(Omosessuali e matrimonio; “fratello Gheddafi”; origine dell’Universo)
L’aggettivo non mi appaga. E’ ben più che un fastidio, è piuttosto scontentezza nei miei stessi confronti per non riuscire a capire quel che molti in molti casi dichiarano certezze e altri in altri casi non vedono il problema non so se per indifferenza oppure perché vaccinati da tutto quel che i nostri tempi usano offrirci (soprattutto attraverso l’arbitraria scrematura operata come di consueto dai pulpiti dell’informazione).Alcuni di questi interrogativi come dal sottotitolo presi tra tanti che qui mi pongo:
a) “Perché gli omosessuali ci tengono tanto ad unirsi secondo un matrimonio di tradizione propria degli eterosessuali?
b) “Quale opinione è la più calzante nei confronti delle 200 ragazze reclutate per ascoltare il “verbo” del, ora, sedicente “fratello Gheddafi”, ex “colonnello”, e della liceità o dell’ opportunità offertagli che lo stesso abbia potuto fare proselitismo musulmano?
c) Perché l’astrofisico Stephen Hawking, celebre per i suoi studi sull’origine dell’universo, si è cimentato nel suo libro di imminente pubblicazione, a sostenere la tesi della non necessità di un Dio creatore dell’Universo?
In questo pulviscolo vediamo il punto a)
Compete il matrimonio anche agli omosessuali?
Tra le varie ipotesi a sostegno di questa tesi mi appare preminente la causale ideologica, la tesi cioè della omosessualità come normale variante sessuale umana, perciò in nulla lecitamente diversificabile, sia dal punto di vista giuridico sia quanto a morale religiosa sia quanto a costumi e tradizioni, dalla coppia eterosessuale.
Ma siamo sicuri che questa sia la motivazione originaria reale? Personalmente ne dubito, anticipo anzi che potrebbe trattarsi piuttosto della solita valanga formatasi dal convergere di tante teorie pseudo-scientifiche al servizio di mastodontici spesso strumentali preconcetti e inossidabili luoghi comuni. E cerco di capire il perché del mio dubbio.
A tal fine mi calo nei panni degli omosessuali e quel che mi sembra dominare il campo sono una grande sofferenza e conseguentemente una ancora più grande reattività alla persecuzione e al disprezzo di cui sono vittime da sempre. Quindi la mia opinione è che tale presa di posizione non sia altro che un accumulo di reattività derivata da una troppo duramente pagata persecuzione. Attraverso i diversi tempi e i diversi luoghi gli omosessuali hanno conosciuto le prigioni la condanna a morte e soprattutto il pubblico dileggio e disprezzo e non di rado il suicidio. Non c’è che da documentarsi “leggendo” nella storia dell’omosessualità.
A me sembra che sia addebitabile al “progresso” una buona quota di responsabilità di questa richiesta omologante, per non aver dato ben diverse risposte alle tante pubbliche proteste omosessuali come ci si sarebbe aspettato se non da un’evoluzione e da un diffondersi di maggiori e serie cognizioni scientifiche almeno da una trasformazione dei costumi da parte del mondo cosiddetto civile.
Viceversa nel quotidiano, anche nei suddetti Paesi civili, persistono un comune linguaggio irrisorio composto da una squalificante terminologia dura a svecchiare, come frocio, ricchione, invertito e altre definizioni a seconda dei dialetti del bel Paese. E, purtroppo, a volte insieme a episodi di violenza.
Da qui mi pare prendere origine e forza la rivendicazione omosessuale in oggetto come corollario ineludibile del criterio che legittima l’assoluta normalità degli omosessuali, tali quindi da dover essere considerati assolutamente titolari degli stessi diritti umani e civili di tutti i cittadini. (Non entro nel merito se l’omosessualità sia o non sia una forma patologica perché nella mia mentalità anche nel caso che si trattasse veramente di una patologia non mi sembra motivazione tale da giustificare in alcun modo un’alienazione di qualsiasi diritto umano).
Il prodursi della rivendicazione omosessuale circa il matrimonio mi pare spiegabile anche perché analoga risposta la si trova in molte altre controversie; quando lo scontro tra diversi criteri di giudizio s’ingigantisce esso produce una reattività esasperata in chi subisce gli effetti di questo giudizio. (Ma sappiamo bne che esiste anche una reattività ideologica di certi regimi autoritari abnormemente malnutriti da deliri razzisti che può sfociare in forme persecutorie di grande crudeltà o finalizzate addirittura all’annientamento degli indifesi).
Anche tale fenomeno abnorme non rientra in questa riflessione pur essendo intimamente tessuto nella cultura e nelle tradizioni e costumi di forse tutti i popoli.
Mi limito a supporre che questi regimi reagiscono alla paura e alla debolezza, paura dei capi d’essere considerati a loro volta omosessuali, e debolezza perché si sanno impotenti ad opporsi all’impeto popolare una volta da essi stessi scatenato, come costante storica delle persecuzioni. Persecuzioni in genere reificatesi quasi sempre su capri espiatori a camuffamento di ben altri rischi politici e/o religiosi. Non pochi scelgono d’essere persecutori anzi che perseguitati.
Gli elettivi capri espiatori sono sempre state le donne, gli ebrei, le minoranze, gli handicappati, e altri ancora a seconda dei periodi storici.
Un sistema per opporsi a questo deleterio circolo vizioso mi sembra esserci, ed è quello prima di tutto di contrastare la desolante disinformazione che ancora svetta nell’opinione pubblica e ahimè tra troppi politici e troppi giornalisti sull’omosessualità.
Non ho mai avuto occasione di trovare un lavoro serio di analisi di questo connotato umano in veste divulgativa, lavoro che come primo assioma dovrebbe dichiarare che non esiste l’omosessualità ma che esistono le omosessualità.
L’opinione pubblica potrebbe così abituarsi a porsi mentalmente dei distinguo tra l’omosessualità dovuta a una variante genetica e quella dovuta a una variante squisitamente psichica, tra omosessualità compensative derivate da disistima del partner eterosessuale a omosessualità dovuta a costumi permissivi o a filosofie “aristocratiche”, da quella dovuta al dominio del più forte sul più debole e quindi a subordinazioni gerarchiche, da condizioni di promiscuità forzata (prigioni, conventi, Paesi sessuofobici), dal consumismo sessuale, per il quale tutto è permesso pur di provare diverse e sempre più eccitanti sensazioni, fino alla condizione di “superamento” di una univoca appartenenza sessuale di cui la cronaca si è ampiamente occupata recentemente, e, buon ultima, la più preoccupante, la pedofilia. Pedofilia che ha antiche radici biologiche e culturali spesso in qualche modo legalizzate purtroppo non portata oggi allo scoperto, come sarebbe tassativo fare, dato che nulla si può combattere se prima non se ne ha una profonda conoscenza. Ma agli informatori riesce più agevole e sbrigativo fare leva su i facili trascinamenti popolari verso una drastica ma assai confusa perciò improduttiva condanna. Improduttiva perché non produce consapevolezza e quindi non insegna.
Limitandomi alla più comune omosessualità, direi adeguata una forte opposizione solo nei casi dove si manifestasse la violenza l’offesa e la volgarità. Come del resto dovrebbe essere per qualsiasi manifestazione di carattere sessuale.
Ma per affrontare questa tematica è necessaria una già acquisita vasta cultura o una ricerca certosina in tutti i campi dello scibile visto che non c’è nulla che riguardi l’uomo che non contenga tutto quel che concerne l’uomo.
La terapia sintomatica a me pare sintetizzabile così: diffondiamo il criterio della massima tolleranza e rispetto delle differenze di genere. Asteniamoci dal giudicare chicchessia, diffidiamo del perbenismo, prendiamo le opportune distanze in eguale misura da qualsiasi forma di abnorme esibizionismo sia omo che etero, rifiutiamoci di adoperare argomenti sessuali per fini di rivalità e ambizioni politiche, non diventare noi stessi manovalanza di dispotici poteri o divulgatori di superficiali luoghi comuni persecutori, rifiutiamo di adagiarci nelle usuali terminologie tanto crudeli quanto volgari nei confronti degli omosessuali così come delle donne considerate di facili costumi.
Chi usa un linguaggio che bolla socialmente chicchessia pur fruendone, non fa che bruciare incenso sull’altare di un fragile maschilismo convinto d’essere l’unico legittimamente esonerato da ogni tipo di regole e di giudizi.
Per concludere dico la mia in risposta al quesito iniziale: nei panni dell’omosessualità, rifiuterei il matrimonio “convenzionale” (esempio di dizione reattiva) degli eterosessuali e reclamerei una unione con caratteri che pur replicando in tutto e per tutto i diritti e doveri del matrimonio assumesse una precisa e ben diversa identità, di pari se non di superiore dignità. Cercherei una denominazione incisiva che ben rimarcasse la diversità e quindi una sua altrettanto differente significazione a indicare una particolare natura elettiva perché anche rinunciataria dei fini procreativi, come massima offerta di reciproca dedizione. Con “orgoglio”. (Mi presto a questa seconda dizione reattiva per l’intento d’invitare gli omosessuali a non considerarsi né promossi né premiati uniformandosi agli eterosessuali, o menomati qualora non gli fosse consentito.
Io ci terrei a difendere la differenza, lasciamo stare l’orgoglio, con dignità e compostezza).
È un’opinione.
Gloria Capuano
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