Sono morti molto diverse, ma accumunate dalla insensatezza e dall’orrore della loro rappresentazione mediatica, tutta protesa a far finta di voler capire, spiegare ed approfondire ed invece volta sola a fare sensazione, assencondando le più perverse delle nostra attuali inclinazioni di spettatori-zombie, anestetizzati verso tuto e alla disperata, orribile ricerca di sensazioni sempre piu’ forti.
La piccola Sarh da una parte, con la sua vita e quella dei famigliari fatte a pezzi ed esposte alla gogna mediatica su tutti i canali televisivi e nei giornali ed anche in quello spazio libero e sovente amorale che è Facebook, con il suo corpo sul marmo della morge, mostrato a milioni di utenti, prima che la polizia postale bloccase il sito e l’accesso. E poi i funerali di stato ai quattro alpini, con le solite frasi retoriche su eroismo e necessità di una guerra insensata e del tutto estranea ai valori della nostra costituzione. E nessuno che si scaldalizzi ed anzi con migliaia di avvocati d’ufficio e di parte che si affannano ad affermare serafici che la tv ed i media i fatti non li fanno, al masimo li raccontano; ignorando che è proprio il racconto a definire l’impatto ed il valore del fatto. Come se non sapessimo, sulla nostra pelle, in che modo siamo stati raccontati e poi dimenticati, usati come esempi di tv del dolore e della dignità per alcuni mesi e poi lasciati a noi stessi o presentati come ingrati destinatari di molte concessioni, incapici di riagganizzarci nonostante gli aiuti. Un costume, il nostro di oggi, indotto da tanti anni di cominicazione mediale berlusconiana e sdoganato ufficialmente con il fenomeno del reality. Vengono in mente le lacrime di “C’è posta per te”, le mamme urlanti degli spalti di “Amici” o le matrone travestite da critici di fronte ai tronisti. Sconosciuti che conquistano le copertine e che riempiono la tv della loro normalità, assegnandole il compito di dare valore a quello che da solo sembra non averlo più e che hanno generato nuove famiglie che vorrebero le figlie veline ed i figli calciatori o tronisti. Sono le stesse famiglie da cui provengono coloro che hanno ridoto in fin di vita un tassista a Milano, colpevole di aver investrito un cane sfuggito al controllo dei padroni e, poi, picchiato un giornalista che fotografa la macchina di un testimone oculare della vicende, incendiata per intimidazione nella notte. Sono le stesse famiglie che non battono ciglio di fronte alla violenza crescente dei propri rampolli ed anzi la considerano utile e necessaria: una virtò nella società in cui viviamo ed in cui valgono solo denaro e sopraffazione. Sono le famiglie che genarano ventenni che colpiscono con un pugno il volto di una donna, su un tram a Roma e la mandano in coma, il tutto nella piu’ completa indifferenza dei passanti. “Mi hanno riferito di un video orribile che mostra l’indifferenza con cui alcune persone hanno assistito all’aggressione di una donna nella metro Anagnina, senza prestarle soccorso quando l’hanno vista a terra. Chiederò di vedere il video e, se corrisponde a al racconto che mi hanno fatto, valuterò una denuncia all’autorità giudiziaria per omissione di soccorso. Non è accettabile che in una città come Roma avvengano cose del genere, non è peraltro possibile che accadano tra l’indifferenza della gente”. Questo a detto Alemanno, che pure viene da un passato non di mammollete, ma è anche lui scioccato da ciò che avviene nella nostra società e nei suoi mezzi di informazione. In un tempio della lettura e della sapienza, la biblioteca dell’Archiginnasio, il direttore di Repubblica Ezio Mauro ha tracciato ieri il profilo morale e civile del suo mestiere, nel trentanmnale del quotidiano da lui diretto. Ha detto, fra l’altro che: “Non è importante che chi mi legge la pensi come me: non dobbiamo convertire nessuno, ma mettere in movimento le idee”. Lo ha detto convinto che siano idee ed ideali ancora possibili e da mettere in moto, cosa di cui, oggi, io francamente dubito. Oggi “Il Fatto Quotidiano” torna a parlare di inferiorità morale della destra, ma non dice che invece è l’immoraliotà di oggi a rendere la destra vittoriosa un po’ dovunque. Il film “La nostra vita” di Lucchetti e i romanzi di Walter Siti, come scrive Goffredo Fofi con l’acume di sempre, non solo sono una “messa a giorno” dei nostri vizi capitali e mortali come società che ormai concede e si concede tutto, ma anche della nostra classe intellettuale, che deve immancabilmente sfociare nell’esaltazione dei personaggi comuni dell’ambiente che si investiga, del loro pubblico bisognoso di consolazioni e lavacri. Siamo arrivati al punto, in Italia, che nessuno si fa scrupolo di sotterrare i cadaveri di quelli che abbiamo contribuito ad ammazzare, con la complicità e il beneplacito e l’assoluzione di tutti perfino dei figli delle vittime, che finiscono per approvare in cambio della loro integrazione nel nostro ordine domestico. Siamo arrivati al punto che si accetta, si giustifica, si prende parte a un sistema del crimine, con la scusa di una grande disgrazia che ci è capitata tra capo e collo, come una guerra, una crisi ecominica e la mancanza di riferimenti e valori; come se di tuto questo noi, noi tutti e singolarmente, non fossimo responsabili. Tornando al tema iniziale, quello di una società corrotta che guarda con la bava allo bocca e non giudica piu’ nè immagini nne azioni, in un climax di rimandi senza fine, essa è la commistione stretta e collosa dei due ricatti, il sentimentale e l’economico, che ritengo insostenibile e che sono l’espressione incaccellabile di un disastro davvero irrimediabile, nella parte più vasta della nostra popolazione e nei loro raccontatori sulla carta ed in tv, che pur di piacere e, come si dice, “fare successo”, ignora o usa il destino della parte più vasta della popolazione, al contempo sconvolgendone etiche e morale. La rappresentazione di morti tanto diverse e distanti, nell’identità retorica ed oriibile dei contenuti e dei commenti, ci indica il valote a cui siamo giunti o scesi, un valore fatto di una lunga schiera di prodotti medi nella linea dominante della realtà raccontata crudamente (che paga sempre), secondo le convinzioni sadiche del pubblico medio, che nascone da da una diffusa piccola borghesia e da un ancor più diffuso sottoproletario piccolo-borghesizzato, più o meno benestante e di pensiero comune (cioè legato al successo e al denaro ad ogni costo), omologati nei consumi e anche negli ideali e nei vizi voyeristici decisamente bipartisan.
Carlo Di Stanislao
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