In mezzo ai canguri spunta un vichingo, così Thor Hushovd, il ciclista con il nome da dio del tuono, regala alla Norvegia il suo primo titolo iridato. Un risultato storico che il corridore scandinavo, rimasto al coperto per tutto il giorno, ha raccolto venendo fuori negli ultimi trenta metri e sfruttando una delle sue caratteristiche migliori, la capacità nello sprint. “Il finale era adatto alle mie caratteristiche, e le ho sfruttate alla grande – sottolinea Hushovd a fine gara -. Per prepararmi così bene è stata fondamentale la Vuelta”. Così vince il ciclista con un passato nello sci di fondo, e l’Italia rimane a bocca uscita nel circuito dov’é di casa il campione uscente Cadel Evans, idolo locale che si è impegnato e dato spettacolo per tutto il giorno, infiammando il pubblico, ma che alla fine si è dovuto accontentare del 17/mo posto lasciando il podio al connazionale Allan Davis, altro uomo veloce oggi piazzatosi al terzo posto. Dietro a lui, beffato per una manciata di centimetri, è arrivato il grande deluso di questa giornata, quel Filippo Pozzato che ha chiuso al quarto posto, fallendo quindi il salto di qualità definitivo e non riuscendo a regalare una medaglia all’Italia del pedale. Il vicentino che vive a Montecarlo, e che per il Mondiale era in astinenza sessuale da maggio, sognava la maglia iridata (era tra i favoriti) per se stesso e per onorare al meglio la memoria di Franco Ballerini, ma a volte capita che la squadra giri al meglio, lavori e faccia la corsa per tutto il giorno, com’é successo oggi all’Italia (grande, in particolare, il lavoro di Tosatto e Nibali) ed anche al Belgio, ma poi di non raccogliere niente. Pozzato è stato ‘portato’ bene dai compagni e ha fatto la corsa sul temibile Oscar Freire, spagnolo che in Australia avrebbe voluto conquistare la sua quarta maglia iridata (sarebbe stata un’impresa, finora mai riuscita a nessuno). Sembrava ben posizionato ma si è dovuto arrendere non solo alle difficoltà delle corsa ma anche ai crampi che hanno cominciato a tormentarlo ad una quindicina di chilometri dal traguardo. “Ne avevo anche sulle orecchie”, ha esagerato l’azzurro per far capire che non ne poteva proprio più e che comunque ha fatto del suo meglio. Così come la squadra, “che ha lavorato bene – ha detto ancora Pozzato – come ci aveva insegnato Franco Ballerini e come ci aveva chiesto Bettini. Mi dispiace soprattutto per lui”. Ma per il ct “c’é poco da recriminare, la squadra ha fatto ciò che doveva, ha lavorato di comune accordo con i belgi e si è presa le sue responsabilità. Ma poi ci sono anche gli avversari: complimenti a Hushovd che, pur senza squadra, ha avuto le gambe per gestirsi”. Il successo del norvegese, che praticamente ha corso da solo visto che la sua nazionale era composta da soli tre atleti, suona come una beffa per gli azzurri, in tanti e quasi sempre in prima fila per cercare di fare la corsa, forse con troppa foga al punto da rimanere con poca lucidità ed energie nel finale. Ma questa è, come l’ha definita Bettini a fine gara, “la danza dei ‘se’ e dei ‘ma’ che cominceranno adesso”. Fra i quali c’é anche la considerazione che forse un velocista come Bennati a Geelong avrebbe fatto comodo. L’urlo di Hushovd sul traguardo, dopo la volata finale con gli ultimi 750 metri in salita al 7% ed il colpo di reni che gli ha permesso di domare la resistenza del danese Matti Breschel, e l’espressione amara di Pozzato sono le immagini che resteranno di questa gara. Ma fra i grandi delusi di giornata c’é sicuramente anche il belga Philippe Gilbert. Era il favorito numero uno, aveva corso bene schierando i suoi sempre davanti assieme agli italiani, e si era impegnato in prima persona per riportare sotto il gruppo dei migliori quando una fuga a cinque, cominciata a 42 km. dal traguardo, in cui c’erano dentro gli azzurri Nibali e Visconti (due siciliani), sembrava poter assumere sviluppi pericolosi. Poi Gilbert sembrava aver piazzato la botta vincente scattando sulla salita a dieci chilometri dal traguardo, una botta micidiale con cui faceva il vuoto dando l’impressione di aver chiuso i giochi, guadagnando subito fino a 24 secondi di vantaggio. Poi però ritrovava il vento contro, quindi in faccia, e doveva cedere facendosi riprendere a tre chilometri e mezzo dal traguardo. “Quando è scattato e se n’é andato via – ha ammesso Hushovd – ho pensato che il Mondiale era finito. Poi mi sono accorto che c’era tanto vento, e allora mi sono detto che era possibile riprendere Gilbert. Ma se non ci fosse stato il vento, il belga sarebbe arrivato al traguardo”. L’anno prossimo si replica a Copenaghen, “ci riprovo sicuramente” ha sottolineato Pozzato, ma il circuito danese sembra adatto ai velocisti ancor più di questo di Geelong. Ecco perché forse Bettini farebbe meglio a cercare se esiste davvero l’erede di Mario Cipollini.
Mondiali di ciclismo: Italia tanto lavoro per niente, oro Hushovd
In mezzo ai canguri spunta un vichingo, così Thor Hushovd, il ciclista con il nome da dio del tuono, regala alla Norvegia il suo primo titolo iridato. Un risultato storico che il corridore scandinavo, rimasto al coperto per tutto il giorno, ha raccolto venendo fuori negli ultimi trenta metri e sfruttando una delle sue caratteristiche […]
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