Proseguono le iniziative intraprese dal Pd di Roma dopo le parole pronunciate qualche giorno fa dal Ministro per le Riforme Umberto Bossi, nei confronti dei romani, definiti ‘porci’. “Nei prossimi giorni – dice all’Adnkrons il coordinatore del Pd di Roma Marco Miccoli- presenteremo una denuncia a cui allegheremo le firme dei cittadini che vorranno aderire”. “Prendiamo atto della novità politica – aggiunge Miccoli riferendosi alle scuse di Bossi – ed è positivo il gesto anche se si tratta di un’affermazione sibillina. Noi non possiamo però fermare la nostra iniziativa perché i romani vogliono che non si ripetano mai più un clima e parole che offendono la città e la dignità dei cittadini della capitale“. Per sabato, annuncia il coordinatore, è prevista la raccolta firme attraverso banchetti dislocati in tutti i municipi di Roma.
Luciano Ciocchetti, vicepresidente della Regione Lazio, aggiunge che: “Il senatore Umberto Bossi ha finalmente chiesto scusa ai romani, anche se si giustifica affermando che le sue parole sul simbolo ‘Spqr’ sono state strumentalizzate. Le scuse, tardive e senza pentimento, sono la conferma all’inadeguatezza a ricoprire cariche istituzionali che esigono, almeno, la buona educazione e il peso delle proprie parole“.
Anche il cardinal Agostino Vallini, vicario del Papa per la diocesi di Roma, ha commentato con i giornalisti, a margine di una conferenza stampa, la battuta con cui il ministro per le Riforme Umberto Bossi, dicendosi addolorato e molto dispiaciuto. Più conciliante il sindaco Alemanno che afferma di essere “molto contento del gesto di Umberto Bossi. Per quanto mi riguarda le scuse sono accettate”.
Dopo le parole di Bossi, il Pd aveva presentato una mozione di sfiducia personale nei confronti del ministro. E sarà proprio questa la prima ( o seconda, data la mozione di sfiducia all’interim di Berlusconi per il ministero dell’innovazione) prova che dovrà affrontare il governo per valutare il livello di stabilità della sua maggioranza. La mozione è stata calendarizzata alla Camera per l’ultima settimana di ottobre (dal 25 al 28). Lo ha deciso la Conferenza di capigruppo della Camera, durante la quale il capogruppo del Pd Dario Franceschini ha però annunciato una valutazione delle scuse da parte di Bossi con la possibilità del ritiro della mozione: “Valuteremo insieme agli altri firmatari se le scuse di Bossi sono sufficienti”, ha detto Franceschini rilevando che le scuse “sono il risultato della presentazione di questa mozione e del timore dopo il complicato voto di mercoledì”.
Ma credo che l’idea di Franceschini non sia quella della più parte dell’elettorato del Sud, stanco delle continue provocazioni di Bossi che, evidentemente, si considera ministro di una sola parte dell’Italia, quella “Padania” che fra l’altro, come gli ha ricordato più volte Fini, non esiste né storicamente né sotto il profilo geografico. Se per Gasbarri, capogruppo Pdl al Senato, è “surreale un dibattito parlamentare su una battuta di Umberto Bossi detta in un comizio nella Brianza, se Bossi volesse porre un problema politico, lo porrebbe direttamente a Berlusconi”, per molti italiani, noi per primi, surreale è chi continua a confondere le categorie degli insulti, che non sono battutacce ma problemi di vera natura politica. Siamo orgogliosi della risposta che, ieri, a Trigoria, all’inviato delle “Iene” Rosario Rosanova che gli chiedeva un commento, De Rossi ha detto perentorio: “Lasciamo sta’ che è meglio”, mentre Menez ha aggiunto: “Bossi non capisce niente. I romani sono brava gente, brave persone“.
Continuando nel girotondo delle scuse, per il coordinatore del Pdl e ministro dei Beni e attività culturali, Sandro Bondi, le stesse testimoniano che il numero uno della lega è “non solo un leader politico autorevole, ma anche un galantuomo”.
Allora per lui anche gli insulti di Di Pietro ieri in aula, vengono da un galantuomo, pronto a chiedere scusa, se si dimostrerà che aveva torto sugli epiteti contro Berlusconi e sul fatto che lo stesso si è servito e si serve di ben 64 società off shore per tutelare i suoi interessi e non pagare le tasse. Intanto apprendiamo che le richiamate esternazioni, hanno creato a Bossi anche qualche “problema” domestico. La sua ingiuria contro i romani ha trovato il secco dissenso della moglie perché la signora Bossi, a parte le sue origini siciliane, è una “sorcina” di antica data, cioè una fan di Renato Zero, come ha rivelato il figlio Renzo, intervistato per Rds. Attenzioni, l’intervistato, rampollo-trota del grande, celodurista Senatùr, è anche colui che, nell’aprile scorso, dichiarò di non tifare l’Italia ai Mondiali perché il Tricolore per lui “identifica un sentimento di cinquant’anni fa”.
Le arti marziali – dice – gli hanno insegnato che “ci si difende, non si attacca” (a patto che non tocchino suo padre o il fratello, perché allora “non ci vedo più”) e nella vita pensa si debba provare di tutto tranne “i culattoni e la droga”.
In compenso però, fidanzato da poco con una fanciulla, leghista ma non militante, conosciuta a un comizio, pensa già al matrimonio (in chiesa, non con rito celtico) e ai figli perché “vado pazzo per i bambini”. Senz’altro degno figlio di cotanto padre.
D’altra parte per lui (lo ha dichiarato più volte), quel padre ingombrante per la posizione e il peso politico, è stato sempre “un modello”. “Quando lo vedevi passare a Gemonio, dietro c’ero sempre io, con le mani in tasca come lui”, e come lui anche Bossi jr dorme poco e beve tanta Coca Cola.
E noi aggiungiamo anche, che gli somiglia anche in almeno altre due cose: le esternazioni volgari ed il rendimento scolastico. E l’unione è così simbiotica, che ormai il duo fa coppia fissa, nel pubblico come nel privato. Ora ve lo immaginate Massimo D’Alema presentarsi a un vertice del Pd con il figlio Francesco, o Gianfranco Fini a una riunione alla Camera con la primogenita Giuliana? E addirittura Silvio Berlusconi arrivare con il figlio Luigi a un summit del Pdl? Ma c’è un’eccezione: “re Umberto di Padania”. Come un monarca d’altri tempi che si tiene sempre accanto il delfino, Umberto Bossi riesce a piazzare il secondogenito Renzo nei momenti cruciali. Senza che nessuno osi battere ciglio. Né gli alleati del Pdl né, figuriamoci, i colonnelli leghisti, che ben caro pagherebbero uno sgarbo al figlio del capo. Il delfino, anche se declassato dal padre a “trota”, ha debuttato nella Roma politica (e porcona a quanto dice il padre) ad agosto 2008. La cascata di riccioli neri del ragazzo ventunenne si materializzò a Palazzo Grazioli per un conclave sul federalismo. Anche se, come era ovvio, fece scena muta. Fu lui, scrissero le cronache del tempo, a portare ad alcuni deputati del Pdl la notizia del pollice verso della Consulta. Qualche finiano sbottò: “Ma questo, papà lo manda da solo? Ora abbiamo anche il doppione giovanile di Bossi?”. Adesso, con un posto da 10-12 Euro al mese in regione, può anche parlare e servire da esempio a quei giovani che devono crescere sentendo l’odore della battaglia. Ho letto che lui suono molto bene il piano. Ma allora, è certo, se imparerà ancora un poco dal padre, risulterà l’erede legittimo del buon Berlusconi che, designatolo, potrà ritirarsi ad Arcore, in compagnia di Apicella, Fede e qualche cara amica.
Carlo Di Stanislao
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