Il filosofo Umberto Galimberti con lucida analisi evidenzia la divina follia di Bruno contrapposta alla scienza e anche alla religione, laddove follia va naturalmente ad indicare quella capacità di andare oltre il velo di Maya cogliendo commosse tangenze con l’Assoluto. In effetti Bruno è veramente un’occasione oggi per pensare “profondamente”, dove la profondità non è quella che connota il pensiero tecnico-scientifico da secoli imperante in Occidente: essa va ricercata nell’inconscio della scienza stessa “che è a un tempo ciò da cui la scienza scaturisce e ciò che la scienza rimuove”. La sua statua torva ed incappucciata, a Campo dei Fiori, nel luogo del rogo insensato e vergognoso, non va guardata negli occhi, come sano tutti gli studenti romani che intendano laurearsi. Fu uno dei personaggi più colti del ‘500 ed uno dei più enigmatici e complessi pensatori della cristianità. Nato a Nola nel 1534, figlio di un soldato di professione, nel 1565 entrò nell’ordine mendicante dei domenicani predicatori, cambiando il suo nome da Filippo in Giordano e manifestando subito una personalità inquieta, dotata di viva intelligenza ed una insaziabile voglia di conoscere. Contro il geocentrismo tolemaico affermò l’infinità dell’universo che non ha centro ed in cui ogni punto è al tempo stesso centro e periferia. Ma, eresia ancora più grave, nel trattato De infinito, universo et mondi, parlando dell’intero universo non vi include Dio. Denunciato all’Inquisizione, subì sette anni di carcere duro, un lunghissimo processo, numerosi e interminabili interrogatori nonché almeno una volta la tortura. Nonostante ciò, rimase coerente con se stesso e fedele alle proprie ragioni; non accettò mai di rinnegare in blocco le sue idee giudicate radicalmente incompatibili con l’ortodossia cristiana. Di Giordano Bruno ci parla Michele Proclamato nel bel libro “L’Uomo di Dio” con sottotitolo molto chiarificatore: “Rivela i segreti dell’Arte della Memoria che portarono Giordano Bruno al rogo”. Già un paio di anni fa, per i tipi di Anima, era uscito un libro sullo stesso tema, intitolato “L’arte delle memoria di Giordano Bruno, scritto da Gianni Golfera, che spiegava come Bruno, 400 anni fa, aveva già compreso che la memoria è una vera e propria scienza, che usata in modo proprio ed intelligente, serve ad avere una maggiore creatività, garantendo una qualità di vita superiore. Una volta associata alla lettera, al numero, alla parola, l’immagine acquista una forza sua propria, talismanica: da semplice artificio mnemonico si carica di contenuti emozionali. In appendice al quel libro venne proposta la traduzione dell’Ars memoriae (che costituisce la seconda parte, quella “pratica”, del De Umbris), realizzata da Fabio Ferrucci, in sintonia con le intuizioni di Golfera ed in linea con le geniali intuizioni di Bruno. Nel libro, invece, di Proclamato, caro a chi come noi ha subito il fascino dell’arcano e del mistero, senza farsi scoraggiare dalle ombre inestricabili dell’esoterismo, ciò che traspare non è il valore tecnico dell’arte bruniana del ricordo, ma piuttosto la visione del mondo e delle cose che il grande nolano si portava dentro. Ecco allora apparire un Universo animicamente vivo in tutte le sue parti, capace di dialogare, attraverso il simbolismo dei Sigilli, con un uomo finalmente conscio dei suoi poteri, per ospitare un percorso conoscitivo rivolto verso la Luce Divina. Percorso nel quale verranno coinvolti Platone, Leucippo, Alessandro Magno, Leonardo da Vinci, Galileo, Newton, Lissajous, Nativi Americani, Cerchi nel Grano, Renato Palmieri ed altri ancora, con dialoghi spesso incalzanti, con un suo grande suggeritore e momenti di vita molto particolari, che creano un “pathos” bibliografico unico. Conclusione del libro è la consapevolezza che Bruno, per primo, fu in grado, quattro secoli fa, di regalare all’uomo la descrizione simbolica della nascita della Luce, madre della materia, attraverso la fusione di ogni sorta di emozione divina. Un unico progetto sentimentale, definito “Amore”. La concezione che Bruno ha della forza dell’Amore ribadisce la pregnanza e l’attualità oggi di tale concetto in campo metafisico e metempirico. La forza di cui parla il Poeta “che move il sole e l’altre stelle”, quella Forza “l unica che muove infiniti mondi e li rende vivi”. Quella magia che solo il vero saggio da sempre sente. L’amore, dice il filosofo, sa “comprendere” ciò che la ragione non sa “spiegare”, là dove la scienza può spiegare tutto, senza nulla comprendere. Giordano Bruno potrebbe davvero considerarsi antesignano notabile di quella specie che alcuni chiamano indaco, giunta a edificare un nuovo mondo, un mondo di luce per esseri di luce che vedono e sentono con gli stessi occhi e la stessa mente sia gli universi visibili che quelli invisibili. Un grande pensatore, arso vivo per il vizio di pensare, un filosofo di una modernità quasi inquietante, ma soprattutto un uomo fuori del comune, uno spirito folletto, fantasioso, originale. Ciò che trasmetteva non era solo un’immagine della vita ma un’emozione del mondo. Giordano Bruno era un grande: in lui albergava la conoscenza dei mondi paralleli, della metempsicosi, delle energie sottili… straordinario per quei tempi. Dalla lettura del libro, appare evidente che quella di Bruno è scienza del futuro, coscienza delle infinite potenzialità dell’essere umano e, soprattutto, della sua immortalità. In sintonia con il messaggio evangelico, egli annuncia la nascita dell’uomo nuovo, libero da tabù e paure, capace di ricevere e di riflettere nelle sue opere l’intero messaggio vitale, oggi noto come DNA, quindi di creare un nuovo mondo di pace e vera giustizia. Come e meglio di Giuliano Conforto in “La Futura Scienza di Giordano Bruno” (Macro Edizioni, 2001), Proclamato rivela il grande segreto, la magia della natura: la comunione naturale di ogni corpo con il messaggio genetico, che fu poi il motivo vero della sua condanna, perché vanificava il ruolo della chiesa come presunta intermediaria tra gli uomini e Dio. Il grande e nuovo messaggio di Bruno per l’uomo è l’affermazione che l’uomo nuovo è il furioso, l’ebbro di Dio e arso d’amore, che con uno sforzo eroico (da eros) e appassionato, giunge a una sorta di sovrumana immedesimazione con il processo cosmico per cui l’Universo si dispiega nelle cose e le cose si risolvono nell’Universo, generando una sorta di copula d’amore tra lui e la Natura. Bruno quindi prima dello stesso movimento romantico ha riportato l’attenzione sull’intima connessione del Tutto rispetto all’analitica scansione delle parti, in cui il pensiero logico-razionale per natura trattiene se stesso, smarrendo i vincoli che legano tra loro tutte le cose. Dunque, “non essendoci nell’universo parte più importante dell’altra, non è concesso all’ uomo quel primato che lo prevede possessore e dominatore del mondo, ma semplice cooperatore dell’operante natura”. Insomma, il bel libro del nostro Michele, è splendidamente propedeutica alla necessità di far risorgere le intuizioni bruniane, con un’asserzione efficace del geniale filosofo che più volte sostiene di essere la reincarnazione di Ermes, il messaggero degli dei, sceso per aprire gli occhi agli uomini.
Carlo Di Stanislao
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