Nel tentativo di obbligare la Cina ad aumentare più velocemente il suo tasso di cambio, mentre le autorità di Pechino hanno risposto che la legge non sarebbe conforme alle regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto), ieri a Camera dei rappresentanti Usa ha approvato una mozione che potrebbe penalizzare i beni cinesi.
La mozione, voluta dai parlamentari Usa che considerano la concorrenza cinese una delle motivazioni dell’alto tasso di disoccupazione, potrebbe riaccendere la disputa tra i due paesi sul commercio e sul lavoro, anche se il passaggio in Senato resta ancora un’incognita. Il portavoce del ministro del Commercio cinese, Yao Jian, ha affermato che “aprire un’indagine compensativa nel nome dei tassi di cambio non è conforme ad alcune rilevanti regole del Wto”.La mozione è passata con un appoggio bipartisan, a circa un mese dalle elezioni di metà mandato e in un momento in cui gli elettori guardano con attenzione la lenta ripresa economica e l’alta disoccupazione. Molti senatori e deputati si sono lamentati delle politiche economiche cinesi, sostenendo che il tasso di cambio crea un vantaggio competitivo sleale. Questa è la misura più dura presa dagli Usa finora. Pechino, inaspettatamente, ha risposto in modo conciliante, proclamando, proprio a pochi minuti dal voto alla Camera Usa, che consentirà maggiore flessibilità allo yuan e migliorerà la gestione del cambio nei confronti dei suoi partner commerciali. “Consentiremo alle forze della domanda e dell’offerta di giocare un ruolo decisivo nella determinazione del tasso di cambio”, ha detto ieri la Banca centrale cinese. Ieri lo yuan ha toccato un altro record contro il dollaro, salendo a quota 6,6868 e realizzando un apprezzamento complessivo dell’1,6% negli ultimi 12 giorni. Il dollaro è sceso anche contro l’euro, a 1,3636, in anticipazione di nuovi interventi espansivi della Federal Reserve sul mercato obbligazionario. È ormai da tre mesi che la People’s Bank of China sta lasciando salire, seppur lievemente, il valore della sua moneta sottovalutata, ma l’apprezzamento è considerato troppo lento e insufficiente dagli Stati Uniti. Come scriveva già un anno fa AsiaNews, mentre i commenti degli osservatori economici sono concentrati su quanto avviene sul debito pubblico americano e sui mercati finanziari d’oltreoceano, nel mondo dell’informazione sono invece molto più rari i riferimenti a quanto avviene in Asia, quasi che non vi fosse una forte corrispondenza tra i due fenomeni. Ad un forte accumulo di riserve valutarie in Cina, in Giappone ed in tutta l’Asia è, viceversa, logico che corrisponda un livello senza precedenti di emissione di dollari, la valuta di riserva mondiale. Ma anche l’Asia comprende ormai che l’incremento dell’emissione monetaria diminuisce il valore intrinseco di una valuta. Per questo la Cina sta tentando un possibile e razionale tentativo di sganciamento delle valute asiatiche dal dollaro. A parte il dialogo economico che, fra alti e bassi i due colossi stanno tentando di portare avanti, sempre ieri si è appreso da varie agenzie, che il Pentagono ha annunciato che Stati Uniti e Cina riprenderanno il dialogo sulle questioni militari. I rapporti erano stati interrotti da Pechino dopo che gli Usa avevano annunciato a gennaio forniture di armi a Taiwan per 6,4 miliardi di dollari. Il dialogo militare riprenderà con un incontro alle Hawaii in programma il 14 e 15 ottobre tra esperti militari dei due Paesi. Seguiranno consultazioni a Washington prima della fine dell’anno.
Carlo Di Stanislao
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