Stamani, in una scuola materna di Besançon, nella Francia dell’Est, cinque bambini e la loro insegnante sono stati tenuti in ostaggio per oltre quattro ore da un giovane squilibrato, prima della loro definitiva liberazione, intorno alle 12:45. Il giovane, 17 anni, armato di due sciabole, ha fatto irruzione nella scuola verso le 8 e 30, inizialmente ha preso prigionieri 20 piccoli, un’insegnante e un’assistente e, poi, ha rilasciato prima 5 e, successivamente altri 10 bambini. Le teste di cuoio sono entrate poco dopo mezzogiorno nell’edificio, liberando tutti ed arrestando il giovane squilibrato che ha chiesto agli agenti di avere un’arma per suicidarsi. L’intera vicenda nella sua dinamica è stata ricostruita dal sindaco di Besançon, Jean-Louis Fousseret, intervistato su tv France 24. Fin dall’inizio la polizia era riuscita a stabilire un contatto telefonico con il sequestratore e nel corso della mattinata, l’adolescente aveva accettato progressivamente di liberare la maggior parte degli ostaggi. Nel frattempo le altre classi erano state evacuate e la scuola era stata circondata dalla polizia. Una unità di supporto psicologico era stata approntata all’esterno per i genitori. Verso mezzogiorno la trattativa è stata presa in mano dagli uomini delle forze d’élite, che sono entrati nella scuola. Sul posto è arrivato anche il ministro dell’Istruzione Luc Chatel che ha reso omaggio al coraggio degli agenti. I bimbi liberati sono usciti dalla scuola mano nella mano e hanno ritrovato i loro trepidanti genitori. Non sembra invece destinata a concludersi altrettanto positivamente la sorte degli ostaggi eritrei rapiti nel Sinai. L’11 scorso don Mose’ Zerai, sacerdote che tiene i contatti con i rapiti, ha dichiarato che due di essi sono stati uccisi, mentra altri sono in fin di vita dopo essere stati picchiati selvaggiamente. Inoltre da diversi giorni viene negata loro l’acqua e vengono costretti a bere la propria urina’ e su molti grava la minaccia dell’espianto di organi per pagare il riscatto’ fissato dai predoni in 8.000 euro a testa. Poche ore fa, Radio Vaticano, ha informato che la situazione precipita di ora in ora, dopo il cauto ottimismo di qualche giorno fa. Si sono persi anche i contatti con il gruppo formato da circa un centinaio di profughi che venerdì è stato prelevato dalla prigione di Rafah e trasferito non si sa dove. “Non riusciamo a contattarli telefonicamente e non sappiamo dove li abbiano portati – ha spiegato Roberto Malini, co-presidente del Gruppo EveryOne-. Il nostro timore è che Abu Khaled, il trafficante che fin dall’inizio ha avuto in mano i 250 profughi africani, li abbia rivenduti ad altri predoni”. Ma l’angoscia più grande, che pesa sul cuore di chi sta lottando per salvare queste persone, è che i profughi possano sparire nel nulla, vittime, come già detto, dello spietato traffico clandestino degli organi. L’attenzione mediatica che in queste settimane si è concentrata sul Sinai probabilmente infastidisce Abu Khaled, capo dei predoni, sebbene possano contare su una vasta rete di supporto nella città di Rafah e, probabilmente, anche della complicità della polizia locale. In effetti il governo egiziano (il solo che potrebbe agire concretamente per risolvere la situazione) continua a tentennare. Voci disperate che nessuno sembra voler ascoltare. Oggi sono stati diramati i risultati di una ricerca condotta da Open Clinic, istituzione di Medici per i Diritti Umani di Israele (PHR – Israele) con sede a Tel Aviv e Jaffa, che presta cure ai rifugiati cristiani e ai richiedenti asilo in fuga da conflitti, genocidi, carestie e torture, che provengono da Eritrea, Etiopia, Sudan e altri paesi africani e, in cerca di sicurezza e di protezione, passano per l’Egitto, in un ambiente ostile e insicuro. L’Open Clinic è un centro medico aperto gestito da medici volontari israeliani che fornisce cure mediche a persone sfornite di qualsiasi copertura sanitaria e s’impegna in un’azione di advocacy presso il governo israeliano per garantire una migliore protezione a rifugiati, richiedenti asilo, ed altri gruppi di migranti. casi di tortura, sequestro, stupro, abusi fisici e sessuali, PHR-Israele ha deciso di raccogliere in modo sistematico le testimonianze dei pazienti che arrivano in Israele attraverso il deserto del Sinai. Ad oggi, PHR-Israele ha intervistato un totale di 167 persone provenienti da Eritrea ed Etiopia, Sudan, Costa d’Avorio Leone, Somalia, Nigeria, Ghana, Congo e Sierra, tra cui 108 uomini e 59 donne. I primi risultati mostrano che i rifugiati eritrei ed etiopi subiscono le maggiori violenze e quindi ai fini del presente documento, le loro risposte sono state analizzate separatamente. Delle 13 donne che hanno accettato di rispondere alle domande circa episodi di violenza sessuale (22% del totale), il 38% ha risposto affermativamente. Il 77% dei rifugiati eritrei ed etiopi hanno raccontato di essere stati vittime di aggressioni fisiche, quali pugni, schiaffi, calci e frustate (rispetto al 63% di pazienti provenienti da altri paesi africani). Il 23% dei pazienti eritrei ed etiopi hanno riferito di aver subito bruciature, marchiature a fuoco, scosse elettriche, e sospensioni per le mani o i piedi. Nessun paziente proveniente dagli altri paesi ha raccontato di aver subito questo genere di torture. Il 94% degli eritrei ed etiopi ha riferito di essere stato privato di cibo e il 74% ha dichiarato di essere stato privato di acqua. Il fenomeno si è verificato anche tra gli altri rifugiati africani; l’80% è stato privato di cibo e il 53% è stato privato di acqua. Lo scorso fine settimana, PHR-Israele ha raccolto nuove testimonianze che inducono a ritenere che la situazione nel Sinai stia diventando sempre più precaria. Mentre in precedenza alle vittime veniva richiesto di pagare tra i 2.500-3.000 dollari, attualmente la somma chiesta come riscatto è di 10.000 dollari. Secondo quanto è stato riferito a PHR-Israele da fonti vicine agli ostaggi sequestrati nel deserto, circa 220 persone sono attualmente detenute dai contrabbandieri in un ‘campo di tortura’ del Sinai. Al gruppo di 80 individui che sono arrivati un mese fa si sono aggiunti la scorsa settimana 140 profughi diretti verso Israele. Pochi giorni fa, sempre don Zerai, aveva detto a Radio Vaticana: “Nutriamo la speranza che si possa arrivare alla liberazione degli ostaggi, ma è urgente pensare ad un piano di accoglienza e di protezione per queste persone una volta libere, magari con lo status di rifugiati. Non voglio polemizzare ma ricordo che tra i 250 ostaggi ce ne sono 80 provenienti dalla Libia, che sono stati respinti nel Mediterraneo tra il 2009 e 2010. L’ultimo respingimento di 22 eritrei risale al 6 giugno scorso. Qualcuno di questi 22 adesso – conclude – è ostaggio nel Sinai”.
Carlo Di Stanislao
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