Il prossimo 17 si inaugura la serie di eventi per commemorare Nino Carloni, grande aquilano e grande “servitore” della musica, nato esattamente 100 anni fa e morto nel 1987, colui che creò, sotto al Gran Sasso e in luogo sperduto d’Italia, una delle capitali europee per la cultura musicale, come scrisse Guido Piovene su Tutt’Italia, nel 1969. Venerdì, dicevamo, la Sinfonica Abruzzese e il 19 settembre i Solisti Aquilani, dedicheranno a Carloni due concerti, mentre dal 30 settembre al 27 novembre una mostra fotografica allestita al Conservatorio Casella, ripercorrerà la sua storia e quella della città, dal 900 ad oggi. E, ancora, dal 17 al 19 settembre si terrà un convegno nazionale sul tema “Fare musica in Italia, bilanci e prospettive, un excursus dal dopoguerra ad oggi, in compagnia di tecnici, studiosi, musicologi, fra cui il grande Roman Vlad, che di Carloni fu grande amico e profondo estimatore. Le celebrazioni si chiuderanno il 27 novembre, con l’assegnazione del Premio a lui dedicato e un concerto offerto dall’Orchestra Sinfonica Abruzzese. Fondatore della Società Aquilana dei Concerti (1946) e più tardi anche dei Solisti aquilani, de l’Istituzione Sinfonica Abruzzese e del Conservatorio Casella, Carloni ha dedicato la vita intera alla musica e alla sua capillare diffusione. Già lo scorso 25 marzo l’Orchestra Sinfonica Abruzzese aveva dedicato a Carloni uno speciale, con sul podio il direttore e pianista Maurizio Zanini. Molto interessante, in questa commemorazione sentita e partecipe, condivisa da Comune, Provincia e regione, la mostra, intitolata “Il coraggio dell’utopia”, strutturata in due sezioni, la prima che illustra alcuni dimenticati decenni della storia aquilana e la seconda con al centro la sua figura (23 marzo 1910 – 30 settembre 1987), di apostolo della musica aquilana che seppe dare a un’utopia un corpo vivente, subito inserito nel panorama culturale italiano e internazionale, e tuttora operoso. “Il coraggio dell’utopia” è anche il titolo di un romanzo di Paolo Volponi, un romanzo (ed un Autore), che si attagliano molto al nostro grande sacerdote della cultura con la musica e per la musica, intesa come un narrazione-poetica, alla strenua ricerca di un discorso non mimetico, capace di sfuggire a dettami del realismo e ad ogni illusione di una restituzione unitaria e composta dell’esperienza umana, nel mondo attuale. La figura distopica di una società umana, tecnologicamente avanzata, a cui spetta un destino di distruzione non solo dell’uomo stesso, ma dell’intero universo vivente e la potenza maligna dell’artificio tutto umano, che possono essere risolti dalla e con la musica, dalla e con la cultura. E’ questo il grande lascito dell’immenso Carloni. Per Carloni, come per Carlo Migliaccio (“Musica e utopia. La filosofia della musica di Ernst Bloch”, Guarino e Associati) come l’utopia, la musica rappresenta una zona franca, libera dai vincoli della materia, in cui il tempo e lo spirito umano si incontrano e passato e presente sono illuminati dallo sguardo lanciato sul futuro. Come una sorta di John Cage nostrano e tenacissimo, in nostro avvocato musicale, ha dimostrato che è il suono il più umano degli strumenti, che apre ed invola verso il piacere delle vocali, velari, fricative, verso le incertezze esaltanti della pronuncia, della prosodia, del suono proprio, fra tutti gli altri suoni.
Carlo Di Stanislao
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