Sabato Guglielmo Epifani e Maurizio Landini hanno infiammato il penultimo giorno del primo Congresso di ‘Sinistra, ecologia, liberta”, dopo che Occhetto, ammettendo “errori” e “falsi miti”, aveva però invitato a ”non buttare vie idee e ideologie della sinistra” ed inivitato a stringersi intorno “alla candidatura di Nichi Vendola” per una ”nuova sinistra”. E ieri, dopo che Vendola è stato eletto per acclamazione, nel suo discorso di chiusura, in quei 85 minuti calibrati e misurati, ma anche ispirati e pieni di passione, ha tracciato i confini fra un “noi” e un “loro”, senza sollecitare contrapposizioni, sforzandosi di costruire identità da non affidare ai rancori e riuscendoci anche. Ha lodato molti, non ingiuriato nessuno -neppure Berlusconi, neppure Marchionne-, reclutato fra i suoi padri spirituali anche Aldo Moro. Ha aperto ai valori cattolici, ai piccoli e medi imprenditori, al popolo del Family Day. Ed in più, è riuscito a non cadere nell’ecumenismo indistinto, spiegando con chiarezza di voler bene a tutti, non a tutto. Il bene è diffuso, può e deve includere gli avversari politici, “ogni essere umano è una risorsa”. Il male è concentrato, potente, ma sempre impersonale, senza volto; avido come le multinazionali dell’agribusiness, gelido e burocratico come i tagli alla cultura, oppure micidiale nella sua astrattezza come “quella sinistra novecentesca che per inseguire l’uguaglianza ha tralasciato la libertà, e così ci ha regalato i gulag”.E, in chiusura, si è occupato anche di un tema spinoso: l’unità a sinistra ed affermato che il “popolo ne ha bisogno”, ma precisato che tale unità deve “avere come contenuto il cambiamento del modello sociale e di sviluppo”. Ed è solo un punto di partenza: “E’ necessario costruire la coalizione più larga possibile, senza veti e interdizioni, intorno a un grande compromesso tra le forze di centro e di sinistra”. Però “non è detto che questo compromesso debba nascere per forza sotto un segno moderato. Possiamo giocarcela”. Alla fine, Nichi mescolato la sua voce ad altre millecinquecento nel Bella ciao rivisitato dai Modena City Ramblers e chiuso in trionfo e in bellezza un congresso diverso. Come scrive Michele Concina di Adnkronos, la platea congressuale, che era fatta per lo più di gente anziana, che ne ha viste tante, si è lasciata conquistare, pendendo dalle sue labbra”, accettando -e quasi lo implorando- di farsi trascinare alle lacrime, alle risate, all’entusiasmo dall’unico leader emergente di una sinistra disastrata. E che lui è diverso, nuovo, capace di usare linguaggi ed idee fresche e vincenti, lo sa anche il suo avversario, quel Berlusconi mai chiamato in ballo ma che è il centro di quell’altro da noi di cui Vendola ha parlato a Firenze. Così Il Giornale corre ai ripari, con Vittorio Macioce che dice che Vendola non è che un populista superato ed anacronistico, un mix di retorica, nostalgia, fede, popolo della Fiom, cattolicesimo, comunismo, ecologismo, glocalismo no global, zapaterismo molto più intelligente, antiberlusconiano non becero né diretto, meridionalismo cinematografico, monachesimo laico, Sud Sound System, tammurriata nera, con una spruzzata di obamismo e il vecchio caro hard core marxista, con la fede atavica sulla fine del capitalismo. Ed aggiunge, caustico, che “Se Veltroni sogna un Papa straniero, lui è il pontefice autoctono della fede rossa. Il suo segreto è che l’anima è antica, e si porta a spasso tutto il furore monastico dei monaci anticapitalisti, i filosofi antimercato, gli utopisti che in nome dell’eguaglianza riducono l’umanità a una massa senza volto, ma per mettersi sul mercato usa i trucchi dei protagonisti dei reality show”. E critico è anche, su L’Espresso Blog, Marco Damilano, il quale dice che non gli è piaciuto, a Firenze, un nascente culto della personalità e che Vendola farebbe bene a prenderne subito le distanze, con ironia e leggerezza. Come farebbe bene a prendere le distanze da Bertinotti e dai reduci del bertinottismo che lo avvolgono. Dovrebbe criticare anche quell’esperienza, fallimentare almeno quanto la sinistra riformista che il governatore attacca ogni santo giorno. “Non vogliamo più perdere bene, vogliamo vincere bene”, ha gridato Nichi dal palco. Bellissimo slogan, però ora deve essere conseguente: lasci Bertinotti al suo narcisismo, alle sue future collaborazioni con il “Giornale” e volti pagina. Si allei, insomma, con quelli che sono stati definiti i rottamatori, gli sfascia tutto, quel gruppo di giovani del Pd che è capeggiato da Matteo Renzi e dal consigliere regionale lombardo Pippo Civati; chiamati sarcasticamente “ragazzi” da Lucia Annunziata in Tv e che sono l’incubo vero di un partito che è un Moloch ormai arrugginito, che insegue il Pdl sulla sua strada e di alternative, davvero non ne trova. Ma per vedere se la sinistra davvero volterà pagina, bisognerà attendere un altro fine settimana in programma dal 5 al 7 novembre, alla stazione Leopolda, di nuovo a Firenze, con i giovani amministratori del Pd, convocati dal rampante e giovane sindaco. Quanto al sarcasmo della dalemiana “velina rossa” Annunziata, sarà il caso che qualcuno le ricordi che nell’aprile 1997 i Tories inglesi avevano preparato un terroristico spot contro l’allora 44enne candidato laburista Tony Blair, utilizzando l’argomento della giovane età: “Non affidate a un ragazzo il lavoro di un uomo»” Si è visto com’è andata: il ragazzo, The Boy, ha dominato la scena per più di dieci anni, costruendo il momento più alto per il suo Paese. Quando, esattamente quarant’anni fa, nel 1970, Francois Mitterand diventò segretario dei socialisti francesi mettendo le basi della rivincita della gauche “Le Figaro” commentò: “Finalmente il partito ha trovato un leader e il leader ha trovato un partito”. Anche oggi in Italia c’è un popolo che cerca un leader e, pare proprio, che la ricerca passi, fra comizi e convocazioni, per Firenze.
Carlo Di Stanislao
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