Il festival del cinema a Roma è diventato il teatro delle proteste. Se all’inizio vi è stata quella relativa ai tagli inerenti il cinema, sono poi seguite quelle relative al comparto cultura e, infine, quella sul pecariato. Quest’ultima, non annunciata e molto animata ma pacifica, è stata prontamente tenuta sotto controllo dalla polizia che ha circondato con un ‘cordone’ il folto gruppo armato di striscioni e megafoni. In buona sostanza, l’edizione 2010 del Festival di Roma, verrà ricordata per la carenza di star ed anche per le proteste. Si è protestato per avere dei salari dignitosi, delle garanzie occupazionali e per il diritto alla casa. Ma anche contro il governo, chiedendo le dimissioni del Premier Silvio Berlusconi e usando slogan di sicuro effetto: “Più case, meno caserme e la nostra vita non è un film. Roma capitale della crisi”. Ha detto bene Paolo Virzì, che, intervistato, ha dichiarato: “Il cinema italiano sta andando bene, ma rischia di chiudere per la sciatteria e l’arroganza di chi non capisce che rappresentiamo l’anima del paese”. Quanto ai premi, che saranno assegnati in serata, ancora una volta l’Italia ne esce delusa, a parte Toni Servillo, in lizza come miglior attore. I film italiani in concorso sono stati quattro: “Gangor” di Italo Spinelli, primo caso di coproduzione italo-indiana, tratto dalla novella della scrittrice bengalese Mahasweta Devi “Choli Ke Peeche” (“Dietro il corsetto”); “La scuola è finita” di Valerio Jalongo, che racconta le storie di un professore e di uno studente nel liceo professionale Pestalozzi; “Io sono con te” di Guido Chiesa, storia del rapporto tra Maria di Nazareth e Gesù, suo figlio; “Una vita tranquilla” di Claudio Cupellini, con Toni Servillo. Il bilancio del festival, che mirava alla proiezione di un cinema giovane e fresco non ci pare positivo, ma dobbiamo riconoscere il valore degli omaggi a Fellini, Kurosawa ed Ugo Tognazzi, nonché l’interesse per “The Social Network” (il film di David Fincher su Facebook) e per l’episodio pilota della serie tv “Boardwalk Empire”, diretto da Martin Scorsese. Siamo invece stati molto delusi dall’attesissima proiezione di “La scomparsa di Patò” di Rocco Mortelliti, dall’omonimo romanzo del siciliano Andrea Camilleri, come anche dal documentario “The Promise: The Making of Darkness on the Edge of Town”, con protagonista Bruce Springsteen. Tornando all’unico film italiano candidato ad un premio, “Una vita tranquilla”, con una monumentale prova di Toni Servillo, è una pellicola non eccelsa, ma di taglio decisamente europeo, sul collaudato tema del passato incancellabile, con le colpe dei padri che ricadono sui figli, come pioggia di pallottole nella nera notte di qualche nonluogo e la salvezza che è un’autostrada che non sappiamo dove finirà. L’unica certezza è il dubbio: si può vivere una vita tranquilla fuggendo nella nebbia ma non da se stessi? Insomma, per un film italiano davvero fresco, nuovo e da premio, bisogna risalire al 2006-2007, con “La ragazza del logo” di Andrea Mattioli, sempre con Servillo, una storia squisitamente “di genere”, anche se non precisamente “noir, che esalta quelle atmosfere, quell’orrore dietro la monotonia, che sono stati propri di grandi letterati. Da allora un buon cinema, ma privo di novità ed impennate.
Carlo Di Stanislao
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