E’ ancora viva, anche grazie alle pressioni dei governi europei sul regime di Teheran. Sakineh Mohammadi Ashtiani, è rinchiusa da 5 anni nel braccio della morte del carcere di Tabriz, nella zona nord-occidentale dell’Iran. Nel 2006 le sono state inflitte 99 frustate per “relazione illecita” con due uomini, quindi è stata condannata a morte per adulterio. La comunità internazionale ha risposto con sdegno alla vicenda, e la stampa straniera ha avviato una potentissima campagna mediatica chiedendo la sua liberazione in tempi strettissimi. Lo scorso luglio la pena era stata commutata da lapidazione in impiccagione. Un duro monito a Teheran era arrivato anche dalla Casa Bianca, che aveva condannato “nei termini più risoluti” la possibile imminente esecuzione della 43enne. Washington ha imposto alle autorità di Teheran di trattare la donna “in maniera giusta”. “Condanniamo nei termini più risoluti il progetto evidente del governo iraniano di giustiziare presto Sakineh Mohammadi Ashtiani”, ha dichiarato Robert Gibbs, il portavoce del presidente Barack Obama in un comunicato. “La mancanza di trasparenza e di rispetto delle procedure nella causa della signora Ashtiani, e gli atti subiti dal suo avvocato e dalla sua famiglia, sono inaccettabili”, ha indicato il portavoce. Ma negli USA ed in altri paesi è ancora attiva la pena di morte. Secondo un rapporto diramato il 10 ottobre, giorno internazionale contro la pena di morte da Amnesty International, in 68 Stati al mondo la pena di morte è ancora prevista dal codice penale ed utilizzata (colore rosso); in 30 mantenuta anche per reati comuni ; in 10 per reati commessi in situazioni eccezionali, ad esempio in tempo di guerra. Inoltre, negli Stati che la applicano, spesso i processi non sono equi e regolari. In Iran negli anni scorsi sono stati celebrati processi della durata di pochi minuti, davanti ad un giudice non indipendente (un’autorità politico-religiosa) e si sono conclusi con una sentenza di morte, inappellabile, eseguita quasi immediatamente. Negli USA, in un sistema giudiziario assai evoluto, un errore commesso da un avvocato d’ufficio inesperto (come, ad esempio, un leggero ritardo nella presentazione di elementi a discarico) può comportare la fine di ogni speranza per l’imputato. Nel 2009 sono state messe a morte almeno 714 persone in 18 paesi e condannate alla pena capitale almeno 2001 persone in 56 paesi. “La pena di morte è crudele e degradante, un affronto alla dignità umana” – ha dichiarato Claudio Cordone, Segretario generale ad interim di Amnesty International, che ha aggiunto: “Le autorità cinesi affermano che le esecuzioni sono in diminuzione. Se questo è vero, perché non dichiarano al mondo quante persone hanno messo a morte?”. Sfidando la mancanza di trasparenza da parte della Cina, Amnesty International ha deciso perciò di non rendere pubblici gli scarsi dati in suo possesso. Le stime basate sulle informazioni disponibili fornirebbero infatti un quadro fortemente sottodimensionato dell’effettivo numero di condanne eseguite ed emesse nel paese nel 2009. La Bielorussia rimane l’unico paese europeo ad applicare la pena capitale. In tutto il continente americano, gli Usa sono stati l’unico paese in cui sono state eseguite condanne a morte. “Sempre meno paesi fanno ricorso alle esecuzioni. Come in passato con la schiavitù e l’apartheid, il mondo sta respingendo questo affronto all’umanità. Quanto al Catechismo della Chiesa Cattolica (1997) parla della pena di morte all’interno della trattazione sul quinto comandamento, “Non uccidere” e più specificamente nel sottotitolo che tratta della legittima difesa. La pena di morte in Città del Vaticano non era prevista per alcun reato già dal 1967, su iniziativa di papa Paolo VI; tuttavia venne rimossa dalla Legge fondamentale solo il 12 febbraio 2001, su iniziativa di Giovanni Paolo II. Nel giugno 2004, l’allora cardinale Joseph Ratzinger, attuale papa Benedetto XVI, inviò, in qualità di prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, una lettera al cardinale Theodore Edgar McCarrick – arcivescovo di Washington – e all’arcivescovo Wilton Daniel Gregory – presidente della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti – nella quale affermava che può tuttavia essere consentito […] fare ricorso alla pena di morte. Infine, L’opinione pubblica contro la pena capitale si divide inoltre in abolizionisti (come Amnesty International) e sostenitori della moratoria (come l’associazione radicale Nessuno tocchi Caino).
Carlo Di Stanislao
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