A differenza di Montecitorio, la votazione a Palazzo Madama è stata quasi una passeggiata per il governo Berlusconi. I sì sono stati 162, i voti contrari 135. Undici gli astenuti: i dieci finiani più Enrico Musso, ex Pdl oggi nel gruppo misto. Pdl e Lega hanno al Senato complessivamente 160 senatori. Considerando che non hanno votato il presidente Renato Schifani ed il senatore siciliano del Pdl Vincenzo Galioto (assente), il governo è andato a +4. Hanno infatti votato la fiducia i senatori Antonio Fosson (Union Valdotaine), Riccardo Villari (Misto), Sebastiano Burgaretta (Mpa) e Salvatore Cuffaro (ex Udc). Alla Camera, invece, le cose sono state molto più dure. Determinanti sono stati i voti di Massimo Calearo, Bruno Cesario e Domenico Scilipoti, i tre deputati del “Movimento di responsabilità nazionale”, che hanno permesso a Berlusconi di incassare la fiducia e lo hanno interrotto a metà, mentre era già pronto a fare le valigie. Un loro peso, tuttavia, lo hanno avuto anche il non voto di Silvano Moffa (Fli), che pure era presente in Aula ma non ha risposto a nessuna delle due chiame e quello di Antonio Gaglione, ex Pd ed oggi ‘Noi Sud’, che a Montecitorio non si è visto. Ovviamente determinanti anche i voti di Catia Polidori e di Maria Grazia Siliquini, entrambe di Fli, che alla fine hanno deciso di votare contro le mozioni di sfiducia. Fini è stato tesissimo e, dopo anni di astinenza, ha rifumato una sigaretta. Poi, dopo le votazioni e la solita richiesta Pdl di dimissioni, ha fatto dire al suo portavoce Fabrizio Alfano, che “ non di dimetterà dalla propria carica, salvo che non si dimostri la sua mancanza di imparzialità nella conduzione dei lavori parlamentari”. Bossi è tornato a dichiarare il nuovo “non veto” verso l’UDC, mentre la Gelmini si è esaltata e ha parlato di grande vittoria. La cosa che bisogna chiedersi ora è come manovrerà il premier con una maggioranza risicata nella direzione delle riforme che più interessano lui e la Lega: giustizia e federalismo. Ancora una volta il Cav ha dimostrato che lui sa vincere sempre e che è questo che gli interessa e non governare. E, ancora una volta, l’opposizione se ne è stata a guardare. Subito dopo la conta dei voti il premier è stato lapidario: “Me lo aspettavo”. “Sono sereno ora – ha poi aggiunto – come lo sono sempre stato”. Per il segretario del Pd Pierluigi Bersani invece il voto favorevole al governo non conta: “Il governo così non ce la fa. La crisi politica esce drammatizzata”.Laconico il finiano Giuseppe Consolo, che raggiunto dai microfoni dei cronisti ha detto: “Bisogna rispettare il risultato della Camera, perché queste sono le regole della democrazia”, augurandosi che il governo ora riesca a guidare nel migliore dei modi il Paese. Non ha detto, comunque, verso quale direzione. Dopo la vittoria, Berlusconi ha voluto apparire addirittura magnanimo verso quegli stessi alleati che gli hanno voltato le spalle. “Sono convinto che le difficoltà e le divisioni interne che sono sorte non sono affatto insormontabili – tende la mano Berlusconi – Deve tornare a prevalere il buonsenso e il senso di responsabilità”. E chiude il discorso proponendo “a tutti i moderati di questo Parlamento un patto di legislatura per garantire coerenza e continuità con il programma elettorale e con le scelte che abbiamo condiviso. Decidiamo insieme quale sia la strada e quale sia lo strumento più indicato”. A tutti ha detto di essere convinto “che alla fine la ragionevolezza e la responsabilità vincono sempre sulla irragionevolezza e sull’irresponsabilità” e che “il bene comune prevale sempre sugli egoismi interessati”. Frase eccellente e da inserire nella prossima ristampa del suo libro “L’amore vince sempre sull’invidia e sull’odio”, ma che davvero ci lascia piuttosto scettici. Dopo la vittoria il premier confermato è salito al Colle per riferire al Capo dello Stato sull’esito del dibattito parlamentare sul governo, e nel Pdl, sono molti in fibrillazione poiché ancora nulla emerge circa i colloqui fra premier e capo dello stato e nel partito circolano voci secondo le quali il premier potrebbe chiedere a ministri e sottosegretari di rimettere nelle sue mani il mandato, così da consentirgli quel “rafforzamento” della squadra di governo annunciato di recente. Si tratta al momento solo di voci, ma fossero confermate significherebbe che Berlusconi sta pensando ad un ricambio più ampio rispetto alle caselle lasciate libere dai finiani nell’ esecutivo. Un ricambio che potrebbe essere accompagnato dall’allargamento della maggioranza; altro obiettivo del Cavaliere. Ed oltre a ciò, restano aperti tutti i problemi della pre-fiducia. Oggi Bocchino, subito dopo il voto, ha detto: “Pajetta nel 1947 per protesta contro Scelba occupò la prefettura di Milano perché era stato rimosso il Prefetto. Togliatti lo chiamo e gli disse: mo’ che l’hai occupato che ci fai. E così noi diciamo a Berlusconi: e mo’ che hai preso la fiducia per due voti che ce fai?”: così il capogruppo di Futuro e libertà per l’Italia, Italo Bocchino, all’uscita del fallito voto di sfiducia al Governo Berlusconi. La posizione dei finiani, secondo Bocchino, ora è “facilissima”: “Siamo in attesa che governino con due voti di scarto”. Significative, in transatlantico, le parole di Calderoli che avverte: “Il governo mangia il panettone, ma penso che non mangerà la colomba, perché in mezzo ci saranno le elezioni”. Certo, è meglio vincere che perdere, ma ci sono vittorie e vittorie. Ed anche se la sinistra e fuori gioco e non è riuscita l’operazione “al centro”, oggi si è chiuso solo il primo tempo di una partita che però non si è conclusa. Se Berlusconi riuscirà ad allargare la maggioranza ai moderati, al fischio finale della partita, potrà continuare a governare, ma se non riuscirà a farlo, bisognerà andare al voto. E Roberto Maroni già si mette di traverso e dice che: “l’Udc ha votato contro il federalismo” e, pertanto, “la strada non è in discesa”, circa possibili suoi coinvolgimenti nel governo. ”Comunque -taglia corto il titolare del Viminale- l’unica cosa che non è possibile fare la fine del governo Prodi, appeso a uno o due voti di maggioranza. ”Questa era una sfida che non ammetteva il pareggio e ha vinto Berlusconi”, ha dichiarato invece il ministro della Giustizia, Angelino Alfano. ”Intendiamo continuare a governare, a seguire il programma della legislatura, vista l’autosufficienza dal punto di vista parlamentare che non è ampia ma è quella che oggi serviva per vincere”. Quanto all’apertura annunciata ieri dal premier ai moderati, il ministro dice: ”non ho un solo dubbio che ciò accadrà. Berlusconi ha annunciato che lo farà e, dopo la fiducia concessa, sarà coerente. Farà il lavoro che il capo di un partito e il capo di un governo può fare per dare una grande casa ai moderati, che sono dal 1948 la maggioranza degli italiani”. Ed intanto, fra strategie di sopravvivenza, non si prende alcuna decisione per il Paese, sempre più strangolato in una congiuntura di portata generale. Paolo Reboani, presidente e amministratore delegato di Italia Lavoro, agenzia tecnica del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, aprendo oggi a Roma la conferenza europea ‘Strategie di uscita dalla crisi e sistemi di governance: Quali sfide per le politiche del lavoro?, ha affermato: “noi sappiamo bene che abbiamo perso 500 mila posti di lavoro nel periodo della crisi, sappiamo che con un tasso di crescita così basso se non attiviamo strumenti, anche al margine efficienti, ci vorrà molto tempo per recuperare. Dobbiamo quindi dare politiche da un lato strutturali e da un altro anche marginali”. Ora, tutti concordano nel dire che, le politiche strutturali sono legate alla ripresa e ai processi di reindustrializzazione e di ricollocazione che hanno il compito di reinserire i lavoratori che oggi beneficiano di ammortizzatori sociali. Quelle al margine, invece, sono quelle per inserire i giovani nel mercato del lavoro, come ad esempio il contratto di apprendistato, il lavoro accessorio, nonchè forme di lavoro a chiamata. Come notano dal Sole 24 Ore nell’edizione di oggi, ciò che più di tutto il mercato teme, è l’instabilità e il ritorno a governi deboli che, proprio perché deboli, inizino a spendere e a mettere a rischio i conti pubblici. E quello uscito dal voto di oggi è certamente un governo più debole che in passato. Altri paesi hanno speso per rilanciare l’economia, il governo Berlusconi non lo ha fatto e l’Italia ha sofferto con il Pil che ha perso il 5% in un anno. Gli italiani hanno diversificato il loro portafoglio, hanno acquistato più Bund tedeschi, ma intanto gli stranieri hanno comprato più titoli italiani. Il debito si è europeizzato. Ma con i rendimenti adeguati i titoli di stato italiani possono tornare facilmente ad attrarre più risparmio sul mercato domestico. E questa è una risorsa, il risparmio, che Spagna, Stati Uniti e Inghilterra non hanno. Ma ciò che manca al nostro Paese è proprio un governo che prenda decisioni e stabilmente si adoperi per realizzarle. Per questo oggi a Roma, sono scesi in piazza, oltre agli studenti, il coordinamento Uniti contro la crisi, di cui fanno parte gli operai della Fiom, gli aquilani, gli esponenti dei centri sociali e i cittadini di Terzigno, che protestano contro il termovalorizzatore. E la polizia li ha caricati, ha caricato gli emigranti in cerca di dignità e garanzie, gli aquilani proiettati verso un futuro senza orizzonti, gli studenti senza più una scuola. Il bilancio finale è stato di 40 feriti che, certamente, saranno tuti chiamati provocatori. Ma l’Italia che non va ha anche altri volti. Mercoledì 15 dicembre nuovo stop nazionale di 24 ore per i dipendenti Tirrenia, dopo la decisione unitaria dei sindacati contro la richiesta di cassa integrazione per oltre 700 marittimi e i rischi della privatizzazione. Venerdì incroceranno le braccia i piloti e gli assistenti di volo dell’Alitalia: l’astensione per l’intera giornata è stata proclamata dalla Filt Cgil e dalle associazioni professionali Ipa ed Avia dopo “l’ennesimo intervento del ministro dei Trasporti che con la nuova ordinanza ha reso impossibile l’esercizio del legittimo e costituzionale diritto di sciopero”. E a questa Italia senza scuola e lavoro, prospettive e futuro, derubata di tutto, anche del proprio, che il goverbo deve rispondere e al più presto.
Carlo Di Stanislao
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