A 18 mesi dal catastrofico terremoto di L’Aquila del 6 aprile 2009 (ore 3:32 AM; Mw=6.3; 308 morti) l’unica lezione impartita da quel drammatico evento non sembra concentrata sulle politiche di prevenzione e mitigazione degli effetti delle catastrofi naturali come avviene in tutti i Paesi civili del mondo (cf. Nuova Zelanda). Bensì sull’incredibile, limitata e sterile discussione polemica della previsione a breve termine grazie ai noti fenomeni precursori. Senza contare le scene mai filmate di politici ed amministratori locali che si arrovellano il cervello nell’interpretazione dei dati probabilistici (centesimali se non millesimali) acquisiti, per cercare di capire il “dove” e il “quando” colpirà il prossimo evento catastrofico. Politico più che naturale in Italia. Panacea di tutti i mali per le evacuazioni di massa, è naturalmente la previsione dei terremoti! Problema certo affascinante, stimolante e interessante ma che tutta la comunità scientifica internazionale ritiene ancora lungi da una soluzione positiva anche parziale. “I terremoti non si possono prevedere!”, è la verità della Scienza in un documento inequivocabile firmato da migliaia di ricercatori e scienziati (www.mi.ingv.it/open_letter/) scesi in campo da 100 Paesi di cinque continenti (www.mi.ingv.it/open_letter/archive.php) per far capire alla gente come stanno davvero le cose. La Natura consiglia di non prendere lucciole per lanterne sismiche o vulcaniche (per la cronaca, le polveri del Sahara sono altrettanto nefaste per i turboreattori degli aerei!). Queste firme dimostrano come la comunità scientifica internazionale, da sempre impegnata al servizio della società per l’identificazione e la riduzione dei rischi naturali, sia unita nell’affermare l’impossibilità di prevedere un terremoto nel breve termine in Italia come in ogni altra parte del mondo. L’appello è stato già appoggiato dalla Società Sismologica Americana, da quella Canadese e dal Centro Sismologico Euro-Mediterraneo (www.emsc-csem.org/Doc/Laquila_indictment_EMSC_Support.pdf). L’elevata qualità e produttività degli scienziati italiani è dimostrata dal fatto che le nostre Università (con l’Ingv, la terza istituzione mondiale nel campo delle geoscienze, sia per numero di pubblicazioni sia per numero di citazioni) producono buona scienza. Queste graduatorie sono consultabili da chiunque, a testimonianza della solida reputazione scientifica internazionale di cui godono i nostri ricercatori. L’Ingv rappresenta nei fatti una realtà di assoluta eccellenza nel campo della ricerca pubblica italiana. Primato che è, a sua volta, frutto di una rigida selezione del personale di ricerca. Se l’opinione pubblica è davvero spaccata sulla “previsione dei terremoti”, se in questo Bel Paese non si entra più nel merito delle questioni, ma ci si schiera come tifosi o talvolta come “hooligans” contro le persone, favorendo il caos più totale senza risolvere i problemi della gente in fatto di abitazioni a prova di terremoto, di evento vulcanico o idrogeologico, chi di dovere si assuma le proprie responsabilità (o si dimetta) prima della prossima tragedia. Oggi, di fronte alla disinformazione scientifica, è proprio il caso di dire: non abbiate paura della Natura che si manifesta nei terremoti, negli sciami sismici, nei vulcani (www.emsc-csem.org). Abbiate paura piuttosto di chi, per timore di finire al fresco, magari in assenza di leggi idonee, non fa il proprio dovere etico al servizio dei cittadini: cioè, mettere in sicurezza le nostre case e città dagli eventi distruttivi del futuro. Come? Si cominci con l’ingabbiare gli edifici con il filo d’acciaio per evitare che i muri e i cornicioni finiscano sulle teste delle persone!
A pochissimi giorni dal ben più potente sisma (Mw= 7.2) che ha colpito la Nuova Zelanda, centrando il centro abitato di Christchurch (le case “traballano come gelatina”, secondo i testimoni, ma non ha provocato incidenti mortali: lasciamo al Lettore ogni commento, con tutte le dovute differenze scientifiche, sociologiche e politiche del caso! I media italiani hanno fatto notare la differenza?), crediamo che sia massimo dovere etico di un giornalista permettere all’opinione pubblica di formarsi la propria opinione sul lavoro degli scienziati, fornendo innanzitutto i fatti-atti scientifici come realmente accadono nel nostro Mondo non più al centro dell’Universo. I tempi della scienza non coincidono con quelli dei media e della politica. A volte non sappiamo veramente cosa sia questa “realtà”. Tutto sembra vero, relativo e opinabile. Da un certo punto di vista. Tutto sembra cioè possibile e praticabile per accontentare chi protesta. Anche introdurre lo stato di allerta (da non confondere con lo stato d’allarme che nessuno può dichiarare senza il conforto della Legge!) permanente in un’Italia dove si vive praticamente di emergenza.
Un’insegnante di scienze era solita introdurre le lezioni con la storiella della rana: se prendete una povera rana e la mettete in una pentola a bollire a fuoco lento, scoprirete che non se ne accorgerà e morirà. Ben altro comportamento manifesterà, se immersa direttamente nell’acqua bollente. Perché, non essendosi adattata all’aumento graduale della temperatura, salterà via! Noi Italiani, corriamo il rischio di condividere l’amara sorte della prima rana perché viviamo in un Paese ad altissimo rischio sismico, vulcanico e idro-geologico ma non ne siamo davvero consapevoli e coscienti. Le “iniezioni” a dosi industriali di buona e corretta divulgazione scientifica, servono a poco. Il paziente è già grave! Inoltre certa “politica del tirare a campare”, restia all’assunzione diretta di responsabilità (magari da imputare al povero scienziato di turno!) continua imperturbabile a fare orecchie da mercante, preferendo la demagogia all’azione, ossia all’adozione di progetti scientifici e tecnologici strategici pluriennali per la nostra stessa sopravvivenza. In un Paese civile occidentale del XXI Secolo come l’Italia, gli scienziati e i ricercatori, pubblici e privati, non dovrebbero essere costretti ad esercitare il sacrosanto diritto di sciopero. E passiamo ai fatti. Che il guscio più esterno della Terra (litosfera) sia frammentato in placche o zolle e che queste si muovano reciprocamente alla velocità di millimetri (in Italia) o centimetri l’anno (Nuova Zelanda, Arco del fuoco, Cile, Africa, etc.) allontanandosi o scontrandosi, è ormai noto anche ai bambini. I geofisici, oltre a misurare i moti relativi fra le placche, si stanno dedicando allo studio dei loro moti assoluti rispetto ad alcuni punti di riferimento all’interno della Terra (il mantello, l’asse di rotazione). A questo tipo di ricerche si sta dedicando con successo un gruppo di ricercatori italiani che ha recentemente pubblicato i risultati dei propri studi sulla rivista scientifica internazionale Tectonophysics. L’indagine si è avvalsa anche delle tecniche più avanzate di geodesia spaziale. Da annoverare la conferma che esiste un moto di deriva complessivo delle placche litosferiche verso Ovest, rispetto al sottostante mantello, e la certezza che i processi convettivi non sono sufficienti a spiegare da soli la cinematica delle placche (fonte Ingv). Insomma si deve anche prendere in considerazione l’energia trasferita alla litosfera dalla rotazione terrestre e dalle maree lunari-solari. Sono in corso, inoltre, esperimenti di sismica passiva, cioè registrazione della sismicità mediante installazione di reti temporanee di stazioni sismometriche digitali che consentono di migliorare notevolmente le localizzazioni ipocentrali. Dai risultati ottenuti si osserva come “la sismicità di fondo tenda a concentrarsi lungo l’asse principale della catena appenninica”(Ingv). Che dire della sismicità localizzata in zone di mare aperto? La scarsità di stazioni sismiche non consente, al momento, di definire con buona precisione le profondità ipocentrali degli eventi. Ma è ritenuto probabile che parte della microsismicità tenda a concentrarsi nelle zone che definiscono i margini delle grandi strutture sismogenetiche della catena appenninica.
Il terremoto che ha devastato L’Aquila segna sicuramente uno spartiacque sociale, culturale, politico e giuridico tra il passato e il futuro nella conoscenza della previsione e della prevenzione del rischio sismico in Italia e nel mondo. La roadmap era stata già tracciata a sei mesi esatti dal disastroso sisma di L’Aquila. Ora spetta ai politici, agli amministratori locali fare la loro parte: ognuno si assuma le proprie responsabilità.
Bisogna anche considerare il reale significato di previsione sismica. La scienza dice che esistono vere previsioni di un terremoto (probabilistic seismic hazard analysis). La probabilità sismica funziona, meglio di qualsiasi fittizia certezza uranifera, nel senso che la previsione probabilistica (quake forecasting) dei terremoti è non solo possibile ma anche utilizzabile ai fini della prevenzione del rischio sismico in Italia. Lo è oggi, a maggior ragione, grazie alle tredici linee-guida offerte al popolo italiano ed al mondo dagli scienziati della International Commission on Earthquake Forecasting for Civil Protection riunita per la prima volta a L’Aquila lo scorso anno (costituito il 12 maggio 2009). La previsione probabilistica “illumina” letteralmente le aree che saranno colpite da un sisma, dispiegando tutta la sua efficacia nel range tra uno e zero. Si è capito che bisogna interfacciare armonicamente i dati di probabilità sismica acquisiti da vari istituti di ricerca in Italia e nel mondo, pubblici e privati. Anche gli studi sulle predizioni deterministiche vanno potenziati e servono chiari protocolli d’intervento per la Protezione civile, da realizzare in tre fasi insieme ai social scientists, per favorire una sana e utile informazione alla popolazione. E’ quanto emerge dal quarto Summit G10 del gruppo indipendente di sismologi, chiamato da tutto il mondo a studiare in Abruzzo il terremoto di L’Aquila. L’incontro si è svolto al Centro operativo di Coppito (Aq) dal 30 settembre al 2 ottobre 2009. La Commissione è composta da dieci scienziati, specializzati in sismologia e geofisica, ai vertici delle università e centri di ricerca più importanti del mondo: Tom Jordan, presidente del gruppo di lavoro, direttore del Southern California Earthquake Center (SCEC) e professore di Earth Sciences alla University of Southern California a Los Angeles, Yun Tai Chen, professore di geofisica e direttore onorario dell’Istituto di Geofisica della China Earthquake Administration, Paolo Gasparini dell’Università Federico II di Napoli, Raoul Madariaga della Scuola Normale Superiore di Parigi, Ian Main dell’Università di Edinburgo, Warner Marzocchi, dirigente di ricerca dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), Gerassimos Papadopoulos dell’Osservatorio Nazionale di Atene, Guennadi A. Sobolev, direttore del Dipartimento di Catastrofi Naturali e Sismicità della Terra dell’Accademia Russa delle Scienze a Mosca, Jochen Zschau dell’Università di Potsdam e Koshun Yamaoka della Nagoya University (Giappone). Gli esperti hanno redatto un Report ufficiale inequivocabile: la previsione probabilistica con relativo errore, è la via maestra per prevedere i terremoti; le sequenze sismiche possono accelerare la sismicità ma al momento la comunità scientifica internazionale non è in grado di distinguere le “scosse di preavviso”. Non solo. La previsione a breve-termine permette di identificare le aree dove più probabilmente avverranno gli “aftershock” (repliche) più forti, e con che probabilità essi si manifesteranno. L’Ingv sta fornendo ogni giorno stime di questo tipo alla Protezione civile: è la prima volta al mondo che ciò viene fatto durante una crisi. Tredici sono le “raccomandazioni” degli scienziati, tra cui quelle indirizzate al Dipartimento della Protezione Civile (DPC) che, tra l’altro, è chiamata a: continuare a seguire l’evoluzione scientifica delle previsioni sismiche probabilistiche, per sviluppare le infrastrutture e le competenze necessarie a creare dalle informazioni scientifiche, chiari protocolli operativi; coordinare il flusso di dati provenienti da rilevanti Istituti di ricerca italiani, per migliorare la risoluzione delle previsioni probabilistiche; offrire particolare attenzione all’analisi dei dati in tempo reale, alla creazione di cataloghi e mappe sismiche di alta qualità; a favorire la ricerca sui terremoti nei “laboratori naturali” italiani. La ricerca di base deve essere focalizzata alla comprensione scientifica dei fenomeni sismici e alla loro previsione che deve essere chiaramente parte di un Programma Nazionale di Ricerche. La scienza è libera (lo dice la Costituzione italiana, chiunque può offrire il proprio contributo) ma poi i dati e le scoperte vanno dimostrati alla comunità scientifica internazionale. La Protezione civile ascolterà l’unica voce della scienza ufficiale. Il Summit G10 di sismologia di L’Aquila intende fornire periodicamente lo stato attuale delle conoscenze sulla prevedibilità dei terremoti e indicare delle linee-guida per poter utilizzare al meglio le osservazioni scientifiche sui fenomeni sismici. Ora, i progetti vanno interfacciati, senza scadenze di “target”: i ricercatori hanno un catalogo sismico di oltre 40 anni da inserire ed elaborare nei computer. Fare previsioni a lungo termine sul verificarsi dei terremoti, non necessariamente dopo uno sciame sismico come quello precedente all’evento del 6 aprile 2009, è una valida realtà scientifica immediatamente utilizzabile ai fini della prevenzione del rischio sismico. I politici, quindi, possono e devono agire. Oggi non servono ulteriori certezze matematiche probabilistiche e/o deterministiche per salvare vite umane, ossia per costruire finalmente edifici solidi a misura di Homo Sapiens Sapiens, in un ambiente a fortissima sismicità come l’Italia. Non esistono metodi per prevedere terremoti a brevissimo termine: nessuno è in grado, prima di un evento sismico, di specificare il luogo, il momento e l’intensità del terremoto con un cerchio di errore apprezzabile, cioè utile per allarmi e pre-allarmi selettivi. Lo dice la scienza ufficiale. Ma a che servirebbe se poi non siamo in grado di salvare vite umane con la prevenzione? Uscire fuori di casa al momento giusto, per beccarsi un cornicione o una tegola in testa, non è una buona idea; come impraticabile risulterebbe la prospettiva di “trasferire” milioni di cittadini in campagna o al mare, al primo pre-allarme! E’ questo il cuore del risultato dello studio condotto dalla commissione di dieci esperti internazionali, chiamati per la quarta volta dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dal capo della Protezione civile, Guido Bertolaso, a fare il punto sulla sismicità abruzzese. Viviamo in una realtà quantistica, mi si consenta l’espressione, fondata sul principio di indeterminazione di Heisenberg. Non possiamo, cioè, conoscere tutto con certezza assoluta, cioè senza errori. Ma conosciamo lo status del nostro territorio. La logica matematica non è un’opinione e la Natura vincerà sempre! Ma possiamo sempre anticiparla. La semantica è altrettanto importante: “forecasting” e “predictions”, sono termini in lingua inglese, che non vanno confusi. La società civile sia consapevole del fatto che solo un’accurata conoscenza diffusa delle questioni probabilistiche (eppure le scommesse legali sono molto in voga, si gioca pur sapendo di perdere!) in sismologia, è la chiave essenziale per salvare vite umane, a cominciare dalla nostra. Meglio la probabilità o il cieco determinismo? Una questione delicatissima la cui natura non è affatto di lana caprina o, se preferite, sibillina come l’uovo di Colombo. Non sarà mai possibile fare previsioni sui terremoti a breve termine, azzeccando ipocentro, epicentro, data e ora. Il G10 di sismologia ha effettuato un monitoraggio dei fattori precursori e non è stato possibile arrivare ad una diagnosi certa su quando, come e dove un terremoto si verificherà un evento. E’ stata fatta chiarezza sui fattori precursori, cioè su tutti quegli eventi fisici che possono (non necessariamente) precedere un sisma. Il susseguirsi di scosse, la presenza di gas come il radon e il thorio nei minerali uraniferi, i mutamenti nei campi elettromagnetici, i fenomeni acustici e visivi. Gli scienziati ritengono che le previsioni a lungo termine siano oggi le più affidabili. Il G10 aquilano ha inviato alla Protezione civile, un’importante raccomandazione: è necessario creare una struttura di esperti che possa eseguire un’analisi dei modelli previsionali, in modo da fornire sempre nuovi e completi elementi alle istituzioni ed alla società civile. Nulla deve essere segreto. La previsione a lungo termine consente di avere informazioni sul luogo, sulla magnitudo e sulla frequenza di un sisma. Indispensabile è una mappatura ad alta risoluzione sia del territorio sia degli edifici per renderli tutti antisismici, informando tempestivamente la popolazione sul da farsi. L’attività sismica della Terra non sarebbe in aumento. Le ricerche relative ai precursori sismici non hanno avuto esiti rilevanti: il G10 ha studiato i precursori sismici che però non hanno consentito previsioni a breve termine, ossia non hanno aggiunto nulla al quadro delle attuali conoscenze. La ricerca sui precursori deve però proseguire. Lo studio delle previsioni probabilistiche negli ultimi dieci anni ha fatto passi da gigante in Italia, come rivelano le analisi delle sequenze sismiche effettuate da centinaia di ricercatori dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, rappresentati nel G10 dal professor Warner Marzocchi. Il quale ci ha sempre ricordato che “il fenomeno dello sciame sismico viene studiato attraverso modelli matematici ETAS fondati sul fatto che ogni terremoto può generare altri terremoti seguendo regole predeterminate. Tale capacità, che è funzione della magnitudo, decade nello spazio e nel tempo con leggi di potenza simili al decadimento spaziale co-sismico e alla legge temporale di Omori”. Gli esperti del G10 hanno registrato che i terremoti tendono a raggrupparsi: la presenza di repliche aumenta la probabilità di nuove scosse, ma i terremoti riscontrati a L’Aquila nei mesi successivi, “rientrano nella normalità”. Le sequenze sismiche possono accelerare la sismicità ma la comunità scientifica non è in grado di distinguere la scossa preliminare, che può storicamente in genere precedere sugli Appennini un evento di grande intensità, dalla normale attività sismica. Gli sciami sono frequenti ma non sono sempre legati a terremoti forti e gli eventuali aumenti di probabilità sono comunque molto limitati.
“I terremoti – fa notare Marzocchi – tendono a clusterizzare, a raggrupparsi: le probabilità però sono spalmate nel tempo, non si possono fare stime per il singolo giorno. Posso dire che c’è una probabilità del 25% che in Abruzzo si verifichi una scossa di magnitudo pari o superiore a 5 nei prossimi dieci anni. Se parliamo del prossimo mese la probabilità scende all’uno per cento, massimo al due per cento”. Per quanto concerne gli eventuali legami del terremoto del 6 aprile con terremoti del recente passato, gli esperti del G10 lo escludono. Vibrante è la raccomandazione dei dieci scienziati affinché le previsioni probabilistiche siano rese tempestivamente pubbliche, chiare, leggibili e comprensibili perché la gente deve conoscere il rischio sismico. Per far questo è auspicabile l’affermazione di un protocollo deontologico anche tra i giornalisti, “per evitare la diffusione di voci di corridoio e allarmismi ingiustificati”. Il G10 è la voce della scienza ufficiale, la fonte primaria che informa la Protezione civile nazionale a cui è demandata la funzione di informare la popolazione sulla situazione contingente avvalendosi degli strumenti della ricerca. Il professor Warner Marzocchi è da sempre convinto assertore “di un’informazione completa anche se ciò alcune volte significa ammettere incertezza. E’ importante chiarire alla gente come stanno le cose”. Il G10 ha evidenziato altresì la necessità di un pubblico Bollettino del Rischio Sismico, giuridicamente vincolante anche per il Legislatore e la Pubblica Amministrazione, che periodicamente gli scienziati della commissione mettono a disposizione della Protezione civile italiana.
Insomma “non stiamo partendo in braghe di tela e non dobbiamo imparare da nessuno – fa notare il geologo Antonio Moretti dell’Università di L’Aquila – c’è solo bisogno della volontà politica di trasformare le conoscenze scientifiche in applicazioni pratiche. Ricordo a questo proposito che il finanziamento medio della ricerca geologica-sismologica in Italia è stato di qualche miliardo di lira all’anno (il valore di un paio di appartamenti in centro a Roma) contro i 60.000 miliardi di danni del terremoto dell’Irpinia”. Gli scienziati vanno ascoltati. Non ci sono più scuse di carattere politico, culturale e finanziario: le Grandi Opere in cantiere devono contemplare la totale messa in sicurezza delle nostre città, dei nostri paesi e dei nostri villaggi.
I cittadini possono contare su una rete di monitoraggio del territorio senza precedenti nella storia del nostro Paese grazie a scienziati e istituzioni di primissimo livello internazionale. I politici e gli amministratori pubblici, da parte loro, farebbero bene ad aggiornarsi, per evitare tragedie, magre figure e inevitabili fallimenti, approntando protocolli d’intervento adeguati.
La comunità scientifica italiana, da parte sua, ha il dovere di avvicinare il grande pubblico alla conoscenza diffusa dei fenomeni naturali, con competenza, dedizione e comprensibilità. L’Abruzzo e le aree limitrofe (il “tetto” della dorsale appenninica) affondando le loro “radici” in una pericolosissima naturale “polveriera”. Viviamo su un’autentica santabarbara geologica, pronta a liberare, sotto i nostri piedi, energie dell’ordine delle decine di megatoni, ossia di migliaia di Hiroshima. Il radon è da molti anni considerato uno dei più promettenti fenomeni precursori a breve termine di un terremoto. E’ un gas radioattivo: si genera dai minerali thorio-uraniferi di cui sono molto spesso ricche le rocce vulcaniche, sia in profondità sia in superficie. Gli scienziati sanno che in presenza di una faglia attiva, ossia di una frattura in movimento che si propaga dalla crosta profonda, ricca di rocce magmatiche, fino in superficie, il radon può sfuggire ed essere facilmente misurato con strumenti appositi. “Poiché la sua vita è molto breve (pochi giorni) – spiega il ricercatore Antonio Moretti – la risalita deve essere molto veloce, tanto più intensa e veloce quanto maggiore è lo stato di stress della faglia”. In occasione di grandi terremoti, è stato più volte verificato l’aumento di emissione di radon (fino a 10 volte) lungo le faglie attive, con un tempo di latenza (giorni-mesi-anni) tanto maggiore quanto più grande sarà l’evento sismico. “Il problema è che anche molte rocce di superficie sono ricche di thorio ed uranio (è il caso di quasi tutti i suoli vulcanici laziali ed abruzzesi), quindi occorre prima individuare le faglie ed i siti idonei per il monitoraggio, essere certi dell’origine profonda dei fluidi, e quindi posizionare le centraline di rilevamento, meglio se in pozzo”. Spesso sono molto ricche di radon profondo anche le sorgenti termali. “Misurare il radon casualmente con strumentazioni di fantasia – fa notare Moretti – come è stato fatto da certi personaggi che sono convinti di essere scienziati senza avere nessun titolo, è non solo inutile, ma anche offensivo per quanti, come noi, stanno lavorando da decenni sull’argomento”. Il geologo Antonio Moretti del Dipartimento di Scienze Ambientali dell’Università di L’Aquila, conosce molto bene il nostro territorio e la sismicità dell’Abruzzo. “Sono un ricercatore dell’Università e – fa notare Moretti – prima sono stato per molti anni ricercatore a contratto del GNDT (Gruppo Nazionale Difesa dai Terremoti); collaboro anche con l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia di Roma. Non stiamo scoprendo niente di nuovo, le conoscenze che abbiamo sono il frutto del lavoro di centinaia di ricercatori per decine di anni. L’Italia possiede, assieme alla Cina, il catalogo sismico più lungo e completo del mondo, e la sua geologia è studiata da secoli, proprio dagli scienziati che hanno scritto la storia delle Scienze della Terra. Le prime stazioni sismiche al mondo sono state installate in Italia dai primi anni del secolo scorso, ed attualmente l’Ingv possiede una rete sismica di altissimo livello tecnico, dal 2005 probabilmente la migliore del mondo, America compresa”. La spiegazione generale su che cosa è accaduto il 6 aprile 2009 a L’Aquila, è chiara, evidente e distinta. Siamo in presenza di un evento naturale molto importante e significativo. Le mappe Ingv riportano gli inviluppi delle isosiste, le aree di danneggiamento simile, di più terremoti sovrapposti. “Vedete i pallini verdi, gialli, rossi ed azzurri? Sono i piani quotati – spiega il geologo Moretti – cioè il dato vero di cui disponiamo, preso dai cataloghi dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia ed elaborati dal ricercatore dell’Università di Potenza, Paolo Harabaglia. I valori scelti vanno dal VII grado Mercalli (verdi, per forti lesioni alle abitazioni ma nessun crollo) ad azzurri (X-XI Mercalli, distruzione di oltre il 50% degli edifici)”. La prima figura è relativa a tutti i grandi terremoti appenninici dal 1328 al 1980; la seconda al periodo sismico 1688-1732 e la terza ai terremoti sub-crostali che hanno colpito i versanti adriatici dell’Abruzzo tra il 1881-1882 (Chieti-Lanciano) ed il 1850 (Montereale – Arischia – Teramo). Nella prima mappa appare tutta la sismicità storica dell’Appennino degli ultimi 600 anni. “I terremoti si distribuiscono seguendo la cresta dell’Appennino, tranne quello di Avezzano (1915) che è più arretrato verso il Lazio. In realtà si tratta di una struttura differente – sostiene Moretti – come quelle di Sora o di dei monti Carseolani, che si attiva circa ogni 1000 anni. Gli altri seguono le grandi vallate interne della catena ed infatti sono collegate alle grandi rotture (faglie) che generano le vallate stesse (graben)”.
I sismologi hanno scoperto che questi terremoti, oltre che di medio-alta energia (magnitudo 6-7° Richter) sono localizzati a basse profondità nella crosta superiore (10-12 km), quindi vengono risentiti in maniera distruttiva da popolazioni, abitazioni e città. “Già a colpo d’occhio l’asse appenninico è quello con il maggiore numero di terremoti con alta energia. Lo stesso andamento è riportato nella mappa pubblicata nel 2004 dall’Ingv, dove L’Aquila è proprio nel mezzo dell’area di massima pericolosità”. In maggiore dettaglio si nota che l’attività sismica non è uniforme nel tempo “ma – fa notare Moretti – alterna periodi parossistici (1688-1732, seconda mappa) con altri di apparente quiete o ricarica. Al periodo 1688-1732 appartengono i due famosi terremoti del 1703 e quello di Sulmona del 1706, erroneamente considerati gemelli di quello del 6 aprile 2009”.
In effetti, mappa in vista, si nota un piccolo buco proprio nella conca aquilana. “Perché la sorgente del 1703 – rivela Moretti – si è fermata a Pizzoli-Arischia e quella del 1706 riparte da Bussi verso la valle Peligna. Quindi nel ‘700 e nei secoli successivi, il segmento intermedio tra L’Aquila, Paganica e Barisciano – prosegue Moretti – è rimasto fermo, continuando ad accumulare energia, e non era improbabile che proprio questo dovesse essere il primo a rompersi”.
Quando si attiva una faglia sismogenetica di grandi dimensioni, il movimento che ne deriva è di qualche metro (“circa 2 nel nostro caso” – spiega Moretti) lungo una superficie di qualche decina di chilometri. “Come nel caso di uno strappo nei pantaloni, la rottura aumenta lo sforzo nei segmenti vicini, quindi è prevedibile che in un prossimo futuro (anni, decenni) si attivino anche le strutture a Nord (Amatrice, Montereale) ed a Sud (Valle Peligna, Sannio, Beneventano, Irpinia, ecc.) fino a scaricare l’energia accumulata e ricominciare il ciclo. Se poi consideriamo un periodo abbastanza lungo, questa non è più una probabilità ma una certezza geologica”.
Anche nel Teramano i nostri politici non sono certo autorizzati a dormire sonni tranquilli, in attesa dell’inevitabile tragedia storica. “Sul versante esterno dell’Appennino – spiega Moretti – vi sono altre sorgenti sismiche, più profonde (30-40 km, ossia sub-crostali per non confonderle con la sismicità di subduzione che raggiunge i 600-700 km) e legate al piegamento ed all’affondamento della crosta adriatica sotto l’Appennino. A questo tipo appartengono i terremoti del 1881-2 e 1950, ed anche il recente delle Marche, di Ancona, quello di Reggio Emilia del settembre 2009”. Questi ultimi, anche se possono essere di magnitudo paragonabile ai primi, essendo più profondi distribuiscono l’energia su di un’area più vasta e quindi producono danni in apparenza meno violenti. “Sul versante esterno vi sono grossi spessori di argille e di sedimenti soffici che tendono a smorzare le onde. Dal punto di vista geodinamico, i due tipi di terremoti sono dovuti alla stessa causa: l’apertura ed espansione del mare Tirreno, l’avanzamento-rotazione della Penisola verso Est e la chiusura del mare Adriatico. Le relazioni dettagliate tra le deformazioni che caricano la catena sul margine adriatico e quelle dei graben appenninici che la scaricano, sono purtroppo ancora da studiare, e costituiscono una delle maggiori sfide che uniscono geologi, sismotettonici e sismologi”. Forse non tutti sanno che la “faglia del Monte Stabiata” è sorella di quelle di Pettino e di Paganica. Moretti presenta un paio di immagini dell’espressione superficiale della rottura di faglia. “Il sassone che vedete pesa parecchi quintali ed è stato spostato di circa 20 cm; nella stessa zona altri sassi sono stati sbalzati in aria e rovesciati”. I geologi tendono spesso a familiarizzare con gli elementi strutturali, dandogli nomi locali che in genere stanno ad indicare sia il tipo di elemento sia la località dove si può vedere. “E’ il caso della faglia di Pettino – spiega Moretti – così definita perché si vede bene al monte Pettino, ma anche perché, essendo facilmente raggiungibile dall’autostrada, è meta ogni anno delle escursioni degli studenti di geologia romani”. In realtà le faglie superficiali sono semplicemente l’espressione di una rottura profonda, anch’essa chiamata tecnicamente “faglia”, che è la vera struttura sismo genetica, ossia che origina i terremoti. Cosa vedono i geologi? “Noi possiamo vedere solo gli elementi di superficie e stiamo indagando per conoscerne la sorgente. Praticamente siamo nelle condizioni di un ingegnere strutturista che deve capire la causa di un danno alle fondamenta di un edificio, andando a guardare solo i movimenti delle tegole del tetto”. In realtà i geologi hanno anche altre informazioni che sui media possono causare confusione semantica. “Se guardiamo una carta geologica vediamo tantissime righe rosse indicate come faglie di diverso tipo a seconda del loro movimento: normali, se un blocco si muove verso il basso; inverse, se verso l’alto; trascorrenti, se lo scorrimento è orizzontale. In realtà quasi tutte le faglie indicate sulle carte geologiche sono oramai fossili, ferme da milioni di anni, e portate alla superficie dall’erosione. E’ proprio questa erosione che ci permette di studiare la superficie di una faglia che si trovava a molti chilometri di profondità e che in un passato lontanissimo ha generato la sua parte di terremoti. Possiamo così riconoscere le geometrie di movimento, la profondità e la temperatura in base ai minerali tipici (la paragenesi) riscontrabili sulla superficie. In alcuni casi si sono potute riconoscere fasce di rocce fuse dal grande attrito generato dal terremoto; in altre faglie che si sono mosse praticamente senza attrito, come fossero lubrificate”. Le faglie interessanti sono quelle “attive” o recentissime (migliaia – decine di migliaia di anni) che per loro natura sono difficilissime da riconoscere proprio perché non sono state ancora scoperte dall’erosione. “Tra gli indizi vari di movimenti recenti, ci sono piccole dislocazioni che attraversano suoli, sabbie e ghiaie molto superficiali, e vengono anch’esse chiamate faglie attive”. Quando poi un ricercatore è convinto che una faglia ci debba essere, ma non riesce a vedere le sue espressioni superficiali, che esista davvero o no, la chiama faglia cieca. “Quindi, quello che produce e rilascia l’energia sismica è il segmento profondo del terremoto, che può essere lungo molte decine o centinaia di km, il quale avvicinandosi in superficie si divide in molte superfici più o meno parallele con una struttura simile ai petali di un fiore (si parla appunto di struttura a fiore)”.
Durante un terremoto, non sempre si attivano contemporaneamente tutti gli elementi superficiali. “Anzi, spesso si muovono uno di seguito all’altro, dal basso verso l’alto, generando le famose repliche. La presenza di una faglia evidentemente attiva non è di per sé pericolosa, ma è il segnale inequivocabile che sotto c’è una struttura pronta a muoversi”.
Come esempio di faglia attiva, Moretti presenta l’immagine Google di quella del monte Stabiata. “La traccia della faglia è quella specie di nastro di rocce bianche, proprio perché si sono scoperchiate molto recentemente”. Come curiosità, tra i metodi di indagine dei movimenti recenti, gli scienziati possono studiare i licheni o le piante pioniere che si insediano sul liscio. Allora perché costruire abitazioni in queste aree, non in grado di resistere ai violenti terremoti?
“In realtà c’è un altro motivo per evitare di costruire su di una faglia attiva, ed è proprio quello che è successo a Pettino o ad Arischia: le faglie costituiscono delle superfici di rottura e di contatto tra rocce diverse, quindi molto spesso le onde sismiche, che si comportano esattamente come onde sonore, possono essere rifratte ed incanalate lungo la superficie, causando localmente scuotimenti anche dieci volte maggiori rispetto ad altre aree stabili; viceversa si possono avere, a poche centinaia di metri di distanza, zone di ombra dove le onde sono molto attenuate; generalmente questi fenomeni sono sistematici, si ripetono nel tempo, quindi è necessario tenere conto della memoria storica, come non hanno fatto a L’Aquila dopo la partenza dei Borboni”.
Se ne deduce la massima storica del momento: diamo ai geologi ciò che il terremoto di L’Aquila ha mostrato al mondo. Che è poi anche la richiesta decisa e fatta propria dall’Ordine regionale dei Geologi d’Abruzzo. Le Scienze della Terra sono una materia che compete strettamente ai geologi e al mondo geologico: gli studi di microzonazione sismica, cioè dei fenomeni di interazione tra il terremoto e l’ambiente circostante, rappresentano il primo passo in ogni tipo di pianificazione territoriale fondata sulla responsabilità dei singoli operatori (politici ed amministratori compresi) e sulla convivenza con il rischio sismico. Quello che dice la scienza dovrebbe essere per tutti ab origine vincolante per Legge.
“L’Ingv ha fornito e sta fornendo con continuità previsioni probabilistiche di lungo e di breve termine. Con le previsioni probabilistiche di lungo-termine – ricorda Marzocchi – si possono identificare (e già lo si è fatto) le aree dove avverranno i grandi terremoti del futuro. Di particolare rilevanza in questo ambito è la mappa di pericolosità elaborata dall’Ingv nel 2004 (http://zonesismiche.mi.ingv.it/) che fornisce lo scuotimento del terreno atteso nei prossimi 50 anni”. Dalla mappa appare evidente la zona colpita dal terremoto del 6 aprile 2009: è quella dove ci si aspettavano alti valori di scuotimento del terreno. In generale, questo tipo di studi permette di definire opportuni criteri di costruzione antisisimica (a tal proposito, se oggi tali procedure si seguissero alla lettera, la previsione dei terremoti sarebbe di scarsa utilità, poiché i crolli sarebbero minimi)”. Per quanto riguarda le previsioni probabilistiche di lungo termine dell’occorrenza dei grandi terremoti, “dal 2005 esiste una pagina web (http://www.bo.ingv.it/~earthquake/ITALY/forecasting/M5.5+/) dove vengono fornite stime di probabilità di occorrenza di eventi con magnitudo 5.5 o maggiore in un intervallo di tempo di 10 anni. Essendo time-dependent, le mappe vengono aggiornate ogni 1° Gennaio e dopo ogni evento con magnitudo 5.5 o maggiore. Nella sezione Results della pagina web si vede che la zona dove è avvenuto il terremoto aveva la sesta più alta probabilità su 61 zone (di cui 34 con probabilità non trascurabili; mappa A). Se si guarda la densità spaziale di probabilità (mappa B), la zona interessata aveva la seconda più alta densità di probabilità su una griglia con 51 nodi”. Altri studi compiuti di recente sullo stesso argomento nell’ambito della convenzione 2004-2006 tra l’Ingv e il Dipartimento della Protezione Civile (Progetto ”Valutazione del potenziale sismogenetico e probabilità dei forti terremoti in Italia”) hanno mostrato risultati analoghi. “Anche questi studi che hanno utilizzato modelli di occorrenza dei terremoti del tutto diversi da quelli utilizzati per gli studi appena descritti, hanno identificato l’area di L’Aquila come una di quelle a più alta probabilità di occorrenza di un terremoto distruttivo” – spiega Marzocchi. I risultati presentati al recente convegno dell’European Geosciences Union in una sessione speciale dedicata al terremoto dell’Abruzzo, hanno riscosso un notevole successo. Un’altra iniziativa importante in cui l’Ingv è attualmente coinvolto è il progetto internazionale CSEP (Collaboratory Studies for Earthquake Predictability; http://www.cseptesting.org, http://us.cseptesting.org, http://eu.cseptesting.org). Che nasce con lo scopo di definire un esperimento scientifico per la verifica e il confronto dei diversi modelli di previsione (probabilistica e deterministica) dei terremoti. Tali analisi e confronti sono effettuate in un centro (Testing Center) dove tutti i modelli vengono utilizzati per produrre previsioni indipendentemente dagli autori dei modelli stessi. “Le nostre previsioni sono vere previsioni – spiega Marzocchi – in quanto i dati utilizzati per il confronto sono i terremoti futuri dell’area investigata (il cosiddetto Natural Laboratory)”. I Natural Laboratories attivi finora sono la California, la Nuova Zelanda, l’Italia, il Giappone, il Pacifico Occidentale e il globo nel suo complesso. “E’ importante sottolineare che il confronto tra i modelli viene fatto NON in tempo reale (per avere a disposizione i cataloghi ufficiali è necessario aspettare qualche settimana o pochi mesi). Ciò non è un problema per CSEP poiché lo scopo dell’esperimento rimane scientifico. Alla fine del periodo di test (di solito è di 5 anni), l’esperimento si conclude con una “classifica” dei modelli che si sono comportati meglio nella propria classe di previsione. Di particolare interesse sarà anche il confronto tra le classifiche stilate per tutti i Natural Laboratories per vedere se sono sempre gli stessi modelli ad avere le capacità previsionali migliori. L’esperimento nel territorio italiano è condotto per diverse classi di previsione: 1) previsione giornaliera per terremoti di magnitudo superiore a 4 gradi; 2) previsione trimestrale per eventi di magnitudo superiore a 5 gradi; 3) previsione quinquennale per eventi di magnitudo superiore a 5 gradi”. I ricercatori Ingv hanno già presentato modelli di previsione probabilistica per la California, la Nuova Zelanda, il Pacifico Occidentale e il mondo. Tuttavia, non dimentichiamo che molti fattori complicano le sequenze sismiche, incluse le complesse geometrie di rottura nella faglia, la natura caotica dei processi di rottura, le variazioni delle forze in atto nelle faglie. Le variabili sono e saranno sempre tantissime.
Il terremoto di L’Aquila (capitale d’Abruzzo) delle ore 3:32 antimeridiane del 6 aprile 2009, era un 6.3° della scala Richter. I rapporti e le relazioni scientifiche internazionali dichiarano esplicitamente la magnitudo di 6.3. A L’Aquila la cronaca ha registrato 308 morti, 1500 feriti, 4 milioni di metri cubi di macerie, 1.010 edifici pubblici danneggiati. Si tratta del quinto più catastrofico terremoto nella Storia dall’Unità d’Italia, dopo Messina 1908 (magnitudo 7.1° Richter), Avezzano 1915 (7.0°), Friuli 1976 (6.4°) e Irpinia 1980 (6.9°). Il sisma ha sconvolto la vita a oltre 73mila abitanti. A L’Aquila i danni reali (esclusa l’emergenza, le chiese e i monumenti) ammontano a decine di miliardi di euro. La Regione Abruzzo è oggi responsabile, dal punto di vista istituzionale e politico, sul fronte della ricostruzione della Città di L’Aquila e del suo Centro Storico; sul fronte della divulgazione capillare ai cittadini del rischio sismico e dei mezzi per la totale messa in sicurezza delle nostre abitazioni. Non solo. Sul fronte dello sviluppo di un Servizio geologico-sismico che recepisca il quadro normativo europeo e nazionale nonché l’urgente necessità di redigere ed applicare a livello comunale gli studi di micro zonazione sismica eseguiti su commissione della Protezione Civile. La comunità scientifica internazionale osserva, attende e spera. Noi Abruzzesi saremo più furbi della povera rana bollita a fuoco lento?
Nicola Facciolini
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