Da domani, 5 novembre, al cinema è possibile vedere L’Immortale, un film di RIichard Berry con Jean Reno, Kad Merad, Marina Fois, Jean-Pierre Darroussin. Tratto dal romanzo “L’IMMORTEL” di Franz-Olivier Giesbert.
Charly Matteï ha deciso di dare una svolta alla sua vita da fuorilegge. Negli ultimi tre anni ha condotto una vita pacifica, dedicandosi a sua moglie e ai due bambini. Poi, un inverno, viene dato per morto in un parcheggio al Vecchio Porto di Marsiglia, con 22 pallottole in corpo. Ma, a dispetto di ogni probabilità, Charly non muore. Questo film è un lavoro di finzione ispirato, però, a veri eventi accaduti nel mondo della mafia marsigliese.
INTERVISTA CON IL REGISTA RICHARD BERRY
Cosa l’ha spinta a fare l’adattamento cinematografico del libro di Franz-Olivier Giesbert?
Così come la commedia può talvolta essere un incredibile veicolo di alcune idee, i thriller possono costituire una pausa di riflessione su certi argomenti. In questa storia – un uomo che era un padrino della mafia marsigliese, dato per morto nel 1977 in un posteggio a Cassis, ma inspiegabilmente sopravvissuto, tanto da guadagnarsi il soprannome di “L’immortale” – ho visto un argomento molto forte e un’avventura incredibile. Passare dall’essere gangster al diventare immortale è un’impresa davvero stupefacente.
Inoltre questa storia mi ha dato la possibilità di parlare di identità, il tema centrale della maggior parte dei miei film. Non si riesce mai del tutto a togliersi di dosso la propria cultura, le origini, la storia… Per gli altri, sarai sempre un Bretone, un ebreo, un arabo, un cinese o altro. E fra l’ integrarsi e la nostra abilità di accettare le persone, c’è spesso un gap enorme.
In L’immortale, abbiamo a che fare con un gangster che si è ritirato da quella vita e che si sta redimendo, cercando di vivere una vita tranquilla con la moglie e i figli, accettando il fatto che non sarà mai molto ricco. Charly Matteï deve fare i conti con il suo passato che si presenta nelle vesti di Zacchia, suo amico d’infanzia. Avevano deciso di rimanere sempre uniti, nella vita e nella morte, ma Zacchia crede fermamente in una teoria non del tutto falsa e, anzi, totalmente razionale. “Quando hai le mani sporche di sangue, non riesci mai a lavarle del tutto. Il male rimane il male. E’ dentro di noi. Lo devi accettare”. I due approcci completamente contrastanti mi hanno spinto a fare un film basato sulla loro storia, ma non in modo didattico, non intendo dire agli spettatori chi ha ragione e chi ha torto. Nella malavita, così come in un reparto di polizia, ci sono buoni e ci sono cretini. Prima di tutto sono esseri umani e poi sbirri o delinquenti.
Il personaggio di Marina Foïs, la poliziotta, è una donna che sta ancora aspettando la chiusura dell’inchiesta sulla morte del marito perchè non si sono mai trovate le prove contro i colpevoli. Che sono intoccabili. Naturalmente il suo punto di vista personale diverge totalmente da quello professionale. Sullo schermo volevo vedere quella realtà umana, quei paradossi. Volevo che ogni delinquente che muore fosse un uomo con una storia. Queste sono contraddizioni che danno “umanità” al film.
Come ha fatto ad arrivare a questo scopo?
Ho comprato i diritti per il libro di Franz-Olivier Giesbert, ma alla fine ho usato solo una parte del romanzo. Qualcuno troverà il film molto vicino alla realtà del mondo. Io ho condotto una mia inchiesta, della quale non posso parlare dettagliatamente perché molte persone le ho incontrate in grande segretezza. Ho passato diverse settimane a Marsiglia dove, pian piano, ho conosciuto una donna che a sua volta conosceva un uomo… e così via. Incontri discreti in bar dove ho ascoltato le storie che hanno dato vita ad alcuni personaggi.
Che cosa è accaduto quando ha conosciuto l’Immortale, il famoso Jacky Imbert?
Franz è stato il tramite. Jacky è stata ovviamente la prima persona che ho voluto incontrare. Il film non è la storia della sua vita. Prendo un evento, e gli creo attorno una vita fittizia che, però, è tratta da alcune realtà della malavita. Non è realtà quotidiana. E’ finzione basata sui fatti.
Il nostro primo incontro è avvenuto una sera d’estate di quasi tre anni fa. Mi trovavo in compagnia di un personaggio molto divertente, misterioso e taciturno. Lui vedeva ciò che aveva passato da una prospettiva molto umana – amicizie, tradimenti. Mi disse, “L’attentato che ho subìto ha distrutto la mia vita quando avevo solo 47 anni. Adesso sono un invalido. Ho perso l’uso della mano destra e il mio corpo è tutto dolorante”. Ma la cosa peggiore per lui, la sua ferita più grande, è stata il tradimento. Ho capito subito che, come aveva già fatto per il libro di Franz, Jacky voleva tenersi lontano dalla storia che volevo raccontare.
Ma lei ha chiesto di vederlo di nuovo…
Sì, questo non mi ha fermato dal volerlo incontrare durante il suo processo per associazione a delinquere, un’imputazione che risaliva a 15 anni prima. Aveva già passato 18 mesi sotto custodia. Così, 6 mesi dopo il nostro primo incontro, sono andato in tribunale e sono rimasto esterrefatto dal numero di fotografi e troupe televisive che ho visto. In effetti, sono rimasto colpito dal carisma di questo uomo dai capelli completamente bianchi e vestito totalmente di nero. Assistendo al processo ho scoperto un uomo intelligente che si è difeso e ha spiegato le cose con molto senso dell’umorismo. Ho anche iniziato a capire in quale situazione si trovasse, preda di tanti pettegolezzi e vittima della propria reputazione di “uomo pericoloso”.
Dopo il processo abbiamo cenato insieme e, in seguito, ci siamo incontrati spesso. E’ un uomo incredibilmente silenzioso e le cose che ha detto si sono fatte strada nel film come “la giustizia in paradiso funziona meglio di quella sulla terra”, oppure “Gli uomini, durante un colpo indossano passamontagna. Quello è omicidio. I conti si dovrebbero regolare senza maschera”, oppure “gli sbirri mi hanno fermato per colpi che non ho commesso, e per quelli che ho fatto non si sono neanche avvicinati”.”Oggi è un uomo che vuole solo vivere il resto della sua vita in modo tranquillo”.
Lui si è fidato subito di lei?
Sì, perchè pur senza farmi domande dirette, ha capito che non è la storia della sua vita. Spero comunque che il film suoni di vero. Non è un film sulla mafia italiana o americana trasportata a Marsiglia. Ho ambientato il film nella realtà della mafia francese, la mafia marsigliese, che è il pezzo distinto di cultura locale. C’è una frase nel film che racconta la storia di come, nel 18mo secolo, Luigi XIV puntò i cannoni di due fortezze sulla città di Marsiglia. Sul set, il sindaco di Marsiglia Jean-Claude Gaudin, continuava a dire che non voleva un altro film che ritraesse Marsiglia come un covo della mafia. Ma io sono rimasto più di un anno a Marsiglia, e durante questo periodo ci sono stati un numero incredibile di omicidi da parte di bande. Ogni volta che arrivavo in un posto per girare, trovavo fiori con scritto “In memoria di…”. Eppure, nonostante tutto, questo non frena la città dallo sviluppo, e nel 2010 sarà la Capitale Europea della Cultura. Quella realtà però esiste e c’è da molto tempo, e io volevo che questo apparisse ben chiaro sullo schermo. E’ per questo motivo che tutti gli attori non protagonisti sono attori locali che parlano con un autentico accento marsigliese.
Lei non evidenzia il legame fra politica e mafia. Perchè?
Fino alla fine degli anni ottanta, il legame tra la politica e la malavita esisteva veramente. Il mio film è ambientato ai giorni nostri e io vi alludo solo nella scena del matrimonio del figlio “spirituale” di Zacchia nella quale il pubblico vede che tutti questi personaggi erano in contatto con politici molto importanti. Ho fatto anche scene più esplicite ma fanno riferimento a situazioni del passato, soprattutto perché i rapporti fra malavita e politica non sono più quelli di una volta. Come spiego nel film, tutto si concentra attorno alla droga e i piccoli delinquenti ne hanno accesso come i gangster di alto livello. Non si vedono mai quelli che stanno ai vertici perchè loro hanno rappresentanti, che a loro volta hanno rappresentanti, e così via fino agli spacciatori agli angoli delle strade che vendono un paio di chili e sono pronti ad uccidere per un motivo qualunque, chiunque si trovino davanti. La gerarchia piramidale della mafia non esiste più, quindi avere legami con i politici è diventato un valore aggiunto.
Ci racconti come, una volta terminate le sue ricerche e scelto il punto di vista della storia, ha iniziato a scrivere con Mathieu Delaporte e Alexandre de la Patellière.
Come sempre ho scritto per conto mio la prima bozza, questo per dare un’indicazione di cosa io volessi. Con alcuni scrittori accade che la sceneggiatura prenda diverse direzioni e ho paura che il film mi scivoli via dalle mani. Dopo aver messo giù gli argomenti principali, ho potuto cominciare con il lavoro tecnico, quello della strutturazione della storia, insieme a Mathieu e Alexandre, due scrittori brillanti ed eccezionali. Ma io non faccio mai avvicinare gli scrittori alla tastiera (ride). Quello che andrà sullo schermo è quello che è scritto sulla pagina, perciò deve venire da me e da nessun altro. In questa fase pretendo molto, direi che sono un rompiscatole. Mi piace che la storia sia sempre in fermento, quindi va raccontata con sovrapposizioni e con le scene stesse. Per me la fine di una scena e l’inizio dell’altra hanno un senso preciso, quindi lavoro molto sulle transizioni. Mi piace anche scrivere dialogo. Mathieu e Alexandre mi hanno in continuazione proposte idée che io ho utilizzato, suggerimenti per rifinire la sceneggiatura. E’ stato facile lavorare con loro, sono perspicaci ed appassionati.
Come ha scelto i protagonisti?
Così come cerco di scrivere di personaggi veri e di vere situazione, così faccio il casting del film: deve sembrare credibile. Per i tre principali protagonisti, gli amici d’infanzia, avevo bisogno di due “anzianotti” e di un uomo più giovane. Perciò Jean Reno e Kad Merad, e Jean-Pierre Darroussin, sono state le scelte ovvie.
Perchè ha scelto Jean Reno per interpretare “L’immortale”?
Jean era là dall’inizio del progetto. Siamo buoni amici. Dopo Moi, Cesar… è stato uno dei primi attori che mi ha chiesto di farlo lavorare in un film. Ma io non posso scrivere per qualcuno in particolare. La storia che ho in mente deve calzare perfettamente, ma non avevo in mente niente che calzasse a Jean. Ho cominciato a lavorare su un adattamento di Philippe Claudel’s, La petite fille de Mr Linh, che sfortunatamente non ha mai decollato. Poi è arrivata la storia di “L’immortale” e immediatamente ho pensato che fosse un ruolo perfetto per Jean. Lui poteva interpretare l’umanità di una persona che sta cercando di redimersi e avere allo stesso tempo l’aria di uno che in passato è stato un grosso gangster. Jean ha la profondità di qualcuno con un passato, e una forza che potenzialmente potrebbe essere molto pericolosa. Un uomo silenzioso. Come conferma il film è un attore meraviglioso. In L’immortale, la sua interpretazione è davvero straordinaria.
Perché ha scelto Kad Merad per fare la parte di Zacchia, colui che invia i sicari ad uccidere “L’immortale”?
Zacchia è un personaggio con molte facce, ed è anche carismatico, simpatico, emotivo e pazzo. Può andare fuori di testa in qualsiasi momento. Anche qui ho immediatamente pensato a Kad perché ha caratteristiche vitali diverse per ogni personaggio, una gentilezza innata, e perchè anche se ha ottenuto grande successo in film come Je vais bien, ne t’en fais pas, non ha mai interpretato un personaggio che spaventa lo spettatore. Io ho voluto accendere la miccia e vedere cosa sarebbe successo. Ho scelto un attore simpatico e l’ho spinto verso la pazzia anziché prendere un attore che sembra uno squilibrato e dargli un po’ di umanità. E’ affascinante mostrare questi aspetti caratteriali. A volte lo spettatore ha la sensazione che potrebbe fare amicizia con questo tizio, altre volte ne resta terrorizzato. Kad era la persona giusta, per catturare questa gamma di emozioni.
E per completare il trio, Jean-Pierre Darroussin?
Jean-Pierre ed io ci conosciamo da molto tempo, abbiamo fatto tre o quattro film insieme e ci vado molto d’accordo. E’ veramente una bella persona, onesto, leale, di fiducia – un Robert Duvall che non trasmette il minimo senso di pericolo – esattamente come l’ultimo membro del trio, più riservato e più codardo di Jean o di quel nervoso di Kad. Queste loro caratteristiche vengono viste anche in flashback di quando erano giovani.
Fra tutti questi uomini, ha scelto Marina Foïs per interpretare la poliziotta che è a capo dell’indagine.
Marina è un’attrice che adoro da molto tempo e volevo vederla in una ambientazione più realistica. In L’immortale ha dimostrato di essere una bravissima attrice estremamente versatile. Il suo non è un personaggio pazzo come quello di Darling, e neanche strano come quello di Les Robins des Bois. Qui è bravissima ad interpretare una persona che ha i piedi per terra. Le piace prendere una direzione ben precisa e risponde molto bene alle indicazioni. Perciò ho potuto spingerla molto in alcune scene e questo dà un immenso piacere ad un regista.
Anche lei e il rapper Joey Starr fate una breve apparizione. Come mai?
Nel film c’è un mistero attorno all’ottavo uomo del gruppo che ha sparato a Jacky. L’idea era quella di non lasciare indovinare subito la sua identità allo spettatore Ho combattuto per avere volti molto conosciuti anche nei ruoli minori del film per aumentarne la potenzialità Questo spiega il mio ruolo e quello di Joey Starr come Pistachio. Naturalmente gli attori dovevano essere credibili nei loro ruoli e io credo che Joey sia un attore fantastico. Era incredibilmente attinente alla realtà in Le bal des actrices. Inoltre ci conosciamo da molto tempo, da prima che diventasse Joey Starr e mi piace molto. E soprattutto la macchina da presa, lo adora.
Come lavora con i suoi attori?
Prima delle riprese leggo la scene con l’intero cast, sul set, e facciamo una prova mentre la troupe allestisce. Preparo sempre le riprese nei minimi dettagli, così i tecnici sanno esattamente quello che voglio e io posso concentrarmi sugli attori. Quasi sempre rimango in piedi dietro la macchina da presa, dove i miei attori mi possono vedere. Loro sanno che io mi aspetto che sappiano perfettamente le loro battute. Non voglio alcuna esitazione, non devono essere incerti sul da farsi. Io do molte indicazioni e li spingo molto per ottenere il meglio da loro. Per la scena nella quale Jean supplica Marina di aiutarlo, ho lavorato per settimane, concentrandomi su di lui come su un diamante che avremmo tagliato al suo stato più puro con ogni ciak. Gli chiedevo continuamente di fare di più, di disinserire il pilota automatico. Per me è stato facile perché andiamo indietro di 35 anni ed io so quello che può fare, e quello che voleva fare. Gli ho chiesto di imparare bene le sue battute e di allenarsi per le scene d’azione, così non ci sarebbe stato bisogno di uno stuntman. E ce l’ha fatta. Era in perfetta forma e ha raggiunto risultati eccellenti, la verità nella sua forma più pura.
Quale sono le sue priorità quando gira?
Questo film doveva essere realistico ma anche scorrevole, il che può sembrare una contraddizione, ma è quello che stavo cercando. Per capire come abbiamo fatto dobbiamo tornare a The Black Box, il mio film precedente, che non era affatto fedele alla realtà: eravamo nella testa di un uomo in coma. Per catturare questo effetto, ho usato degli obbiettivi corti e una densità eccezionale per ottenere inquadrature che sembrassero quadri. Ho fatto appello a tutte le mie fantasie e ossessioni. In L’immortale, senza trascurare considerazioni estetiche, ho lavorato con obbiettivi più lunghi per aumentare il realismo e ho usato una macchina da presa a mano con uno shutter a 45gradi, che è più stretto del solito, come nella scena del rapimento in strada, per dare un senso di ‘immagine di vita vera’ impregnata da un sentore di panico. Dovevo stare attento a non oltrepassare il limite. Non mi piace l’aspetto a singhiozzo di molti film di oggigiorno, è semplicistico ed inutile. Il mio unico scopo era di raccontare ogni scena come doveva essere, non quello di usare effetti spettacolari tanto per fare. La macchina da presa non è quasi mai stata ferma, siamo sempre stati in movimento, anche se di poco – una carrellata laterale, push-in oppure movimento della gru.
Il film è cambiato molto nel montaggio?
No, non ho tagliato alcuna scena, ne ho solo spuntata qualcuna un po’ qua e un po’ là. La prima versione era di 125 minuti e siamo arrivati a 114 minuti inclusi i titoli di coda. E’ stato così per tutti i miei film. Per usare un’altra volta la metafora del diamante, più li lustri più sono belli. Meno significa di più. Ho parlato di questa cosa con Besson e lui ha detto, “Non mi sono mai chiesto perché ho tagliato qualcosa nei mie film, però spesso mi sono pentito per non aver tagliato di più.”
Come mai ha scelto Klaus Badelt per comporre la musica?
Ho girato con in mente la musica di James Newton Howard. Ammiro molto il suo lavoro. Mi sono prefisso uno standard molto alto perché lui é un compositore che spazia da un genere all’altro con grande facilità. Lui e Alexandre Desplat sono le prime persone che ho contattato – sono stato fortunate perché i miei produttori mi hanno dato carta bianca – ma nessuno di loro due era libero. Poi mi sono rivolto a Howard Shore che ha lavorato con Scorsese, Cronenberg e con Il signore degli anelli) Ha accettato di farlo dopo aver letto la sceneggiatura ma, stranamente, quando abbiamo tentato di mettere un po’ della sua musica alle scene nel montaggio, non ha funzionato. Ho tentato molte volte ma invano. Poi mi sono reso conto che la musica di Howard Shore era in competizione con la musica lirica. Io lavoro più che altro con strumenti ad arco, usando delle basi molto classiche, perciò quella musica non poteva funzionare in questo film. Avevo due opzioni: Harry Gregson-Williams e Klaus Badelt, il cui lavoro, Premonition and Constantine, mi era piaciuto moltissimo, e che mi ricordava musicalmente James Newton Howard. Qualcuno mi ha suggerito di sentire la sua musica in Pour elle. L’ho trovata molto minimalista, ma bella e pura. Mi piace anche quando è più elaborata, come in Pirai dei Caraibi 3. Quando ho saputo che era a Parigi per uno dei suoi rari viaggi, l’ho incontrato e gli ho mostrato il film. Ho avuto l’immenso piacere e shock di sentirmi dire, “Le chiedo di farmi lavorare nel suo film. Mi piace da morire”! Quando una persona di tale talento ti manda un e-mail e ti chiama per dirti che è sicuro di fare un lavoro magnifico, è inevitabile che sarà lui la persona scelta. Infatti non mentiva, ha fatto un lavoro straordinario. Abbiamo registrato a Abbey Road con degli eccellenti suonatori d’archi. E’ stato un momento incredibile. Ed è li che mi sono reso conto del perché aveva insistito per fare L’immortale. Gli ha dato l’opportunità di comporre musica fiammeggiante come in Pirati dei Caraibi. E’ riuscito a creare molte emozioni, puro e semplice sentimento con una incredibilmente vasta gamma di toni, cosa che non accade spesso.
Come si sente a poche settimane dall’uscita del film?
Ovviamente sono molto attento a come sarà accolto il film, perché mi sta a cuore e vorrei che Jacky Imbert si emozionasse quando lo vedrà, e vorrei che anche lo spettatore si emozionasse. E’ un film che parla di come le persone ti guardano, ti accettano oppure no, e del modo in cui tu guardi le altre persone, di come ci si può sentire esclusi dal microcosmo della società alla quale loro vogliono che tu appartenga.
Più personalmente, con questo film credo di aver fatto molto, sia come scrittore che come regista. Anche se in genere i miei film hanno sempre riscosso delle buone critiche, questa volto sono più attento del solito.
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