La Santa Sede si augura che “non venga eseguita” la condanna a morte contro Tareq Aziz, ex braccio destro di Saddam Hussein, giunta dall’Alta Corte di Baghdad a quasi dieci anni dalla caduta del regime. Annunciata un’ azione diplomatica, che andrà ad unirsi a quelle già annunciate da Unione europea e governo italiano.“Questa notizia provoca sorpresa perché due settimane fa Aziz era stato assolto per il reato di aver perseguitato la comunità sciita. Forse Aziz è stato accomunato con altri due imputati eccellenti, l’ex ministro degli interni e il capo della segreteria di Saddam Hussein, che con tutta probabilità sono responsabili di questo crimine”. Lo ha detto Mario Lana, presidente dell’Unione forense per la tutela dei diritti dell’uomo, e consigliere per i diritti umani del collegio difensivo di Tarek Aziz, che segue tutti i processi che riguardano l’ex numero 2 iracheno e che ha incontrato due anni fa lo stesso Aziz in carcere.
“Il fatto di aver accomunato Aziz a questi due personaggi è sicuramente un errore”, ha spiegato Lana. “Aziz è accusato di persecuzione nei confronti del partito Dawa, partito dell’attuale premier Al Maliki. E la persecuzione nei confronti di questo partito era stata avviata a seguito di un attentato nei confronti dello stesso Aziz. Per questo forse i fatti sono stati collegati dai giudici. Ma qui, più che di giustizia, si tratta di vendetta, come dice anche il figlio. Da anni chiediamo una operazione verità sulle vicende irachene”.
“Se verrà eseguita questa sentenza di condanna a morte, sarebbe il modo classico di tappar la bocca e di impedire che le verità scomode vengano fuori – ha concluso -. Sia da parte irachena che da parte americana questa preoccupazione che qualcuno parli è troppo evidente”.
La sentenza arriva solo da uno dei sette processi nei quali Tareq Aziz, considerato il volto umano del regime di Saddam Hussein, è imputato. Si tratta, nel caso specifico, della campagna avviata negli anni Ottanta contro i partiti politici sciiti filo-iraniani, che ha visto eseguire una serie di arresti e di condanne a morte nei confronti dei principali esponenti politici sciiti del paese.
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