La vicenda dei profughi eritrei, da diverse settimane nelle mani di un gruppo di predoni in una località del deserto del Sinai, al confine tra Egitto e Israele è seguita con apprensione da tutta la comunità internazionale. Gli esuli si erano affidati ai trafficanti per 2mila dollari pur di raggiungere il territorio israeliano: i sequestratori ne chiedono ora il quadruplo. I fuggitivi si sono trasformati così in ostaggi, sei dei quali sarebbero già stati uccisi. Inizialmente erano 250, tenuti in Libia in condizioni disumane. Liberati a luglio, dopo giorni di fuga senza destinazione, in 80 hanno deciso di cambiare rotta verso Israele pagando 2000 dollari a testa, avendo dovuto rinunciare – per la politica dei respingimenti dell’Italia – a continuare a battere il tragitto che dalla Libia che li avrebbe portarti verso la Sicilia e l’Europa. Arrivati in Egitto, nel deserto del Sinai, hanno trovato i predoni che ora li tengono incatenati, e che pretendono altri 8000 dollari ciascuno per ottenere la libertà. Continuamente picchiati, costretti a contattare i familiari che vivono in Europa per chiedere soldi e pagare il riscatto per la loro libertà. Una delle donne sequestrate ha raccontato al telefono, messo a disposizione dai sequestratori per far chiedere denaro ai parenti degli ostaggi, di come sono trattati peggio di bestie, tenuti con le catene ai piedi. Gli danno da mangiare una pagnotta e una scatoletta di sardine ogni tre giorni; non hanno acqua potabile e sono di fatti costretti a bere acqua salata, che sta causando molti disturbi intestinali. Un’Ansa del 3 dicembre ci ha informato che l’organizzazione per i diritti umani EveryOne, ha fatto sapere di aver individuato e comunicato all’Onu la localita’ in cui sono detenuti gli ostaggi eritrei, rapiti da predoni nel Sinai e tenuti prigionieri, in condizioni estreme, da oltre un mese. E lo Special Rapporteur delle Nazioni Unite per il traffico di esseri umani ha confermato a EveryOne che il caso, dopo le rivelazioni, riveste ufficialmente la massima priorita’. Allertato anche il Mossad per evitare eventuali fughe nei tunnel al confine fra Egitto e Palestina. Il direttore del quotidiano della Cei, Avvenire, Marco Tarquinio, aveva rivolto nei giorni scorsi un appello all’Italia affinché intervenisse per la salvezza del gruppo di eritrei. Intanto diverse associazioni umanitarie, fra cui la Comunità di Sant’Egidio, hanno lanciato un nuovo appello alle Nazioni Unite e alle istituzioni europee affinché intervengano per la risoluzione di questa vicenda. Secondo quanto dichiarato nei giorni scorsi da padre Giovanni La Manna, direttore del Centro Astalli, il servizio dei Gesuiti per i rifugiati in Italia: “Questa situazione si è creata poiché il flusso di profughi che partiva dall’Eritrea, dall’Etiopia, dal Sudan, attraversando il deserto e giungendo in Libia, ha poi grandi difficoltà a compiere la traversata per venire in Europa. L’adozione dei respingimenti ha provocato questo fenomeno – che non è il solo – e ha portato le persone a sperimentare nuove rotte. L’episodio dimostra come la situazione, per chi è costretto a scappare dal proprio Paese, diventa più difficile, più rischiosa e più costosa”. I prigionieri, a cui è consentito di usare i telefonini per contattare l’esterno e chiedere i soldi del riscatto, hanno anche detto che gli è stato dato un ultimatum che è scaduto ieri, dopo di che sarebbero stato uccisi. Ieri, dopo la preghiera dell’Angelus, Benedetto XVI ha denunciato il dramma degli ostaggi eritrei e ha ammonito che il “rispetto dei diritti di tutti e’ il presupposto per la civile convivenza”. Il Papa ha invitato a pregare per tutte le situazioni di violenza, di intolleranza, di sofferenza che ci sono nel mondo, affinché la venuta di Gesù porti consolazione, riconciliazione e pace”. “Penso – ha aggiunto – alle tante situazioni difficili, come i continui attentati che si verificano in Iraq contro cristiani e musulmani, agli scontri in Egitto in cui vi sono stati morti e feriti, alle vittime di trafficanti e di criminali, come il dramma degli ostaggi eritrei e di altre nazionalità, nel deserto del Sinai. Il rispetto dei diritti di tutti è il presupposto per la civile convivenza. La nostra preghiera al Signore e la nostra solidarietà possano portare speranza a coloro che si trovano nella sofferenza”.
Carlo Di Stanislao
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