“Gli angeli del male” di Michele Placido non è piaciuto al pubblico presente alla proiezione, ieri nella Sala Perla, fuori concorso a Venezia ed anche la critica ha parlato di un imbarazzante santino ad un personaggio dalla condotta delinquenziale ben nota. La sceneggiatura, scritta da Placido con la collaborazione di Kim Rossi Stuart e Andrea Purgatori, è ispirata al libro autobiografico Il fiore del male. Bandito a Milano scritto da Vallanzasca con l’aiuto del giornalista Carlo Bonini. Al termine della proiezione, in una sala piena a meta’, non si sono sentiti ne’ applausi ne’ fischi all’indirizzo di un film che descrive in chiave molto fiction un personaggio che si definisce “un angelo dal lato oscuro un po’ pronunciato” e che finisce con un sorriso da parte del ‘bel Renè”. Oggi, sul Corriere della sera, Emanuela Piantadosi, Presidente della’Associazione Vittime del Dovere, scrive una lunga lettera a nome di numerosi familiari di servitori dello Stato, caduti o feriti per mano criminale, in cui, fra l’altro, dice: “La libertà di espressione è un diritto sancito dalla Costituzione e non può essere messo in discussione in una società moderna ed evoluta. Sappiamo che pretendere sobrietà ed attenzione sugli avvenimenti dolorosi che ci riguardano non è possibile, ma intimamente lo speriamo e in modo mesto ci sentiamo di chiederlo.” Ed aggiunge: “I mercati editoriali, televisivi e cinematografici premiano da sempre le narrazioni di vicende scabrose. Bisogna però chiedersi se i diritti sopra menzionati, quello di espressione e quello di un libero mercato, non collidano con un altrettanto importante diritto: quello di onorare la memoria delle vittime, di servitori dello Stato che hanno pagato con la vita il loro attaccamento alle istituzioni. Inoltre dovrebbe essere tenuto ben presente il rispetto per i sentimenti dei familiari di coloro che sono stati uccisi per mano di criminali. Riteniamo non sia ammissibile riscrivere la storia, costruire una memoria collettiva dei fatti che riguardano spietati assassini attraverso i loro stessi occhi e secondo le loro logiche irrazionali e inaccettabili, prescindendo dalla verità.” Sono personalmente convinto, che le gesta di criminali, edulcorate da dialoghi romanzati e da attori conosciuti, costituiscono una pericolosa tentazione all’ emulazione ed una indegna forma di sedicente espressione artistica. E la cosa è peggiorata, nel caso del film di Placido, per le dichiarazioni successive, del tutto fuori luogo, del regista, che va in conferenza stampa e scaglia sulla passerella rossa una frase che è peggio di un meteorite: “Ci sono in Parlamento persone che sono peggio di Vallanzasca. Questo è un dato di fatto”. Per una volta mi trovo d’accordo con Frattini, che oggi commenta: “Rispetto Placido ma la sua risposta e’ indegna di una persona di quel valore”. Un film discutibile che è diventato un discutibile caso politico, in un’Italia da gossip che ha dimenticato etica e morale e perde tempo a celebrare un bandito con un curriculum composto da una lunga scia di sangue. Placido che giustifica la sua scelta con l’affermazione: “Qualcuno dice che il mio Vallanzasca e’ un personaggio troppo bello, ma negli anni ’70 e’ stato un vero mito”. “Se lei incontra – ha detto ad una giornalista – Vallanzasca oggi, viene subito sedotta”. Brutta cosa e brutto, bruttissimo film di cui non possiamo andar fieri, come italiani e cinefili e di cui ci spiacciamo per la presenza di Kim Rossi Stuart (che molto ammariamo) e per le due canzoni, nella colonna sonora dei Negramaro, dell’Abruzzese (è di Francavilla a mare), Davide Cavuti, già autore della canzone “il grido”, ne “Il grande sogno” dello stesso Placido, dello scorso anno. Vallanzasca – Gli angeli del male è un film realizzato con indubbia sapienza tecnica, ma che risulta troppo “pieno”: di enfatizzazioni, di ralenti, di montaggi rapidissimi, di schitarrate (dei Negramaro) in stile anni ’70 sparate a tutto volume. Il fatto è che – al di là della sua effettiva rispondenza alla realtà – ha indubbiamente un grande personaggio, cinematograficamente pieno di fascino, al quale Kim Rossi Stuart, credibilissimo milanese, dà un’interpretazione magistrale, ma non ha uno sviluppo narrativo altrettanto avvincente. Il film, infatti, si risolve perlopiù nella giustapposizione di una serie di sequenze dalle quali emergono abilità registica e virtuosismi interpretativi, ma che non riescono (a differenza di quanto avveniva in Romanzo criminale) a diventare una storia capace di appassionare. Una volta assuefatti al bombardamento di immagini e suoni, si rischia di trovare il film troppo lungo e piuttosto monotono. L’altro aspetto narrativo saliente è il fatto che, a differenza dei classici gangster movies americani, la vicenda non è costruita sotto forma di parabola alla Scarface: il protagonista si dice fin da subito “nato per fare il ladro”, “”come altri sono nati scarafaggi, impiegati o Maria Teresa di Calcutta”. Concepito in questo modo, Vallanzasca diventa un personaggio capace solo di ripetere se stesso e non di avere una reale evoluzione narrativa. Apprezzatissimo attore del cinema italiano di questi ultimi anni, Michele Placido ha dato prove alterne alla regia. Nel 1990 presenta al Festival di Cannes la sua prima opera come regista, Pummarò, sul problema degli extra-comunitari. Seguono Le amiche del cuore (1992), Un eroe borghese (1995), Del perduto amore (1998), Un viaggio chiamato amore (2002), il fallimentare Ovunque sei (2004), Romanzo criminale (2005), storia della banda della Magliana tratta dall’omonimo romanzo di Giancarlo De Cataldo (che, come Placido, fa un cameo nel film), grande successo in Italia e ottimamente accolto anche alla Berlinale 2006, Il grande sogno (2009), film sul ’68 presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia e davbvero oleografico ec di scarsissimo spessore. Presto Placido dovrebbe mettersi a lavoro su un thriller dell’orrore intitolato Miserere, che girerà in Francia con una budget di soli 15ml €, con una sceneggiatura basata su un libro di Grangé Jean-Christophe e che, speriamo, abbia esiti filmici ed etici migliori. Intanto il nostro orgoglio nazionale, dopo la caduta di ieri, può sperare di risollevarsi, perché oggi, a Venezia, è la giornata dell’ineffabile Mario Martone, in concorso (lui sì, che ha il coraggio di cimentarsi, direttamente) con “Noi credevamo”: un racconto che quattro episodi oscuri della fase epica del Risorgimento italiano e le memorie di Domenico (Luigi Lo Cascio), rivive la discussa epopea della lotta per l’indipendenza dei mazziniani, dei piemontesi, dei repubblicani del Sud. Il titolo rimanda al bel libro di Anna Banti e Martone ricorda a modo suo, con una saga fluviale e intensa, i 150 anni dell’Unita’ d’Italia.
Carlo Di Stanislao
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