Ieri, ultimo giorno di Papa Benedetto XVI in Inghilterra, con arrivo di buon ora a Birmingham , accolto al Cofton Park da 70.000 mila persone, in una giornata segnata da una pioggia sottile, dedicata alla beatificazione del cardinale John Henry Newman, nel giorno che coincide con il settantesimo anniversario della Battaglia d’Inghilterra contro “l’aggressione nazista”. E Benedetto XVI coglie l’occasione per ribadire “vergogna e orrore” per quella “ideologia maligna” e per la “spaventosa quantità di morte e distruzione che la guerra porta con sé”. Ed aggiunge: “Il mio pensiero va in particolare alla vicina Coventry, che ebbe a soffrire un così pesante bombardamento e una grave perdita di vite umane nel novembre del 1940. Settant’anni dopo, ricordiamo con vergogna ed orrore la spaventosa quantità di morte e distruzione che la guerra porta con sé al suo destarsi, e rinnoviamo il nostro proposito di agire per la pace e la riconciliazione in qualunque luogo in cui sorga la minaccia di conflitti.” Nel pomeriggio Benedetto XVI incontrerà i vescovi della Conferenza episcopale d’Inghilterra e Galles e quelli della Scozia. Alle 19.15 circa, ora italiana, si svolgerà la cerimonia di congedo all’aeroporto internazionale di Birmingham, con il rientro a Roma-Ciampino, che è previsto intorno alle 22.30. La sintesi del suo pensiero, in generale e verso l’Inghilterra, l’ha concentrato in un passaggio dell’omelia di quest’oggi: “Lo specifico servizio al quale il Beato John Henry Newman fu chiamato comportò l’applicazione del suo sottile intelletto e della sua prolifica penna a molti dei più urgenti “problemi del giorno”. Le sue intuizioni sulla relazione fra fede e ragione, sullo spazio vitale della religione rivelata nella società civilizzata, e sulla necessità di un approccio all’educazione ampiamente fondato e a lungo raggio, non furono soltanto di importanza profonda per l’Inghilterra vittoriana, ma continuano ancor oggi ad ispirare e ad illuminare molti in tutto il mondo.” In molti e prima ancora del suo arrivo, si sono dimostrati ostili al Papa; anche esponenti di primo piano del mondo politico inglese, come il sindaco di Londra, che ha minimizzato la portata dello storico viaggio dichiarando: “di certo non influenzerà affatto la coscienza degli inglesi”, legati ai fatti religiosi sempre in modo “superficiale e marginale”. Non la pensa così il leader Cameron che, pur non essendo presente al discorso di Benedetto XVI alla Westminster Hall di Londra, perché in contemporanea si svolgevano i funerali di suo padre, ha colto al volo l’opportunità offerta dalla visita papale, sostenendo che essa va nella direzione di un appoggio da parte cattolica, a quel progetto di Big Society che è una reinterpretazione, in chiave più moderata, della dottrina di Margaret Thatcher, secondo cui i pesanti tagli al bilancio dello Stato sociale, previsti da Cameron e Clegg, andrebbero colmati con l’aiuto della società civile che, ad avviso del premier, deve essere molto valorizzata. E poiché all’interno della società civile ci sono naturalmente anche le Chiese e le istituzioni religiose, a cominciare da quelle anglicana e cattolica, con le loro istituzioni educative, “charities” e organizzazioni non profit, Camerun spera che il Papa con il suo viaggio, possa indurre ai cattolici ad sorta di “sussidiarietà indispensabile per la realizzazione della sua politica. Inoltre, come ha anche detto nel suo incontro privato con Benedetto XVI, il secondo giorno di visita, Cameron è certo dell’alleanza e dell’appoggio del Vescovo di Roma sui grandi temi internazionali: pace, disarmo, ambiente, sviluppo; temi di cui si è lungamente discusso in una cena privata tra il seguito papale e i politici inglesi, due giorni fa e che, pare, abbia portato a più sintonia di quanta se ne sia creata nel recente incontro a Roma fra Camerun e Berlusconi. Alla fine di questi quattro giorni, sono in molti fra i cattolici inglesi, ad affermare che nonostante il tentativo di oscuramento e minimizzazione da parte dei media e di alcuni politici inglesi, il successo del viaggio papale è indiscutibile. E lo è maggiormente se si pensa alla figura-perno di tale viaggio, quel cardinal Newman che è snodo centrale tanto per gli anglicani che per i cattolici, il cui motto fu “Cor ad cor loquitur, “il cuore parla al cuore” e che ci fa comprendere cosa significhi che a ciascuno è assegnato un compito specifico, un “servizio ben definito, affidato unicamente ad ogni singolo”. Fermamente contrario ad ogni approccio riduttivo o utilitaristico, Newman realizzò un modello educativo nel quale la formazione intellettuale, la disciplina morale e l’impegno religioso procedevano assieme. In definitiva ciò che Benedetto XVI invia come mano tesa ai laici inglesi e di tutto il mondo è il contenuto del famoso appello del Beato John Henry per un laicato intelligente e ben istruito: “Voglio un laicato non arrogante, non precipitoso nei discorsi, non polemico, ma uomini che conoscono la propria religione, che in essa vi entrino, che sappiano bene dove si ergono, che sanno cosa credono e cosa non credono, che conoscono il proprio credo così bene da dare conto di esso, che conoscono così bene la storia da poterlo difendere”. Un grande messaggio, come grande è stato quello contenuto nel discorso di Londra (che si è cercato di oscurare con racconti poco credibili di attentati scongiurati ed attentatori neanche arrestati), un messaggio di “realismo cristiano”, in un momento in cui, nella vita di tutti, l’urgenza degli argomenti e dei problemi fanno si che fede e vita inevitabilmente si incrociano, un momento in cui la fede è destinata a portare frutto nella trasformazione del nostro mondo mediante la potenza dello Spirito Santo che opera nella vita e nell’attività dei credenti. In effetti condivido in pieno il profondo contenuto dei discorsi papali nel suo viaggio inglese: nessuno che guardi realisticamente al nostro mondo d’oggi può pensare che i cristiani possano continuare a far le cose di ogni giorno, ignorando la profonda crisi di fede che è sopraggiunta nella società, o semplicemente confidando che il patrimonio di valori trasmesso lungo i secoli cristiani possa continuare ad ispirare e plasmare il futuro della nostra società. Ciascuno di noi ha una missione, ciascuno è chiamato a cambiare il mondo, ad operare per una cultura della vita, una cultura forgiata dall’amore e dal rispetto per la dignità di ogni persona umana. E questo può essere condiviso anche dai quei laici non affetti da dogmatico laicismo. Come scrive Il Sole 24 Ore, il viaggio in Gran Bretagna sarà ricordato come il momento in cui il Papa ai cristiani impegnati dice: non siate arroganti e polemici, vivete la fede con pienezza e ai laici intransigenti indica una necessaria guerra alla imperante dittatura del relativismo, che è la cifra più autentica del suo pontificato, che, non a caso, ha di recente costituito un nuovo dicastero proprio per rivangelizzare i paesi di lunga tradizione cristiana. Pertanto la prima sfida di Ratzinger a è in casa, nell’occidente ricco e stretto tra spinte secolarizzatrici e la ricerca dell’Assoluto che il popolo cattolico persegue tra continui smarrimenti. E, ancora, in una terra di scismi, quella di abbracciare le altre confessioni cristiane, parlare alle altre religioni proponendo il terreno comune senza per questo dimenticare che ognuno a casa propria prosegue il proprio cammino. Con gli anglicani – con cui i rapporti sono non proprio distesi dopo la Costituzione apostolica che permette di accogliere i transfughi tradizionalisti, compresi preti e vescovi sposati (per ora nulla è accaduto) – ha cercato di chiudere il contenzioso, segnando anche qui il fatto storico di essere il primo papa che ha celebrato dentro Westminster Abbey, un fatto storico da quel lontano 1533 dello scisma e dal 1535 della condanna morte di Tommaso Moro. In definitiva, mi sono convinto, dopo i vari interventi di questo difficile viaggio, che il segno di Ratzinger è profondo e tutta la sua opera avrà il suo dispiegamento nel medio – lungo termine, cercando una pulizia difficile nella chiesa ed un dialogo autentico fra diverse confessioni che salvaguardino i valori fondanti di un Occidente ormai privo d’identità.
Carlo Di Stanislao
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