E’ stato definito “un classico della modernità” ed è certamente l’iniziatore di quel movimento poetico che va sotto il nome di “ermetismo”. Giuseppe Ungaretti esordisce ventenne con Il porto sepolto , che presenta il punto di vista di un soldato semplice di fanteria sul fronte del Carso. Nel 1919 esce Allegria di naufragi, che mette in evidenza la vitalità contraddittoria di Ungaretti che riesce spesso ad intrecciare gli estremi della condizione umana (felicità e dramma, vita e morte). “E subito riprende / il viaggio…” e nel 1933 esce il Sentimento del tempo in cui riaffronta i temi esistenziali della prima stagione creativa in un’ottica nuova, recuperando ciò che già è stato detto dagli autori della tradizione classica italiana, in particolare Petrarca e Leopardi. Tra le altre raccolte è da sottolineare Il dolore del 1947, dal tema biograficamente dominante per le sofferenze che hanno segnato l’esistenza di Ungaretti. La sua produzione poetica continua fino al 1960 con raccolte come, per citare le più famose, La terra promessa o Il taccuino del vecchio, anche se quest’ultima parte è segnata da frammentarietà e incompiutezza. Quello che più colpisce della sua opera è il sillabare messaggi vitali in versi brevissimi, l’essenzialità lirica e la purezza dell’espressione. É una “creatura” che pone interrogativi elementari,quelli senza tempo che non necessitano di filtri letterari ma di un approccio a sé. In poche ed essenziali parole nutre il lettore goccia a goccia con distici indimenticabili, lancia qua e là un grido che la tradizione letteraria italiana non conosceva. Ogni parola “scavata è nella mia vita / come un abisso”, nasce un nuovo modo di fare poesia che darà origine all’Ermetismo. Sul piano linguistico, Ungaretti si colloca nella tradizione di una lingua letteraria quasi astratta (diversa da quella comune), quasi esaspera le scelte che condurranno all’ermetismo di Quasimodo. “Giuseppe Ungaretti – Jean Lescure. Carteggio 1951-1966”, edito da Olschki, è un saggio di Rosario Gennaro sulle le lettere scambiate tra Ungaretti e il suo principale traduttore francese. I temi più ricorrenti sono: la traduzione di poesie ungarettiane, la corsa di Ungaretti al Nobel, i successi teatrali della Fedra di Jean Racine a cura del poeta italiano. Lescure traduce le poesie di Ungaretti confluite in Les cinq livres, volume edito a Parigi, delle Editions de Minuit, nel 1954. Il carteggio documenta i contatti con gli editori, le iniziative promozionali, l’interazione tra Ungaretti e Lescure nella stesura dei componimenti. Ungaretti aiuta Lescure a interpretare i testi italiani. Talora fornisce traduzioni preliminari che Lescure usa come base per successive elaborazioni, compiute d’intesa con l’autore. Le lettere sul Nobel illustrano gli appoggi alle candidature di Ungaretti e le sue valutazioni sulle scelte della giuria. Dalle missive relative alla Fedra emergono l’entusiasmo del poeta per il successo conseguito e il progetto, infine sfumato, di rappresentare l’opera a Parigi. In coda al volume si trova la traduzione ungarettiana, con testo francese a fronte, di un radiodramma di Jean Lescure, liberamente tratto da una novella di Matteo Bandello. Dal carteggio emerge chiaramente che, per Ungasretti, biografia e poesia sono strettamente legate, tanto che sono proprio le esperienze di vita a determinare alcune precise scelte di stile e contenuto assolutamente innovative per la poesia italiana. La prima, e fondamentale, è l’esperienza di soldato. Sepolto in trincea tra fango, pioggia, topi e compagni moribondi, il giovane poeta scopre una nuova dimensione della vita e della sofferenza che gli sembra imporre, per poter essere descritta, la ricerca di nuovi mezzi espressivi. Nasce così la raccolta Allegria di naufragi, nella quale il lavoro di scavo comincia, come si è visto, dalla parola. Dall’analisi delle proprie emozioni Ungaretti trae enunciazioni essenziali e fulminee che comportano la distruzione della metrica tradizionale: i versi vengono spezzati e ridotti talvolta a singole parole; queste ultime si stagliano isolate, o accostate tra loro con lo strumento dell’analogia, senza punteggiatura, intervallate da spazi bianchi che assumono a loro volta un preciso significato. Una poesia, dunque, che per dare il meglio di sè deve essere recitata, come magistralmente faceva l’autore stesso, o almeno pensata ad alta voce. Rosario Gennaro è docente di letteratura italiana all’Artesis University College di Anversa. Ha conseguito la laurea all’Università di Firenze e il dottorato di ricerca all’Università Cattolica di Lovanio. È stato borsista nella stessa università e al Collège de France. Ha insegnato l’italiano alla Vrije Universiteit Brussel e all’Institut Supérieur pour Traducteurs et Interprètes di Bruxelles. I suoi studi riguardano principalmente il Novecento, i rapporti tra letteratura e politica, la traduzione letteraria, gli scambi letterari internazionali. Questo suo ultimo saggio è una strenna raffinata e molto particolare.
Carlo Di Stanislao
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