L’edizione della Perdonanza che si è appena conclusa, la numero 716, è stata la prima vera edizione dell’era post terremoto. Dopo il basso profilo e gli eventi ridotti al minimo che avevano caratterizzato, per forza di cose, l’edizione 2009, quest’anno le istituzioni e i vari comitati organizzatori sono potuti tornare a una programmazione un po’ più ricca e articolata, nella quale, oltre agli appuntamenti religiosi, hanno trovato di nuovo spazio concerti, mostre, fiere e gare sportive.Uno degli spettacoli più interessanti è stato quello tenutosi Domenica 22 Agosto nella basilica di S. Maria di Collemaggio: la cantata per coro, orchestra e voce recitante Celestino V – un povero cristiano, con i testi curati da Angelo De Nicola e le musiche scritte e dirette da Stefano Fonzi ed eseguite dall’Orchestra Sinfonica Abruzzese e dal Coro Cappella Ars Musicalis.
Stefano Fonzi è un giovane compositore (è nato nel 1977) e direttore d’orchestra aquilano, già definito dalla critica “il vero erede musicale di Ennio Morricone”. Diplomatosi presso il conservatorio dell’Aquila “A. Casella” e specializzatosi a Boston, Fonzi ha maturato già diverse esperienze nel campo della composizione di colonne sonore per lungometraggi e di musiche per sigle e programmi radiofonici e televisivi, svolgendo anche l’attività di arrangiatore per diversi cantanti del panorama pop italiano.
Angelo De Nicola, giornalista e scrittore, è caposervizio del Messaggero ed autore di diversi saggi (tra i quali Presunto innocente, sul caso Perruzza, e Da Tragnone a Fidel Castro, gli eventi che sconvolsero L’Aquila) e di due romanzi, incentrati proprio sulla figura di Celestino V (La maschera di Celestino e La missione di Celestino).
La presentazione dello spettacolo scritto insieme a Stefano Fonzi si è rivelata un’ottima occasione per incontrarlo e rivolgergli alcune domande, sull’Aquila, la Perdonanza e, naturalmente, su Celestino.
Come e quando è iniziata la collaborazione fra lei e Stefano Fonzi, dalla quale è poi scaturita l’idea per la realizzazione del concerto “Celestino V. Un povero cristiano?”
«Ho avuto l’onore di collaborare con il maestro Stefano Fonzi già nel 2006 quando, nell’ambito del progetto “Note di cronaca” ideato del maestro Vittorio Antonellini, si scelse il caso del delitto di Balsorano. Anche in quell’occasione ho scritto per Fonzi i testi per il concerto che ha fatto da “apripista” a un’idea geniale che, infatti, ha avuto un enorme successo a Roma con il concerto in onore dei magistrati Falcone e Borsellino. Siamo convinti che anche nel caso di Celestino V, il cui messaggio è sempre attualissimo, si possa “bucare” il panorama nazionale».
Stefano Fonzi è autore di diverse colonne sonore per teatro, tv e cinema. Tali esperienze professionali, naturalmente, hanno influito anche sulla musica scritta per questo concerto, una musica dal respiro e dalle suggestioni filmiche. Secondo lei la figura e la parabola di Celestino V si presterebbero bene a trasposizioni cinematografiche o televisive?
«Sì, il timbro del maestro Fonzi richiama le atmosfere di Ennio Morricone. Un film o una fiction su Celestino V sarebbero fondamentali per lanciare il messaggio che, alla luce del sisma, è ancora più fondamentale per la rinascita dell’Aquila. Ma su questo obiettivo dovrebbe lavorare la città intera unendo le forze. Noi aquilani avremmo anche le credenziali giuste: solo che ognuno pensa per sé, anche dopo la tragedia che ci è capitata, e tali risultati non si raggiungeranno mai».
Nel testo da lei scritto è esplicitamente citato, sia nel titolo che nel corpo della narrazione, Ignazio Silone (“L’avventura di un povero cristiano”, ndr). In che misura la lettura siloniana di questo personaggio della storia della cristianità l’ha influenzata?
«Non a caso “L’avventura di un povero cristiano” è stata una fortunatissima trasposizione teatrale che fece il grande Teatro Stabile dell’Aquila nel 1969… Per me l’impostazione siloniana resta un faro. Mi verrebbe da dire che Celestino V era un “cristiano senza chiesa ed un socialista senza partito”. Silone è stato il primo ad intuire la valenza del messaggio celestiniano: le atmosfere dell’“Avventura di un povero cristiano” sono un passaggio fondamentale per chi vuole capire l’Eremita del Morrore. Silone fa dire a Fra’ Pietro: “Il popolo cristiano bada di più a quello che i preti o i frati fanno che a quello che essi dicono”. E’ di un’attualità sconvolgente.
Lei si occupa di Celestino V e della Perdonanza da molto tempo. Ricordiamo, ad esempio, il suo romanzo “La missione di Celestino”, pubblicato nel 2006, i cui proventi, fra l’altro, sono stati dati interamente in beneficenza. Quali sono le ragioni alla base di questo suo interesse per questo Papa?
«Guardi, a mio giudizio Celestino V è l’essenza dell’Aquila, la mia città che per me è anche una “madre”, che oggi è in gravi, gravissime condizioni. Questo “Gandhi del Duecento”, in una città neonata perché L’Aquila era nata solo una quarantina di anni prima, come fosse predestinata, lancia una vera e propria rivoluzione con la sua incoronazione (decentrata rispetto a Roma) e con la sua Bolla del Perdono. Questo “Martin Luther King dei suoi tempi” detta anche una sorta di ricetta che, infatti, lancia L’Aquila che diventa di lì a poco una metropoli, seconda città del Regno delle Due Sicilie dopo Napoli. Una ricetta ancora attuale. Prescindere da Celestino, oggi significa non ricostruire L’Aquila. Io dicevo: viva Celestino! Oggi lo urlo».
Lei ha definito più volte Celestino V il Gandhi e il Martin Luther King del Medioevo. E’ un paragone affascinante ma anche azzardato, vista la radicale diversità dei contesti storico-culturali nei quali ciascuno di questi personaggi visse ed operò. Inoltre non si può dire che Celestino V avesse le doti di un leader né che alla base del suo “messaggio” vi fossero intenti o obiettivi politici. Alla luce di quali affinità, dunque, può essere fatto questo paragone?
«Un “povero cristiano” che crea un Ordine (i Celestini: “Il più potente Ordine che la Chiesa ricordi”); che realizza opere ciclopiche (la basilica di Collemaggio ma anche l’Abbazia del Morrone); che inventa le cooperative sociali; che bonifica interi territori; che muove le folle; che da del tu ai sovrani dell’epoca; che compie, ultrasessantenne, un epico viaggio a piedi a Lione per convincere il Papa a riconoscere il suo Ordine… ebbene un uomo così non le sembra un leader? E non è un messaggio “politico” quello di spiazzare la Chiesa, che Celestino considera corrotta, e concedere l’indulgenza plenaria gratis per tutti e, dunque, anche per la povera gente che in quell’epoca non se la poteva permettere?».
Secondo lei perché un umile eremita semianalfabeta, che si era sempre tenuto lontano da intrighi e giochi politici di palazzo, fu eletto papa? Se, scegliendo lui, la Chiesa voleva apportare dei cambiamenti e delle novità al proprio interno non si spiega però come mai il successore di Celestino V fu poi Bonifacio VIII, il quale era notoriamente un uomo spregiudicato nonché un convinto assertore della superiorità dell’autorità papale su quella regia.
«Questo è un discorso storico difficile da analizzare, almeno per me che non sono attrezzato. Sappiamo che in quel momento la Chiesa vive un empasse. Il Conclave è bloccato da due anni nella guerra tra gli Orsini e i Colonna. C’è questa iniziativa del re Carlo d’Angiò di sollecitare l’Eremita del Morrone (che deve essere appunto un leader carismatico, o no?), a scrivere un’accorata lettera al Conclave che si trova a Perugia dopo che era dovuto fuggire dall’ira dei romani. Il cardinale anziano, Latino Malabranca, resta folgorato da questa lettera. Se si crede, è stato lo Spirito Santo ad “illuminare” i cardinali. Realisticamente deve essere stata pensata come una soluzione ponte, in attesa di chiarire gli equilibri mentre il Cardinale Caetani già tramava fino poi a diventare finalmente Papa col nome di Bonifacio VIII, come compromesso tra gli Orsini e i Colonna. Un piano che Celestino manda all’aria con le sue clamorose dimissioni. Non ci sta a fare il fantoccio. Ma le sue dimissioni “salvano anche l’unità della Chiesa”: non lo dico io, ma Papa Paolo VI».
Parliamo un po’ della Perdonanza. E’ la festa religiosa più importante che ci sia all’Aquila e ad essa gli aquilani sono molto legati. Si ha l’impressione, però, che più che appartenere all’intera municipalità, la Perdonanza sia sempre stata, e lo sia ancora, oggetto di “contesa” fra vari segmenti della cittadinanza e, soprattutto, della politica. Vi è ancora la tendenza, insomma, a volerla strumentalizzare per altri scopi. Perché?
«La classe dirigente, mediamente fallita e fallimentare, che da anni governa la città, con la Perdonanza appare in tutto il suo pressappochismo. Sicché la manifestazione finisce col diventare il cortile di scontro di patetici guelfi e ghibellini. Non c’è un progetto, non c’è un’idea, non c’è una mission. Poco più che una sagra: una grande sagra ma pur sempre una sagra. L’apocalisse del terremoto, col passaggio di Papa Benedetto XVI sotto la Porta Santa di Collemaggio e le sue parole di “riabilitazione” di Celestino V a Sulmona il 4 luglio scorso (“Un gesto di coraggio”, altro che vile), potevano segnare una grandissima occasione il rilancio. Questa Perdonanza appena conclusa, che sarà invece ricordata come quella dei tafferugli e delle carriole che sfilano nel corteo, è stata un’altra grande occasione persa. Purtroppo».
L’essenza e lo spirito del messaggio celestiniano consistettero nel mettere al primo posto non i potenti ma gli umili, i diseredati, i poveri. Lei ritiene che, appunto valorizzandone maggiormente l’aspetto sociale rispetto a quello prettamente spirituale, oggi anche i non credenti possano riconoscersi nella Perdonanza?
«La Perdonanza, pur incentrata su uno dei principi cardine del Cristianesimo, il perdono, è una manifestazione di grande valenza civica. E’ stato Celestino V ad affidare la Bolla del Perdono alla municipalità, temendo ritorsioni da parte della Chiesa, come infatti ci furono visto che Bonifacio VIII tentò di impadronirsi del privilegio per poterlo distruggere. Da allora, il popolo aquilano è il custode di un atto così profondamente cristiano. E il perdono è l’anticamera della pace. Se due persone litigano ma non si perdonano vicendevolmente, la pace non la faranno mai. Se amplifichiamo questo concetto apparentemente banale, capiamo la valenza universale, non soltanto cristiana, del messaggio celestiniano. Viva Celestino».
Roberto Ciuffini
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