Nei due discorsi di Perugia e di Bastia Fini dichiara che il Fli non è contro, ma “oltre il Pdl” e chiede a Berlusconi di aprire la crisi di governo rassegnando le dimissioni, asserendo di provare un profondo “ dolore per il nostro Paese” mentre fanno il giro del mondo notizie come “quella del crollo a Pompei” e “quell’altra”, non pronunciando alcun nome, ma facendo chiara allusione allo scandalo Ruby. Fini promette: “Ridaremo al nostro Paese l’immagine all’estero che merita” e precisa: “In Italia c’è nostalgia di una politica diversa, pulita, fatta di valori e ideali”; mentre per quanto concerne”quel decadimento che c’e’ nella società italiana, esso è conseguenza della progressiva perdita di decoro di quelli che sono i comportamenti di chi è chiamato a essere di esempio perché se si è personaggi pubblici, si e’ obbligati a essere di esempi”. Si dice molto soddisfatto il leader del nuovo organismo di destra che si afferma liberale di respiro europeo, per il lavoro fatto da Mirabello ad oggi ed aggiunge (dopo aver detto ieri ad un quotidiano tedesco, di essere disponibile, nelle elezioni del 2013, a correre come primo ministro se l’elettorato lo richiederà), che non vi è “limite per le ambizioni del nuovo partito”. E, ancora, precisa quelli che saranno i capisaldi di un partito aperto a tutti, tranne che ad affaristi e carieristi e che non sarà “ un An in piccolo, ma nemmeno la zattera della medusa pronta a raccogliere i naufraghi di ogni stagione”. Punti distintivi, per il leader, dovranno essere: “la nazione, il senso di appartenenza alla comunità; la legalità, come abito mentale e precondizione perché ci sia la libertà; il rispetto per la persona umana e la tutela dei diritti civili senza distinzioni di razza e religione; l’esaltazione del lavoro in tutte le sue espressioni; la centralità della famiglia come cellula primaria della società”. Insomma per Fini il “Fli ha un progetto ambizioso che si riassume nella volontà di far nascere il soggetto politico che era alla base dell’intuizione che ha portato alla nascita del Pdl, ma che non si è realizzata, se non in minima parte. Quell’ambizione del Pdl era: incarnare il moderatismo italiano, per cambiare volto alla società e ammodernare le nostre istituzioni”. E i 5.500 iscritti (e paganti), hanno applaudito all’inverosimile, trasmettendo a ognuno dei 600 giornalisti accreditati, la sensazione che c’è davvero qualcosa di vivace e di forte nel soggetto politico che sta prendendo piede ora e diverrà partito a gennaio, in una convention a Milano. Già dal primo pomeriggio il Pdl fa quadrato, a cominciare dal Cavaliere. “Se Fini vuole la crisi venga in Aula a votare la sfiducia”, si sfoga a caldo il capo del governo con i suoi. Nonostante il discorso di Fini sia stato più duro di quanto preventivato, il capo del governo e i suoi collaboratori non lo considerano come una dichiarazione di guerra. Nemmeno il ritiro della delegazione finiana dal governo sarebbe vissuto come apertura delle ostilità. Se crisi deve essere, si ragiona a Palazzo Grazioli, è in Parlamento che dovrà accadere. Ed anche Bersani, intervistato da Lucia Annunziata su Rai Tre (nella rubrica Mezz’Ora), parla di un Fini non toppo nuovo o importante, che ripete cose già dette attorno ad un soggetto politico pieno di contraddizioni dopo aver varato una legge come la Fini-Bossi e non aver fato mancare, sin’ora, nessun sostegno reale e sostanziale al governo. Ma mentre sia Fini nel suo discorso a Bastia, sia Bersani nella sua “mezzorata” televisiva, uno spiraglio dialogico lo fanno intravedere, la linea ufficiale del Pdl è dura e la traccia il portavoce Daniele Capezzoni, che su Libero dichiara: “Le dimissioni che sarebbero necessarie sono quelle di chi, come Gianfranco Fini, usa la terza carica dello Stato per condurre una battaglia di fazione e contraria alla volontà popolare”. Linea ribadita dai maggiorenti azzurri Sandro Bondi e Fabrizio Cicchitto: “Il discorso pronunciato oggi da Fini”, accusano il ministro dei Beni culturali ed il capogruppo del PdL alla Camera, “getta alle ortiche con una spregiudicatezza imbarazzante un impegno comune di quasi vent’anni, liquida una parte cospicua del patrimonio della destra italiana, tenta di distruggere alcuni punti fondamentali dell’impianto riformista del governo e risponde con la richiesta di una crisi al buio alla prospettiva positiva indicata dal presidente Berlusconi. In questo modo fini si è assunto una responsabilità gravissima di fronte al paese e di fronte agli elettori di centro destra”. Seguiremo l’andamento delle reciproche accuse e rimpalli nei prossimi giorni, con passione non minore di quella per la vicenda del crollo della Casa dei Gladiatori in cui Bondi accusa gli amministratori locali e questi rinviano il rimprovero al governo e per le orride accuse incrociate e smentite pade-figlia nel caso Scazzi-Misseri, radiografato in diretta Tv, fra colpevolisti ed innocentisti senza titolo alcuno per intervenire. Una cosa è certa. L’Italia tutta, quella politica e sociale, è davvero in una cattiva, cattivissima condizione se a decidere del’innocenza in un delitto sono presentatori ed opinionisti e, circa il crollo della casa dei Gladiatori, le parole più sagge debbano venire non dal ministro dei beni culturali, né dal commissario di governo, ma dal presidente del Touring club, Franco Iseppi che,facendo eco al Presidente Napolitano ha detto: “La cultura non si mangia, ma è nutrimento per l’anima; non possiamo rinunciarci. E allora, dobbiamo essere noi italiani a “tenere aperto, “il sito di Pompei”; facendo intendere che ormai solo le donazioni e l’impegno dei singoli può davvero fare qualcosa per questo disastrato Paese. Una riflessone finale che mi viene dalla lettura di un bel pezzo su “querr blog.it” di oggi. Siccome ha ragione Francesco Merlo che su Repubblica ha scritto di Berlusconi: “Ormai ci imbratta tutti questo vecchio con la lingua di fuori, che ha usato il suo potere per commettere reati comuni, per delegittimare e raggirare la polizia, compra e ricatta minorenni, abusa dello Stato, ma purtroppo ci spinge a parlare di sesso e ci costringe a difendere i gay”; serve ora, una immediata, ferma, unanime, presa di distanza ed una protesta, non solo da parte delle associazioni lgbtq, dei singoli gay-lesbiche- transessuali, ma di tutta qulla società civile che ha il coraggio di non ridere e applaudire le misere oratorie del nonnino che imbratta tutti, una risposta che respinga al mittente tutto quel lordume. Una risposta pubblica, democratica, che faccia capire al nonnino che non siamo disposti all’insulto pubblico, alla derisione a tutti i costi. E se Gianfranco Fini può costituire il portabandiera, da destra, di questa protesta civile ben venga, altrimenti smetta di fare riunioni e convention che, se non denaro, fanno perdere tempo all’Italia.
Carlo Di Stanislao
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