Sono già cinque, stamani, i minatori tornati alla luce dopo 68 giorni da “sepolti vivi”, nella miniera di San Josè: i primi cinque, quelli più in forma, meno stressati e malconci, tornati alla vita fuori dalla terra, ad abbracciare i familiari e gli amici, lontano dagli occhi spioni delle telecamere, confinate lontano. Le operazioni continuano in queste ore: una risalita ogni 20-30 minuti, per i 680 metri di un budello oscuro e claustrofobico, in una capsula angusta da togliere il fiato, ma che fila, guidata da esperti, verso l’esterno e la salvezza. Il primo a riemergere, alle 11 dopo la mezzanotte, si chiama Florencio Avalos, caporeparto di 31 anni e per prima cosa ha abbracciato il figlio di otto anni. Poi, con un sorriso enorme sulle labbra, ha stretto forte la moglie Katty, quindi ha iniziato a scherzare, distribuendo pezzi di roccia raccolti nella miniera ai soccorritori, al presidente Pinera e al ministro delle Miniere. E’ stata poi la volta di Juan Illanes, 52 anni, ex militar e unico boliviano del gruppo e ancora Carlos Mamani, 23 anni, che lavorava nella miniera da soli cinque giorni quando ci fu la frana il 5 agosto scorso. Poi, uno dopo l’altro e col fiato sospeso ad ogni discesa e risalita della Fenix, gli altri. Ne restano ancora molti nelle viscere della terra e tutti attendono che anche l’ultimo dei 33 disperati riemerga. Al recupero partecipano 150 persone e da ieri è entrato in attività anche il personale di supporto di Copiapò, la località di 160 mila abitanti a una cinquantina di km dalla miniera. Sarà proprio all’Hospital Regional della città capitale dell’Atacama, che i 33 verranno portati in elicottero dopo la risalita, dopo i primi controlli delle loro condizioni fisiche, dopo il primo abbraccio con i familiari. A quel punto l’Operazione San Lorenzo potrà davvero considerarsi conclusa e per tutti i 33 redivivi potrà iniziare davvero una nuova vita. “Sono stato reclamato da Dio e dal diavolo”, hanno combattuto e alla fine Dio mi ha vinto”, è stato il commento di Mario Sepulveda, uno dei minatori sin’ora estratti, che ha raccontato davanti alle telecamere della televisione di stato la sua esperienza chiedendo di “non essere trattato come un artista, ma come un lavoratore, come un minatore”. Già dopo il primo salvataggio centinaia di persone sono uscite in strada a festeggiare a Santiago del Cile nella Plaza Italia, tradizionale punto di incontro dei cileni della capitale per eventi come vittorie della nazionale di calcio o elezioni. Da Washington giunge la notizia che un gruppo di cileni si è ritrovato davanti all’ambasciata del Cile, che per l’occasione aveva allestito un megaschermo nell’ingresso della rappresentanza diplomatica. Ma le ore di lavoro sono ancora tante, da 24 a 48, per trarre in salvo tutti i 33 eroici minatores che vogliono solo tornare alla vita e se ne infischiano di essere intervistate come le star. Giù, nelle viscere della terra, fino alla’ultimo istante i minatori non hanno neanche discusso su chi far risalire per primo. Lo ha raccontato il ministro della Salute, Jaime Manalich, prima della’inizio delle risalite. “Ho parlato poche ore fa con i minatori, gli ho riferito che stavamo discutendo dell’ordine in cui sarebbero stati portati fuori e ho spiegato loro che la scelta sarà fatta in base a fattori tecnici”. Il ministro ha così raccontato ai microfoni dei giornalisti la strabiliante reazione degli operai. “E loro mi hanno estremamente sorpreso”. “Signor ministro, va bene, ma io vorrei risalire per ultimo, per favore”, ha detto uno. E allora un altro è saltato su: “No, amico mio, ho detto io che sarei stato ultimo”. “No, no, davvero, io voglio andare per ultimo, ha cominciato allora a dire un altro”. “I minatori – ha infine commentato il ministro – sono un esempio encomiabile di spirito di solidarietà ed impegno”. E, a costo di sembrare retorico o banale, un esempio per noi aquilani che della priorità in ogni cosa e a dispetto degli altri, dopo il sisma abbiamo fatto un autentico credo.
Carlo Di Stanislao
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