Leone d’oro a Venezia ’87 e secondo film esplicitamente autobiografico di Louis Malle, dopo “Il soffio al cuore”, straordinario per la cura dei particolari e l’ambientazione, la ricchezza delle invenzioni e un epilogo straziante, Arrivederci ragazzi è per me il più perfetto esempio di film della memoria, nel quale riaffiorano aspri e struggenti ricordi dell’infanzia, sedimentati per troppi anni nelle profondità del vissuto. Storia dell’amicizia di Julien e Jean, giovani convittori del collegio di Sainte-Croix (che allude a Fontainebleau, dove M. ha studiato), interotta bruscamente quando il secondo, insieme con due altri ragazzi, tutti ebrei, viene denunciato alla Gestapo da un giovane sguattero, povero e sciancato, e sparisce nell’orrore dei campi nazisti. Storia del recupero del passato, con una dolcezza unica e assolutoria. Commovente, complesso, implacabile denuncia di un’epoca barbara che a volte si tende a dimenticare, quando sembra ancora dietro l’angolo, Arrivederci ragazzi è il quarto appuntamento (martedì 5 ottobre alle 18), di Cinema D’Essai, rassegna ideata e curata dalla’Istituto Lanterna Magica (direttore artistico Piecesare Stagni) ed il Movieplex, meno originale, forse, ma emotivamente più coinvolgente di Lacombe Lucien, anch’esso ambientato nella Francia di Pétain, un modo lirico di accedere al perdono. La voce fuori campo del protagonista ormai adulto ci informa in chiusura con poche parole sul tragico epilogo della vicenda: a distanza di anni la scomparsa così traumatica dell’amico e del priore assume il significato di una dolorosa perdita dell’innocenza. Il collegio diventa lo spazio protetto dell’adolescenza su cui incombe minacciosa la realtà del mondo degli adulti: basta allontanarsi un po’ e ci si imbatte nei tedeschi oppure passare la domenica in paese per assistere ad un’inquietante manifestazione di antisemitismo da parte dei collaborazionisti francesi. L’amicizia tra Julien e Jean appare preziosa perché è il risultato di un lento e circospetto processo di avvicinamento suggellato dalla stima reciproca e cementato da passioni comuni. Il garzone sciancato che denuncia i ragazzi ebrei diventa il simbolo di un atteggiamento assai diffuso e da alcuni studiosi evidenziato come importante nel determinare il consenso nei confronti di regimi autoritari: la frustrazione e il senso di inferiorità trovano illusoria compensazione nello schierarsi dalla parte del più forte contro le minoranze oppresse. Un film dal tono sommesso e commosso e con un andamento piano e sobrio, lontano da quella ricerca linguistica che caratterizza i film d’esordio di Malle, quasi che la ferita non rimarginata del ricordo imponga uno sforzo di autocontrollo stilistico. momenti migliori del film sono quelli legati all’ innestarsi della dimensione dell’immaginario fantastico tipico dell’adolescenza sull’ordinaria quotidianità della vita del collegio: è il caso della caccia al tesoro nel bosco e della lettura notturna delle Mille e una notte. La fotografia propende per tonalità cromatiche piuttosto scure e fredde, adatte ad esprimere il senso di oppressione invernale che si coniuga con la cupa atmosfera della Francia occupata. Figlio di industriali (la madre appartiene alla famiglia Béghin, proprietaria della più grande fabbrica di zucchero a Thumeries; il padre è il direttore della fabbrica stessa), Louis Malle, all’inizio dell’occupazione nazista si trasferisce con i genitori a Parigi, dove studia presso i gesuiti e poi presso il collegio dei carmelitani a Fontainebleau. Terminati gli studi liceali, si iscrive ai corsi di scienze politiche della Sorbona e contemporaneamente a quelli dell’IDHEC (Institut des Hautes Études Cinématographiques). Al termine del primo anno è l’unico studente a rispondere a una richiesta del comandante J. Cousteau, che cerca un aiuto-operatore di riprese subacquee. Se “tutta l’opera di un cineasta è contenuta nel suo primo film”, come dice F. Truffaut, tutto il cinema di Malle, le sue qualità, i suoi difetti, si trovano, in nuce, dentro Ascensore per il patibolo, un film che diventa rapidamente un oggetto di culto, come I quattrocento colpi di Truffaut e Fino all’ultimo respiro di Godard, fondamenti della Nouvelle vague francese.
Carlo Di Stanislao
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