Nell’ultimo decennio si è assistito ad un incremento preoccupante di patologie invalidanti di tipo cerebro-vascolare: in primo luogo ictus e demenza. Circa l’ictus esso è la prima causa di invalidità permanente e, ogni anno, si verificano in Italia 196.000 nuovi casi, di cui circa il 20% è costituito da recidive (39.000 casi). Gli studi epidemiologici hanno individuato molteplici fattori che aumentano il rischio di ictus. Alcuni di questi fattori (principalmente l’età), non possono essere modificati, ma costituiscono tuttavia importanti indicatori per definire le classi di rischio. Altri fattori possono essere modificati con misure non farmacologiche o farmacologiche. Il loro riconoscimento costituisce la base della prevenzione sia primaria sia secondaria dell’ictus. Il progetto riabilitativo dovrebbe essere il prodotto dell’interazione tra il paziente e la sua famiglia ed un team interprofessionale (infermieri, fisiatri, neurologi, fisioterapisti, terapisti occupazionali, riabilitatori delle funzioni superiori e del linguaggio), coordinato da un esperto nella riabilitazione dell’ictus. Il team si riunisce periodicamente per identificare i problemi attivi, definire gli obiettivi riabilitativi più appropriati, monitorare i progressi e pianificare la dimissione. I dati attualmente disponibili non consentono di documentare una maggiore efficacia di alcune metodiche rieducative rispetto ad altre. Nel contesto di un progetto riabilitativo comprendente tecniche volte a compensare i deficit si prevede talvolta la possibilità di utilizzare presidi, quali ortesi ed ausili. È utile che i familiari del soggetto colpito da ictus vengano informati, in maniera chiara, sulle conseguenze dell’ictus, soprattutto in termini di deterioramento cognitivo, incontinenza sfinterica e disturbi psichici, oltre che sulle strutture locali e nazionali fruibili per l’assistenza al soggetto malato. Gli operatori sociali, al fine di organizzare e supportare le risorse disponibili, ma anche di contenere lo stress dei familiari del soggetto colpito da ictus. Anche i pazienti più anziani possono essere riabilitati: è importante che in questi casi la riabilitazione sia guidata da un processo di valutazione multidimensionale geriatrica. Ogni paziente, ancora disabile a distanza di sei mesi o più da un ictus andrebbe ri-valutato al fine di definire le ulteriori esigenze riabilitative, da realizzare se appropriate.Si parla invece di demenza quando si verifica un calo di memoria e di almeno un’altra capacità cognitiva che porta al peggioramento della funzionalità sociale o occupazionale. Ci sono oltre 100 cause di demenza, tra cui la malattia di Alzheimer è la più comune. La malattia di Alzheimer comporta la distruzione delle cellule cerebrali e nella fase iniziale è caratterizzata dalla perdita di memoria a breve termine, difficoltà nella ricerca delle parole e cambiamenti della personalità. Al progredire della malattia, si assiste alla perdita graduale delle abilità funzionali e della memoria a lungo termine, come pure alla diminuzione della capacità di leggere, di elaborare pensieri e comunicare. L’impatto psicologico, emotivo, sociale ed economico della malattia sulle famiglie e su quanti vivono con un malato di Alzheimer è enorme. Famiglie e amici di persone affette da malattia di Alzheimer sopportano pesi psicologici e finanziari, e i caregiver stessi sono ad alto rischio di incorrere in problemi fisici e di salute mentale. Sotto il profilo della prevalenza si stima che in Abruzzo vi sia un caso di demenza ogni 100 abitanti e, solo nella provincia de L’Aquila, i casi censiti ammontano a 4500, numero molto rilevante legato alla longevità della popolazione locale. Il fenomeno, inoltre, si è incrementato nell’ultimo anno, a causa della’impatto psicologico del sisma sulla popolazione senile, con incremento di numero ed anche di gravità dei sintomi. Negli ultimi anni, infatti, si è anche riconosciuta l’importanza del ruolo svolto dai disturbi psichici e del comportamento nello sviluppo delle demenze. Stati di depressione, ansia, cambiamenti della personalità, irritabilità, sono tutti disturbi che accompagnano il progredire della demenza, e si manifestano nel 90 per cento dei pazienti. Nelle fasi precoci della demenza, addirittura, questa viene spesso scambiata per una condizione di depressione, e quindi esiste una stretta correlazione tra queste due forme di malattia mentale. E’ oggi risaputo che almeno nel 40-50 per cento delle demenze si manifesta anche una forma depressiva, condizione che accelera la perdita di autonomia. La neonata cooperativa sociale “AllenaMente” ha inteso prendersi carico del problema, attivando un centro (che sarà inaugurato a Fossa il prossimo 30 settembre, in cui un gruppo di giovani e di medici volontari, specialisti del settore, coordinati dalla dott.ssa Simonetta Mearelli, che da molti anni si occupa del problema presso la UOC di Neurologia del PO S. Salvatore, intende concretamente rispondere alle esigenze pratiche della famiglie con membri affetti da demenza o malattie cerebrovascolari croniche. Il centro avrà sede fissa presso l’ex edificio scolastico di Fossa e sarà aperto ogni giorno dalle ore 8 alle ore 18, fornendo, in spazi appositamente studiati e con personale specialistico, attività di stimolazione cognitiva, di recupero motorio, ludico-recreativa, oltre ad una particolare attenzione alla’ascolto per i famigliari. Pertanto, cosa affatto nuova nel nostro territorio e, quindi, particolarmente meritoria, il processo strategico di intervento non è rivolto solo al paziente, mas intende coinvolgere l’intera famiglia sulla quale ricade, nel 90% dei casi, il carico assistenziale ed il peso psicologico dell’evento. Nato quindi come centro anziani a carattere territoriale, si propone interventi per migliorare le condizioni fisiche e psicologiche dei soggetti affetti ed aiutare i famigliari in una gestione a dir poco gravosa e complessa. In definitiva, il nuovo centro istituito a Fossa dalla cooperativa “AllenaMente”, mette in atto quanto scaturito da ricerche recenti che dimostrano che è possibile aumentare i margini di recupero nelle forme potenzialmente reversibili, evitare interventi non adeguati a seguito di un errore diagnostico, anticipare informazioni utili alla famiglia sulla natura, evoluzione e prognosi della malattia, utilizzando misure di sicurezza specifiche, programma a lungo termine degli aspetti socio-economici e legali, possibili complicazioni. Tali interventi, motori e cognitivi, consentono di ottimizzare le abilità residue funzionali, attraverso modifiche dell’ambiente architettonico in modo funzionale, informazione alla famiglia sulla rete di servizi socio-assistenziali presenti, spiegazioni sui comportamenti domestici e somministrazione farmacologica.
Carlo Di Stanislao
Lascia un commento