In visita a Salerno, il Capo dello Stato Giorgio Napolitano spera nella fine di un’estate inquieta e politicamente inutile e si toglie la soddisfazione di dire: “Contro di me ad agosto ci sono state polemiche non garbate” ed affermare che: “è bene se il governo prosegue il suo mandato. Il ricorso al popolo del resto non è un balsamo per ogni febbre”. In modo fermo il Presidente ha poi chiesto un confronto produttivo “per bloccare penose dispute contabili e recriminazioni sul dare e l’avere tra Nord e Sud”. Parlando dal teatro Augusteo del capoluogo del Cilento, Napolitano osserva che se e’ vero che ”il tasso di disoccupazione in Italia e’ minore di quello di altri grandi Paesi europei tuttavia esso comprende un livello molto piu’ elevato per i giovani e per il Sud: abbiamo il dovere nazionale, storico e morale, di dare risposte ai giovani del Mezzogiorno”. ”E’ tempo che nel nostro Paese si faccia uno sforzo per individuare le priorità e per concentrare l’attenzione sui maggiori problemi che sono davanti al Paese e che richiedono di essere affrontati con accresciuto impegno. Tra essi -ricorda il presidente della Repubblica- vi e’ certamente quello delle attuali condizioni del Mezzogiorno e delle sue prospettive di sviluppo”. Bisogna attuare il federalismo, andare avanti, “ma non bisogna giocare con le parole”, ha detto Napolitano. “Si tratta di stabilire come intendere il federalismo, non si tratta di tornare indietro o mettere i bastoni fra le ruote. Si deve attuare il titolo quinto ma – ha aggiunto – quando si parla di federalismo solidale, cooperativo, ogni volta che il parlamento deve varare i provvedimenti, il senso di queste parole deve essere mantenuto”. Né è mancato il ricordo dei tre operai morti nello stabilimento Dsm a Capua. “Non mi hanno colpito soltanto le circostanze assurde dell’incidente che ha procurato la morte di tre giovani operai – ha detto Napolitano – mi ha colpito soprattutto il racconto che abbiamo sentito su come lavoravano. In quali condizioni lavoravano, per quanti euro lavoravano per come non abbiano fatto le ferie, per come siano stati chiamati senza che ci fosse urgenza a lavorare”. Vedremo ora se questi punti saranno toccati ed in che modo, nel discorso di fine mese di Berlusconi a Montecitorio e soprattutto, se, dopo un agosto tutto avvitato su veleni e contro veleni, si passerà dalle parole ai fatti. Ciò che a lui interessa, come più volte detto, è il processo breve e lo scudo, mentre la Lega è interessata ad una riforma federale di marca nordista. Napolitano oggi a Salerno ha stigmatizzato che, con la politica recente, è stato trascurato “il particolare che la vita di un Paese democratico e delle sue istituzioni elettive, nelle quali si esprime la volontà popolare, deve essere ordinata secondo regole, per potersi svolgere in modo fecondo e per poter produrre i risultati attesi”. Dopo aver ricordato le analisi della Banca d’Italia, le elaborazioni dello Svimez e il rapporto sugli interventi nelle aree sottosviluppate presentato dal ministero per gli affari regionali, il capo dello Stato ha indicato l’esigenza di ”partire da questi dati per una discussione non viziata in partenza da contrapposizioni polemiche e non condizionata da accuse perentorie e da invettive come quelle che di recente sono risuonate”, parole che sono un monito alla Lega che non può non tenere conto delle gravi condizioni del Sud e non sempre e solo per sua colpa. Anche oggi, intanto, Berlusconi promette un ministro dello sviluppo, ma non fa nomi, perché tutto, come nota l’Unità, dipenderà, anche in questo caso, dalla sua contesa con i finiani. Insomma più urgente che guardare al Sud, alla disoccupazione, ai giovani, è per lui trattare con i finiani attraverso Viespoli e Moffa che, assieme ad un ex An come Augello, predispongono la road map per ricomporre lo strappo da presentare a Palazzo Grazioli. Che il Cavaliere non possa fare a meno dei finiani lo dimostra l’intesa Alfano-Bocchino per dargli un nuovo salvacondotto giudiziario. Ma altrettanto vero è che l’Italia non può aspettare. Anche l’affermazione di de Angelis, uno dei pontieri, secondo cui: “C’è un dato di responsabilità. I nostri elettori hanno votato il simbolo Pdl con scritto Berlusconi” è alquanto ridicola per chi non sente come prima responsabilità quella di governare e decidere su argomenti vitali come investimenti, tutela del lavoro e sviluppo. Ed intanto, mentre la nave va senza nocchiero, né capitano, né ufficiali, impegnati a salvaguardarsi privilegi e cabine in prima classe, si delinea un futuro peggiore del berlusconismo, più crudo, spigoloso e reazionario, come dice Stefano Folli sul Sole 24 Ore, già ribattezzato “marchionismo”, figlio di una globalizazzione contro la quale neanche la sinistra riformista ha trovato soluzioni, né argini. L’enorme squilibrio del costo del lavoro nei vari Paesi in grado di servire nello stesso modo il capitale occidentale, rivoluziona il rapporto tra capitale e lavoro. E rende molto più forte, sul piano della contrattazione, il capitale. Quando Marchionne dice: “È finita l’epoca del conflitto tra capitale e lavoro”, intende esattamente questo. Cioè, pensa che il conflitto sia finito perché il capitale ha stravinto. E su questa base, anziché cercare un strategia per affrontare la crisi, si accontenta di trovare la soluzione nell’abolizione dei diritti sindacali e nel raddoppio, o più, del grado di sfruttamento dei lavoratori, rispetto a quindici anni fa. Marchionne pensa che questo sia un segno e una dimostrazione di forza e, certamente, essa da buoni risultati nell’immediato, basati sul principio secondo cui a pagare debbono essere i più deboli. Ma questa strategia, peggiore e più scura del berlusconismo, sul medio periodo potrebbe comportare veri e propri disastri sociali e politici, tali da farci rimpiangere come stiamo ora. Il 4 settembre a Cernobio, durante un faccia a faccia fra Tremonti e Bertinotti, si è visto che, almeno sul diritto di sciopero, i due avevano idee differenti. Per Tremonti tale diritto andrebbe rimodulato, mentre per Bertinotti, in riferimento al caso Fiat-Melfi, c’e’ organizzazione del lavoro e organizzazione del lavoro e quella della Fiat di Melfi, è “un’organizzazione del lavoro autoritaria”. E ai giornalisti che gli facevano notare i successi di Sergio Marchionne negli Usa e i problemi di competitività dell’Italia, Bertinotti ha risposto che il sindacato statunitense ha una storia del tutto diversa da quella del sindacato italiano e che alterna momenti di grande conflittualità a momenti di massima collaborazione e, ancora, che un operaio può anche non reggere i ritmi di lavoro previsti dalla “saturazione dei tempi” di Melfi e finire quindi per ammalarsi a causa dello stress da lavoro. Naturalmente non convincendo nessuno, poiché oggi il marchionismo è ancora subliminare e solo i più attenti ne individuano pericolo e forza. Fra questi Cesare Romiti, che intervistato su La Stampa da Aldo Cazzulo dopo l’exploit di Marchionne al meeting di Rimini, dice che le vertenze vanno governate e non acuite con inutili bracci di ferro. Parlando dei morti a Capua e mentre per Tremonti la 626 è un lusso inattuabile in molti casi, Napolitano aveva in mente l’elemento centrale: una garanzia di sicurezza per i lavoratori. Così ha detto, testuale, che il rischio sul lavoro: “è la realtà della condizione di tanti lavoratori, aspiranti lavoratori, giovani lavoratori precari” ed aggiunto che questa “è una grande questione sociale e nazionale di cui tutto il Paese deve riuscire a farsi carico e di cui naturalmente devono riuscire a farsene carico le istituzioni locali e regionali”. Una questione che, certamente, il nuovo Paese progettato da Tremonti e Marchionne, non terrà in alcuna considerazione.
Carlo Di Stanislao
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