nel caso di “Uomini e lupi”, con contadini e pastori di Scanno e Pescasseroli. “Uomini e lupi” è stato giustamente definito un film fuori dal tempo. L’ambiente aspro e difficile di un povero paese della montagna abruzzese, ribattezzato Vischio, la neve e l’ansia della popolazione per la presenza dei lupi, che costituivano un pericolo per le greggi, rappresentano il contesto in cui era collocata la figura del luparo, anch’egli affamato come i lupi che cacciava, attratto dalle taglie poste su ogni capo ucciso. La lavorazione del film risentì delle eccezionali condizioni atmosferiche di quell’inverno, nel 1956, ancor oggi ricordato per le eccezionali nevicate, che rese più difficoltose e complicate molte scene.
L’impostazione che Giuseppe De Santis intendeva conferire al film risentì dei contrasti emersi tra il regista e la produzione italo-francese, la quale impose un taglio di circa diciotto minuti, per conferire al film il dinamismo proprio di una pellicola d’azione, tipo western, secondo una logica di taglio squisitamente commerciale. La Titanus operò i tagli che riteneva necessari e De Santis prese le distanze dall’opera, abbandonando la fase del montaggio della pellicola e denunciando sui giornali che non si considerava l’autore del film. Queste vicende, seguite dalla stampa nazionale, ne ritardarono l’uscita nelle sale cinematografiche. La prima proiezione pubblica avvenne a Roma il 2 febbraio 1957. Pur con le tutte vicende che lo condizionarono, il film rimane un capolavoro del cinema italiano e un irripetibile documento sulle sofferte condizioni di vita della nostra gente e sui paesaggi della nostra montagna, che s’inserisce ancor oggi nel secolare immaginario selvaggio e aspro, ma al tempo stesso umano, dell’Abruzzo e della sua gente.
Giuseppe De Santis nasce nel 1917 a Fondi. Negli anni Trenta, studente iscritto alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’università di Roma, presto abbandona gli studi per seguire la sua vocazione cinematografica, dapprima dal 1940 collaborando – con Carlo Lizzani, Gianni Puccini e Antonio Pietrangeli – al quindicinale “Cinema”, contribuendo – come ha scritto Gianni Rondolino in Storia del Cinema, UTET – a farne una “rivista che durante il fascismo riuscì a svolgere, tra le righe, un’opposizione sempre più chiara e significativa alla politica culturale del regime” e nel dopoguerra a rinnovare la cinematografia italiana. Diplomatosi brillantemente nel 1941 presso il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, frequenta altri giovani fuoriusciti dal fascismo sociale di Giuseppe Bottai (Giaime Pintor, Mario Alicata, Antonello Trombadori e Pietro Ingrao) per entrare nell’antifascismo ed approdare al comunismo. Dopo alcune collaborazioni importanti accanto a registi di valore – come Luchino Visconti in Ossessione (di cui scrisse la sceneggiatura) e Roberto Rossellini in Desiderio – nel 1948 realizza il primo lungometraggio Caccia tragica, dove sia i temi sociali delle lotte contadine che il ritmo del dramma popolare, dà l’avvio al Neorealismo.
Con il successivo film Riso amaro – una storia sulla dura condizione delle mondine, in cui s’intrecciano analisi politica, lotta di classe e vicende private dei protagonisti – De Santis raggiunge maturità e successo, tanto che ottiene, insieme al co-autore Carlo Lizzani, la nomination per l’Oscar come miglior soggetto. Ancora con tematiche sociali, sullo sfondo dei conflitti in una società contadina ancora primitiva, ambienta nel suo paese natale Non c’è pace tra gli ulivi (1950). Seguono Roma ore 11 (1952), ispirato a un fatto di cronaca, e Un marito per Anna Zaccheo (1953), ambientato in una Napoli popolare. Con Giorni d’amore (1954), vincitore del Nastro d’Argento, e Uomini e lupi (1956) torna ai suoi temi più congeniali. Con La strada lunga un anno (1958), candidato al premio Oscar come miglior film straniero e vincitore del Golden Globe, inizia la sua crisi di regista, tanto che i suoi tre ultimi film – La garçonnière (1960), Italiani brava gente (1964) e Un apprezzato professionista di sicuro avvenire (1972) – non sono minimamente paragonabili ai lavori precedenti. Nel 1995, alla Mostra del Cinema di Venezia, gli viene conferito il Leone d’Oro alla carriera. Giuseppe De Santis muore a Roma nel 1997.
Scrive Gian Piero Brunetta in Cent’anni di cinema italiano, Laterza: “Dei registi del dopoguerra [Giuseppe De Santis] è uno di quelli che sente, come una passione totalizzante, il proprio investimento ideologico, che usa in maniera sperimentale la macchina da presa e si assume grandi rischi ad ogni nuovo film. Regista più dotato di respiro e vocazione al grande racconto epicizzante, De Santis è però anche attento alle vicende individuali, al senso di disperazione e solitudine dei singoli. Fa propria la lezione del cinema sovietico, preoccupato di rispettare i dettami del realismo socialista senza comprimere la propria naturale vocazione narrativa. (…) Tra tutti i personaggi che possiamo idealmente far rientrare nella colonia dei padri fondatori del nuovo cinema del dopoguerra, per ragioni diverse e mai chiarite fino in fondo, con un’azione centripeta e schiacciante, il sistema produttivo, quello critico e il pubblico, ne decretano l’espulsione senza offrirgli alcuna possibilità di rientrare, condannando la sua forte e generosa voce al silenzio progressivo e all’afasia”.
Forse, al riguardo, la causa è rinvenibile in quanto scrive Massimo Moscati, in Breve storia del cinema (Bompiani): “Giuseppe De Santis assume una posizione radicale: il Neorealismo è nato con l’anno zero, con la Resistenza. Opinione che colloca il movimento in un solco ideologico spesso occultato negli anni successivi. Queste le caratteristiche del neorealismo secondo De Santis: “L’analisi e l’esaltazione del mondo degli umili, dei poveri, gli stessi che hanno fatto la Resistenza in Italia e hanno inferto l’ultimo colpo al fascismo; senza la caduta del fascismo, senza la Resistenza, il Neorealismo non poteva nascere”. Inconfutabilmente De Santis, uno dei registi più dimenticati del Neorealismo, forse per la sua veemente politicizzazione, ricorda quanto sia importante la prospettiva storica, indissociabile dall’impulso creativo del movimento”. Concludendo, per l’Abruzzo resta la soddisfazione d’aver fornito al padre del Neorealismo il contesto ideale, ambientale e sociale, per girare “Uomini e lupi”, uno dei suoi film capolavoro, ancor oggi icastico documento delle condizioni estreme in cui versava la nostra gente di montagna e dei passi da gigante fatti dalla nostra regione, nei decenni successivi, per affrancarsi dalla povertà e dal sottosviluppo.
Infine, solo un accenno a molti altri registi che hanno scelto l’Abruzzo per ambientare e girare i loro film. Per brevità, cito solo i più noti e famosi: Ai piedi della montagna di Peter Del Monte (2002), Amici miei atto II di Mario Monicelli (1982), Autostop rosso sangue di Pasquale Festa Campanile (1970), Lo chiamavano Trinità di E.B. Clucher (1970), Fontamara di Carlo Lizzani (1980), Francesco di Liliana Cavani (1989), Il deserto dei Tartari di Valerio Zurlini (1976), Il nome della rosa di Jean Jacqes Annaud (1986), Il posto dell’anima di Riccardo Milani (2002), Il sole anche di notte di Paolo e Vittorio Taviani (1990), Il viaggio della sposa di Sergio Rubini (1997), King David di Bruce Beresford (1985), L’Angelo e il Cacciatore di Giancarlo Planta (2003), L’armata ritorna di Giancarlo Tovoli (1983), L’Orizzonte degli Eventi di Daniele Vicari (2004), Lady Hawke di Richard Donner (1985), La guerra degli Antò di Riccardo Milani (1999), La strada di Federico Fellini (1954), Liberi di Gianluca Tavarelli (2003), Milarepa di Liliana Cavani (1974), Pane e Tulipani di Silvio Soldini (2003), Parenti serpenti di Mario Monicelli (1993), Serafino di Pietro Germi (1968), Straziami, ma di baci saziami di Dino Risi (1968), Una pura formalità di Giuseppe Tornatore (1993), Via Paradiso di Luciano Odorisio (1988), Yado di Richard Fleischer (1985), Così è la vita di Aldo, Giovanni e Giacomo (1998). Questa sintesi delle pellicole girate sul territorio abruzzese vuole solo segnalare la forte prelazione dell’industria cinematografica mondiale per l’Abruzzo, specie interno e montano, dove trova paesaggi ed ambienti naturali e selvaggi, borghi e luoghi di grande suggestione, che fanno della regione un ideale set dove girare il grande cinema.
Goffredo Palmerini
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