Secondo Massimo Giannino (La Repubblica di oggi), la cacciata di Profumo (con una consolazione di 38 milioni di Euro: la più alta buonuscita mai pagata ad un manager in Italia), segna la vittoria dell’asse Berlusconi-Geronzi, poiché il presidente del Consiglio ottiene una vittoria politica, in vista dell’appuntamento cruciale che, nella sua agenda, è fissato per il marzo 2011: le elezioni anticipate; mentre il presidente delle Generali strappa una vittoria finanziaria, in vista della mossa che, nella sua testa, chiuderà il “Risiko” dei Poteri Forti: la fusione Generali-Mediobanca. E felici sono quelli della Lega che vincono sui due fronti: politico ed economico, cacciando uno a loro non gradito e garantendosi fondi per le loro manovre. Anche il Corriere la pensa così e scrive che Berlusconi aveva offerto a Profumo copertura politica per l’affare dell’ingresso dei libici in Unicredit, ma in realtà quella era precisamente la mossa con la quale farlo fuori, il cavallo di Troia che Berlusconi, Bossi e Geronzi – attraverso Palenzona, Biasi e Rampl, avevano messo in campo. Come dicevamo la cacciata di Profumo è anche una vittoria della Lega, che dopo il fallimento della banchetta padana CrediEuroNord, salvata da Fiorani, ha rilanciato una politica bancaria spregiudicata che punta al controllo delle banche del Nord, tra le quali ovviamente Unicredit. L’obiettivo leghista è stato sintetizzato da Dino De Poli, a capo dell’unica Fondazione non ancora finita nelle mani dei leghisti (Cassammarca di Treviso): “Zaia vuol solo dare soldi ai suoi amici”, obiettivo che chiaramente non è appannaggio esclusivo del governatore veneto. Si dice che il Pd abbia commissionato dei sondaggi per verificare il grado di popolarità dell’ormai ex ad di Unicredit, papabile per il ruolo di “Papa straniero”, ma questo è fatto di secondaria importanza, in un momento in cui così astute ed ampie manovre finanziare, lasciano intuire scenari di ampio raggio che avranno ricadute anche locali e comprendere come il partito di Bersani si balocchi ancora in un campo ormai invaso da furbe e voracissime volpi. Libero dedica la parte centrale della prima pagina alla “telenovela-bancaria” e sotto il sommario “Anche i banchieri pagano”, spunta un editoriale contro Profumo “Non e’ un martire, ma un manager che si credeva re” seguito da un retroscena “Fino all’ultimo Giulio ha provato a salvarlo” e un approfondimento “Buonuscita da 40 mln, Unicredit caccia Profumo”. Da Il Giornale arriva una lettura politica dal titolo “Unicredit decapitata. Cacciato il banchiere della sinistra. Giallo sulle dimissioni di Profumo, poi la sfiducia del cda”. Strano, ma il tono e la manovra ci fanno venire la pelle d’oca, mettendo assieme (in modo ancora confuso) la venuta di Cicchetti, la marginalizzazione di mons. D’Ercole, l’arresto di Venturoni e la diminuzione continua del nostro sindaco. Qualcosa si muove in Italia, agitando i poteri forti, nei luoghi in cui c’è puzza di grana: le Banche e, naturalmente, le aree da ricostruire. E, come al solito, la partita non si gioca solo, come è evidente, fra schieramenti politici, ma anche fra diverse “confessioni”, per così dire, religiose. ‘Drammatizzazione offensiva e inspiegabile”. Questo il titolo di un editoriale di Avvenire in merito all’indagine della Procura di Roma sui vertici dell’Istituto per le Opere di Religione (Ior) per violazione delle norme antiriciclaggio che ha portato al sequestro di 23 milioni di euro e all’iscrizione nel registro degli indagati dei vertici della banca vaticana. ”Un evento mozzafiato – si legge nell’editoriale a firma del direttore del giornale dei vescovi, Marco Tarquinio – che ha suscitato legittima perplessità e motivate preoccupazioni. In primo luogo, per il manifesto, stridente e inconciliabile contrasto tra ciò che la Chiesa cattolica e le sue istituzioni sono e fanno e le realtà (e le immagini) evocate da concetti come riciclaggio e terrorismo”. Che cosa accade davvero fra schieramenti conservatori e progressisti in Vaticano e come ciò riguardi direttamente l’Italia e la nostra città, lo potrebbe spiegare solo Bruno Vespa, nel cui attico su Piazza di Spagna, si compongono ed intersecano i poteri forti e veri di questa Italia da rottamare, ma con avvoltoi dediti a spolparne le ultime parti nutrienti e non ancora cadaveriche. L’Agenzia Giornalistica Italiana, oggi, ricostruisce la storia, fatta di luci (poche) ed ombre (tante) dello Ior: l’Istituto per le Opere di Religione che fu fondato nel 1942 da papa Pio XII, e con sede a Citta’ del Vaticano, più volte coinvolto in vicende poco chiare e scandali finanziari con risvolti giudiziari, fra i quali spiccano l'”affare Sindona” e il crac del vecchio Banco Ambrosiano, di cui dal 1946 e al 1971, fu il maggior azionista. Dopo alcuni anni di tranquillità, nel 1993, quando scoppia “tangentopoli”, il pool di “mani pulite” della Procura di Milano scoprì il transito nelle casse dello IOR di 108 miliardi di lire in certificati del Tesoro destinati a quello che fu conosciuto come scandalo Enimont. Anche in questo caso l’extraterritorialità’ assicurò l’impunita’ del presidente dello IOR Angelo Caloia. Il 10 luglio 2007, uno dei “furbetti del quartierino”, Giampiero Fiorani, rivelò ai magistrati milanesi la presenza, nella BSI svizzera, di tre conti della Santa Sede da “due o tre miliardi di euro” e di aver versato in nero nelle casse dell’APSA (la Banca centrale vaticana) oltre 15 milioni di euro. Nell’ambito dello scandalo “Calciopoli”, e’ risultato ai magistrati che i fondi neri della Gea World di Alessandro Moggi sarebbero depositati allo IOR, così come altri 150 milioni di euro circa, frutto delle intermediazioni calcistiche del padre, Luciano Moggi.0 E si arriva così ai giorni nostri: nell’inchiesta sulle “grandi opere” del 2010): viene accertato che Angelo Balducci (ex presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici, arrestato per corruzione) avesse un conto presso lo IOR, dove – secondo i pubblici ministeri – avrebbe trasferito buona parte delle sue rendite. E infine le indagini di oggi che hanno di nuovo coinvolto i vertici dell’Istituto Opere di Religione. Ma, forse, questo ultimo attacco fa parte di una strategia più grande, politica e finanziaria, volta a dare un nuovo assetto ai poteri forti di questo Paese. E, probabilmente, questi poteri stanno confliggendo, misurandosi sulla possibilità di cambiare o meno la leadership di questa Nazione. Per ora Berlusconi sembra ancora in testa. Anche perché, oltre all’affondo allo Ior e alla vittoria in UniCredit, un segnale forte viene dal Parlamento che, con scrutinio segreto, dice no all’utilizzo delle intercettazioni nelle inchieste che riguardano l’ex sottosegretario Nicola Cosentino, accusato di contiguità con ambienti camorristici. A favore della posizione espressa dal relatore di maggioranza e quindi contro l’uso dell’intercettazione, hanno votato in 308; i voti contrari, quelli cioè favorevoli all’utilizzo delle intercettazioni, sono stati 285. I presenti in aula erano 593. Un risultato che dal Pdl viene letto come un segnale di tenuta della coalizione di governo, anche se l’Idv segnala che la fatidica quota di 316 voti non è stata raggiunta. Per capirci qualcosa vale sempre la pena di seguire il denaro. Solo i ciechi possono negare che Alessandro Profumo sia stato il vero protagonista della stagione della privatizzazione e dell’apertura del mercato del credito. Ciò che i grandi vecchi Bazoli e Geronzi hanno in parte subito e in parte cavalcato opportunisticamente, per lui è stato l’ossigeno di una carriera. Senza, la sua strepitosa ascesa sarebbe stata impossibile – e non avrebbe potuto coniugarsi, com’è stato, nel segno della semina di una cultura della creazione di valore, di un senso dell’efficienza laddove prima non c’era. La sua sconfitta segna la sconfitta di una economia svincolata dalla politica, mentre l’attacco allo Ior, quello di un Vaticano che cerca una sua autonomia strada di affermazione. Dice bene Alberto Mingardi sul Riformista: la prima difesa dell’indipendenza delle banche dalla politica dovrebbe stare nell’opinione pubblica e risiedere nel rispetto di decisioni private che riguardano privati. Ma tutti sappiamo che l’Italia è abitata da individui neghittosi ed apatici e che, tale stato di cose, ha permesso alle fondazioni che si dicono private, di non esserlo affatto. Pertanto, non comprendendo affatto i contorni di una manovra inglobante che pure ci riguarda anche come abruzzesi ed aquilani, ciò che corre l’obbligo di dire è che non è cambiato nulla oggi, rispetto agli scorsi quindici anni. Ciò che sta cambiando non sono le regole del gioco, ma forse i giocatori. Si afferma che un film diventi leggendario quando il suo titolo (citiamo La dolce vita o Amarcord per fare riferimento a Fellini) si trasforma in una locuzione d’uso corrente della quale si perde, a volte il riferimento ai significati o alle fonti originarie. Le mani sulla città di Francesco Rosi (di cui un fotogramma esemplare è posta ad aprire l’articolo) appartiene a questo genere di film, la rappresentazione di fatti di cronaca locale è riuscita ad elevarsi ad immaginario collettivo, a memoria storica. Sarà il caso di riguardarlo con attenzione (ad esempio al Movieplex, il 30 novembre alle 18, a cura de La Lanterna Magica Cinema D’Essai), per capirle davvero queste regole invadenti, raggelanti e sempiterne.
Carlo Di Stanislao
Lascia un commento