L’età, davvero può giocare brutti scherzi, anche alle menti più prudenti e sottili, che con gli anni possono annebbiarsi. E’ quanto è accaduto, almeno pare, in queste ore al senatore a vita Giulio Andreotti, il mai incastrato “divo”, che parlando di Ambrosoli e Sindona, durante l’intervista a Giovanni Minoli per una puntata di “La storia siamo noi”, in onda stasera su Raidue, ha detto che il primo, in fondo, “se l’andava cercando”. E, in sovrappiù, si dice anche “sorpreso”, in una nota diramata in serata, dall’indignazione suscitata dalle sue affermazioni. “Sono molto dispiaciuto – spiega- che una mia espressione in gergo romanesco abbia causato un grave fraintendimento sulle mie valutazioni delle tragiche circostanze della morte del dottor Ambrosoli”. Con quel “se l’andava cercando”, aggiunge Andreotti, “intendevo fare riferimento ai gravi rischi ai quali il dottor Ambrosoli si era consapevolmente esposto con il difficile incarico assunto”. E interviene anche il figlio Umberto, che dichiara, su Repubblica, “Andreotti è perfettamente coerente con la propria storia , con il processo di Palermo, con il processo per l’omicidio di mio padre. Ciascuno, con questa frase, potrà arricchire il proprio giudizio su quella storia, su quegli anni e sui suoi protagonisti. Per il resto, è superflua qualsiasi altra considerazione”. Sulla figura del padre, l’avvocato Umberto Ambrosoli ha di recente scritto un libro, “Qualunque cosa succeda” (Sironi editore) in cui ai ricordi familiari mischia la vicenda pubblica del funzionario integerrimo nominato liquidatore dell’impero di Sindona, il bancarottiere che lo stesso Andreotti definì, tra l’altro, “salvatore della lira”. Così non sembra a Umberto Ambrosoli, figlio dell’avvocato ucciso nel ’79, , che commenta sul Corriere: “Appare l’ennesima e più chiara manifestazione del fatto che Andreotti nello scontro fra Ambrosoli e il bancarottiere Sindona, da lui salutato come il ‘salvatore della lira’, ha saputo per chi schierarsi fin dal primo momento”, ha scritto il quotidiano di via Solferino”. E a continuato: “”Non so se le parole del Senatore Andreotti rappresentino un sentire comune. Francamente ho la sensazione opposta”. Infine ha detto che, a suo giudizio. “il mondo economico finanziario ha fatto tesoro di quella esperienza per cambiare qualcosa” mentre “il mondo politico sembra non aver fatto nulla di quell’esperienza”. Ricordiamo che, sulla figura del padre, l’avvocato Umberto Ambrosoli ha di recente scritto un libro, “Qualunque cosa succeda” (Sironi editore), in cui ai ricordi familiari mischia la vicenda pubblica del funzionario integerrimo nominato liquidatore dell’impero Sindona. Per Leoluca Orlando, protavoce dell’Italia dei Valori, “l’affermazione del senatore Andreotti su Giorgio Ambrosoli, un vero eroe borghese, appaiono gravissime e sono un insulto al coraggio civile e alla cultura della legalità. Se quanto ha detto fosse confermato, dovrebbe chiedere scusa alla famiglia. In una sola frase ha infangato la memoria del coraggioso Giorgio Ambrosoli, assassinato per la sua onestà, quella di tutti i cittadini onesti e dei servitori dello Stato che hanno perso la vita perché non sono scesi a compromessi”. Quanto a Fabio Granata, deputato di Fli e vicepresidente dell’antimafia, ha detto. “Le parole di Andreotti sono gravissime perché Ambrosoli è stato un e non si è fermato davanti alle minacce e alla violenza dell’Italia mafiosa, affarista e piduista. Andreotti se vuole trovare l’esempio vero di chi se ‘l’andava cercando pensi a Salvo Lima e ai suoi rapporti organici e spregiudicati con Cosa Nostra, per rafforzare il potere della corrente andreottiana”. Sulla questione è intervenuto anche il sottosegretario all’Interno, Alfredo Mantovano, che ha diramato il seguente commento: “”Giorgio Ambrosoli non se l’è ‘andata a cercare’. Ha ricevuto, senza sollecitarlo, un incarico professionale gravoso. Lo ha portato avanti basandosi solo sulla sua competenza e sul suo senso del dovere. Sorprende che 30 anni dopo il presidente Andreotti continui a mostrarsi più vicino a Sindona che all’avvocato Ambrosoli. Il quale, non essendosela ‘cercata’, certamente non ha ‘tirato a campare’, ma ha pagato il prezzo più alto”. Infine, Giorgio La Malfa, testimone della stagione rievocata da Andreotti, ha detto:”la frase pronunciata dal Senatore è assolutamente inaccettabile. Ambrosoli fu fatto assassinare da Michele Sindona perché, come liquidatore della banca di Sindona nominato dalla Banca d’Italia, non accettò di coprirne le malefatte. La cosa drammatica è che in quella vicenda, esponenti investiti di alte responsabilità istituzionali si schierarono a sostegno di Sindona e cercarono in tutti i modi di salvarlo”. L’Andreotti di Sorrentino è un uomo che ha consacrato tutto se stesso al Potere. Un politico che ha saputo vincere anche quando perdeva. Un essere umano profondamente solo che ha trovato nella moglie l’unica persona che ha creduto di poterlo conoscere. La sequenza in cui i due siedono mano nella mano davanti al televisore in cui Renato Zero canta “I migliori anni della nostra vita” entra di diritto nella storia del cinema italiano. È la sintesi perfetta (ancor più degli incubi ritornanti con le parole come pietre scritte a lui e su di lui da Aldo Moro dalla prigione delle BR) di una vita consacrata sull’altare sbagliato. Forse le parole sfuggite ieri al senatore sono frutto di demenza incipiente e senile, ma forse solo il segno simbolico di un modo di essere e di pensare, coerente da 50 anni con se stesso.
Carlo Di Stanislao
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