La loro è una presenza silenziosa che fa rumore solo quando finisce sui giornali: è successo lo scorso autunno quando 27 immigrati furono colpiti dal crollo di una pensilina dell’autoparco comunale sotto la quale dormivano, è successo di nuovo a metà settembre quando le forze dell’ordine hanno sorpreso 29 cittadini stranieri, in prevalenza magrebini e rumeni, che dormivano in rifugi di fortuna, per strada o in baracche improvvisate. Bilancio: un arresto, una denuncia e 15 fogli di via.
“In realtà i numeri sono ben altri; conosciamo almeno altre 60 persone che vivono in strada, in condizioni di fortuna, in auto, baracche o in case inagibili, ma in molti sfuggono a qualsiasi tipo di avvicinamento; penso che siano qualche centinaia gli immigrati all’Aquila senza dimora”: a rivelarlo è Gioacchino Masciovecchio, responsabile dell’ufficio immigrati della Caritas aquilana, che racconta la complessità del fenomeno dei migranti nel cratere.
“Abbiamo almeno due tipi di migranti – spiega Masciovecchio -: i nuovi, quelli arrivati per trovare un impiego nella ricostruzione, e i vecchi cioè quelli che alla data del sisma erano già all’Aquila. Per i primi i problemi maggiori sono l’alloggio e la sicurezza sul lavoro. Da quello che vediamo, infatti, non esistono grandi difficoltà nel trovare un impiego, a volte anche a tempo indeterminato, presso le ditte impegnate nei cantieri, ma è difficile, per tutti e quindi in particolar modo per gli immigrati, trovare una sistemazione, una casa o una struttura presso la quale prendere la residenza così da guadagnare tutti i requisiti per essere in regola e avere i permessi per restare in Italia. L’altro problema è la sicurezza nei posti di lavoro, ma questo aspetto non riguarda solo gli immigrati, nei cantieri ce n’è poca per tutti, purtroppo”.
E poi c’è l’altra faccia della migrazione: “Gli stranieri che risiedevano all’Aquila prima del sisma e che ora, proprio come gli altri cittadini del cratere, hanno perso la casa o il lavoro o entrambi e non hanno i requisiti per restare; molte donne che prima lavoravano come badanti ora, o perché gli anziani che assistevano sono fuori L’Aquila o perché sono morti o perché hanno trovato soluzioni diverse, sono rimaste senza lavoro e, nel caso di lavoratrici conviventi, anche senza casa, e sono quindi senza assistenza sanitaria e senza nessun tipo di aiuto o sostegno da parte delle Istituzioni”.
Quella delle Istituzioni è un’assenza che pesa: “Come Caritas abbiamo tentato di dialogare con il Comune, con la Provincia e con la Prefettura. Siamo riusciti ad ottenere un solo incontro voluto dall’allora prefetto Franco Gabrielli, (ora vice di Bertolaso nel dipartimento di Protezione civile, ndr.) ma gli impegni che vennero individuati non sono stati assolutamente rispettati. Sarebbe auspicabile un tavolo d’intesa fra associazioni e Istituzioni e invece l’unica azione verso gli immigrati è un controllo serratissimo, forse troppo duro, se si considerano le condizioni di emergenza in cui ancora tutti viviamo. All’Aquila – conclude Masciovecchio ? verso i migranti abbiamo bisogno più che altrove di tolleranza, non si possono applicare leggi ordinarie in una situazione tanto straordinaria”.
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