Vedrete che presto Berlusconi troverà, nella sua corte, un nuovo Mercantini che, preso da enfasi poetica (sarà lo stesso Bondi?), scriverà una versione moderna e al maschile della “Spigolatrice di Sapri” (forse intitolandola “Il falciatore di Arcore”) e cambierà, nei versi, il numero, rieterandolo per allitterazione ed elevandolo per aderire ai nostri giorni, da 300 a 316: la cifra della speranza. E mentre su questo numero e sulla sua esistenza in vita si produce tutta la nomenclatura politica, irritando e scorando gli italiani, crescono i problemi di una Nazione nel fango più paludoso di un ristagno sì globale, ma che da noi è giunto a livelli allarmanti. In Italia mancano infrastrutture, politica economica, investimenti su innovazione e ricerca e, per colmo di ironia, si investono su cultura e beni culturali (la nostra ricchezza più importante) solo 26 centesimi ogni 100 euro spesi. “Finchè pugnar vid’io, per lor pregai; Ma un tratto venni men, né più guardai…Io non vedeva più fra mezzo a loro Quegli occhi azzurri e quei capelli d’oro!, scrive il romantico Luigi nel 1857. Ma oggi chiuderebbe gli occhi, angosciato, non tanto sui politici allo sbaraglio, nel governo e nell’opposizione, ma rivolto agli italiani lasciati nelle pesti e senza guida, mentre crescono i disagi dei singoli e della famiglie e nessuno interviene sulla perdita di posti di lavoro e di potere d’acquisto. Ed invece di mitigarsi, i problemi crescono di intensità e di numero. Scuola, pil, debito pubblico, salari al ribasso, sono solo alcuni di questi problemi, che si incancreniscono e di cui nessuno davvero si occupa. Poco evidenziati ve ne sono altri, poi, a dimostrazione dell’incapacità totale di questo governo di tener fede ai propri impegni. Ad esempio i guai mai risolti (nonostante i proclami) dell’Alitalia, in cui si parla di esuberi ed esternalizzazioni e, ancora, la crisi nel settore della cantieristica navale, con notizie, più o meno ufficiali, su un piano industriale a base di chiusure di fabbriche e tagli di posti di lavoro, che sarebbe già pronto a partire. A Sestri, Castellammare, Genova, Palermo si susseguono gli scioperi spontanei, con il segretario confederale della Cgil, Vincenzo Scudiere che dice: “La produzione industriale si riduce mentre il ricorso agli ammortizzatori sociali raggiunge livelli che senza finanziamenti renderanno sempre più drammatica la condizione di centinaia di migliaia di lavoratori”. Secondo lui, inoltre: “la mancanza di una strategia di politica industriale è molto grave e la vicenda Fincantieri rappresenta la punta dell’iceberg dell’assenza di governo della crisi. Ma ancor più grave è l’assenza del ministro dell’industria”. Oggi è in programma un’iniziativa della cantieristica navale organizzata dalle segreterie nazionali di Fiom-CgilL, Fim – Cisl, Uilm – Uil a Roma, al Centro Congressi Frentani, iniziativa a cui sono state invitate tutte le Regioni, le Province e i Comuni italiani dove ha sede Fincantieri. Il 1 ottobre, poi, è previsto uno sciopero di otto ore con manifestazione sotto Palazzo Chigi. Tornando alla questione Alitalia (altro fiore all’occhiello di questo governo, che pare l’abbia risolta con la stessa virtualità della immondizia di Napoli e del terremoto de L’Aquila), sono stati tutti gli organismi sindacali a chiedere chiarimenti alla compagnia aerea, dopo che un articolo pubblicato dal Corriere (http://www.corriere.it/economia/10_settembre_19/alitalia-piano-sabelli_7db2a04a-c3b8-11df-80e3-00144f02aabe.shtml) aveva resa nota l’intenzione dell’amministratore delegato Rocco Sabelli, di tornare ai numeri in organico previsti dal Piano Fenice. Il governo, prima con il ministro del Lavoro Sacconi e poi con quello dei Trasporti Matteoli, aveva smentito che fosse imminente un nuovo dimagrimento della compagnia , che tra l’altro veniva dai positivi risultati fatti registrare nell’ultima semestrale. “Duemila esuberi in Alitalia? Al governo non risulta, prima di dire qualcosa vorrei capire di che cosa si tratta” ha dichiarato Matteoli; ma pare che le cose stiano come denunciato dai giornali e che il governo ora giochi solo a fare lo gnorri e guadagnare tempo (come per Montecitorio e la compravendita dei richiamati 316 “eroi”). Rocco Sabelli, amministratore delegato della nuova Alitalia, che ha escluso qualche giorno fa, a un convegno della Fit-Cisl, di appartenere alla categoria dei “falchi”, con vago riferimento alla Fiat e al cipiglio di Sergio Marchionne, ha comunque, altrettanto vagamente accennato, anche al fatto che attualmente l’ex compagnia di bandiera conta 14 mila dipendenti rispetto ai 12.600 programmati. Pertanto i dipendenti in più sarebbero fra i 1.400 e 1.200 e a questi andrebbero aggiunti i contratti dei precari da non rinnovare, nell’ordine dei 600. Stando attento a non usare la parola “esuberi”, ma parlando di ritorno ai livelli di organico del Piano Fenice tramite “recuperi di efficienza e esternalizzazioni”, parole riportate da chi era presente e pubblicate anche nero su bianco sull’Intranet aziendale in un resoconto dell’incontro, l’ad non marchionniano, ha presentato, delle slides sui risparmi, dai contenuti per lo meno sospetti. Il tam tam in azienda è già partito: di esuberi parla chiaramente la Filt-Cgil, oggi federata con l’ex piloti dell’Anpac nell’Ipa, in una serie di comunicazioni in cui dichiara, tra l’altro, del tutto disattesi gli accordi di palazzo Chigi. Una tesi sostenuta da tempo dalla Cub, che ha inoltrato diversi esposti all’ispettorato del Lavoro sostenendo che l’azienda non rispetta i criteri di anzianità e carichi familiari nelle assunzioni. Un esempio? Secondo la Cub, l’azienda avrebbe aggirato quei criteri assumendo a piacimento a tempo determinato e solo successivamente convertendolo in tempo indeterminato. Tutto questo, se andasse secondo quanto previsto da dipendenti e sindacati, fra Alitalia e settore cantieristico, significherebbe la perdita di altri 10.000 posti di lavoro, da aggiungere ai quasi 500.000 persi, secondo l’Istat, fino a giugno. E gravi problemi si registrano anche nel settore economico e bancario, con una politica sempre più invadente e paralizzante, che vorrebbe (per usare una frase di Bossi) “mettere le mani sui soldi” e la loro distribuzione. La stampa, Il Sole 24 Ore, la Repubblica e il Corriere, a “pagine unite”, avvertono della minaccia Unicredit con l’ad Profumo verso le dimissioni, come “redde rationem” della battaglia aperta in uno dei principali centri di potere economico italiano. Una battaglia nella quale il caso Libia, per quanto decisivo e centrale, sembra essere anche il macigno che ha fatto precipitare uno scontro politico sotterraneo, che vede la Lega protagonista nel cercare di estendere la sua influenza sugli istituti di credito del Nord. Non a caso ancora ieri era il Carroccio a gridare “all’assalto” da parte dei libici, e per bocca del governatore del Veneto, Luca Zaia, a parlare di “scalata bella e buona, da contingentare”. Grida rispetto alle quali in molti – ad esempio la Cgil – hanno fatto notare che “la Lega sbraita contro i capitali libici ma in verità sembra alla ricerca di più posti di potere nella banca”. Certo la presenza della Libia è salita al 7,5%, come è salita quella degli Emirati Arabi, ma solo perché Profumo ha inteso trovare sostegno per tenersi libero da ingerenze politiche. Pochi giorni fa si è mosso lo stesso ministro degli Esteri Franco Frattini: rispondendo all’interrogazione parlamentare leghista Massimo Fugatti, il Tesoro ha fatto sapere che il ministero degli Affari Esteri ha chiesto a Tripoli informazioni sull’acquisizione da parte dei libici di quote di Unicredit per favorire l’indagine in corso da parte della Consob. Ed oggi, giorno dell’assemblea straordinaria in cui pare Profumo rassegnerà le sue dimissioni, si vedranno i risultati di uno scontro politico sotterraneo che vede la Lega sgomitare per “mettere mano ai soldi”. E’ interessante notare, a questo punto, la discesa in campo del Pdl, che, con Guido Crosetto, per anni responsabile del partito per il settore bancario, difende Profumo e dichiara: “Trovo che quello che stamattina sta succedendo in Unicredit è surreale. Stiamo parlando della terza banca europea e della prima italiana. Che Profumo sia un buon manager che ha portato la banca a un livello elevato è una cosa chiara a tutti. Convocare un’assemblea pensando di sfiduciarlo all’improvviso senza neanche avere in mente cosa possa avvenire dopo di lui mi sembra così maldestro e pericoloso da meritare una riflessione sugli amministratori che hanno deciso questo”. “Il giudizio lo sta dando anche la Borsa”, continua Crosetto, che si riferisce al calo del titolo di tre punti in un solo giorno, dopo i rumors sulle sue dimissioni. Ancora stamani, il sindaco leghista di Verona, Flavio Tosi, intervistato da Radio24, ha sottolineato che Profumo si è comportato come un custode infedele. “Se ti trovi dalla sera alla mattina qualcuno in casa e nessuno ti ha avvisato e qualcuno lo sapeva è come se tu avessi il custode di casa tua che ti fa entrare uno senza avvisarti: più o meno quello che è successo in UniCredit”. Tosi ha poi aggiunto: “Fermare i libici al 5%. Quello che avevamo evidenziato come problema territoriale è anche un problema bancario e finanziario. Mi occupo di politica e non faccio il banchiere ma far entrare dei soci come Gheddafi ed i libici vuol dire far entrare dei soci che potrebbero non fare gli interessi di Verona e del Veneto”. Bel modo davvero, aperto ed illuminato, di vedere le cose, con una parte d’Italia più importante di una intera Nazione. E pensare che di Tosi si dice essere una delle più belle intelligenze della Lega. A questo punto meglio non immaginare le altre. Per concludere, è di poche ore fa la notizia che la Procura di Roma ha chiesto e ottenuto dal Giudice per le indagini preliminari il sequestro preventivo di 23 milioni di euro giacenti sul conto corrente intestato allo Ior presso il Credito artigiano. La misura fa seguito alla sospensione disposta dalla Uif (Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia), dei due bonifici che la banca vaticana aveva chiesto di eseguire in favore della Banca del Fucino (3 milioni di euro) e di JP Morgan Frankfurt (20 milioni di euro). a magistratura romana si è mossa sulla base dell’articolo 55 del decreto 231/07, contestando al presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi, e al direttore generale, Paolo Cipriani, i reati previsti dai commi 2 e 3 dell’articolo 55, per aver omesso di indicare, benché richiesti, le generalità dei soggetti per conto dei quali eventualmente davano esecuzione alle operazioni (comma 2) e per aver omesso di fornire, benché richiesti, operazioni sullo scopo e la natura prevista dal rapporto continuativo (comma 3). In sostanza, Gotti Tedeschi e Cipriani – in quanto responsabili dello Ior – hanno omesso di fornire, secondo i magistrati, le informazioni imposte dalla normativa antiriciclaggio. Insomma da noi non cambia mai nulla: l’alta finanza si muove su crinali sospetti, la gente comune perde il posto di lavoro e la politica è interessata solo a se stessa ed ai suoi numerici giochini.
Carlo Di Stanislao
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