Oggi da Napoli, la presidente dell’Assemblea del Pd Rosy Bindi, si è espressa favorevolmente sulla proposta del segretario Pierluigi Bersani di allearsi con il nascente Terzo Polo, senza rinunciare al rapporto con Italia dei valori e Sinistra e libertà. Secondo Presidente e Segretario del Pd, l’emergenza politica riguarda tutte le forze del centrosinistra e le forze del centro che si sono collocate all’opposizione, le forze sociali che vogliono chiudere i conti con il berlusconismo. Ma Nichi Vendola, da Venezia, impegnato in un incontro del suo partito, puntualizza che “non bisogna liberarsi da Berlusconi: bisogna liberarsi dal berlusconismo che è a destra, è al centro ed è anche a sinistra” ed aggiunge: “Vincere non significa guadagnare uno sgabello, una poltrona: significa voltar pagina nel paese della precarietà e della paura non credo solo che questo sia possibile, ma anche che sia necessario”.E poi chiarisce il suo aperto no alle “alchimie di Palazzo” ed aggiunge, per chi gli chiede come giudichi un’alleanza equipollente alla finiana, “i soggetti sociali che da troppo tempo attendono il cambiamento prima o poi prenderanno per il bavero questo centrosinistra così timoroso di dio e degli uomini e gli grideranno forte, molto forte, di non aver paura, di fidarsi del popolo della sinistra e di mettere in campo non un piccolo modesto programma per la sopravvivenza, ma un grande racconto di cambiamento”. “Non credo all’annessione nel terzo polo – specifica – penso che bisogna discutere con i centristi a partire dalla scomposizione di quei soggetti sociali a cui i moderati fanno riferimento”. Più esplicito ancora : “Il terzo polo supera la formula del centrosinistra, ho l’impressione che sia una semplice annessione nel terzo polo: io francamente non mi vorrei far annettere”. Il giorno dopo la fiducia a Berlusconi il “terzo polo” è nato fra non poche difficoltà e vari sospetti. Casini ostenta sicurezza e parla di “opposizione responsabile”, ma la cosa fa sbadigliare soltanto a sentirla. Berlusconi liquida il progetto come fallimentare e dice che Fini sparirà e, ancora, che in un anno, l’attuale Presidente del Parlamento, è passato da suo delfino a vice di Casini. Ci sono poi le possibili “sparizione” dell’area cattolica del Pd, in rotta verso il Pdl. Si parla di Beppe Fioroni, ma la più gettonata è Paola Binetti, la senatrice al cilicio ex Pd e confluita nell’Udc, la quale ha detto: “Berlusconi potrà contare su un appoggio maggiore di tre deputati se porterà in aula progetti di legge di qualità. In questo caso, noi li sosterremo”. C’è infine l’aperta difesa del mondo cattolico a Berlusconi e al Pdl. Secondo La Repubblica il “terzo polo”, composto da Fini Casini e Rutelli, sta cercando di anticipare i tempi, in vista di prossime elezioni. Un’operazione politica che ha subìto un’improvvisa accelerazione anche per mettere al riparo Fli e Udc dall’ennesimo tentativo di shopping nelle loro file da parte del Pdl. Il presidente del consiglio, infatti, intende provare ad andare avanti nonostante la maggioranza esigua a Montecitorio. Ha bocciato il “Polo della Nazione” prevedendo una veloce “scomparsa” di Fini dal panorama politico. Soprattutto ha spiegato in modo molto schietto che in questa fase lavorerà per guadagnare alla causa del centrodestra altri “indecisi”. Vuole far smottare Futuro e Libertà, strappare ai centristi altri parlamentari e tentare perfino gli ex popolari del Pd. Per molti, anche non di destra e non berlusconiani, più che di terzo polo si dovrebbe parlare di ammucchiata al centro, senza un programma comune né un comune leader. E poiché la sinistra brancola ancora nel buio di un generico antiberlusconismo ed è divisa sempre e comunque, il Cav resta accreditato, davvero, della possibilità di governare fino a fine mandato. Condivido l’analisi di Leonardo Mazei che, dice, che dietro alle schermaglie spesso insensate, il conflitto in atto è il più classico degli scontri di potere. Dietro alla contesa per il governo del Paese non ci sono tanto i partiti, con i loro blocchi elettorali, quanto i principali centri del potere economico. In palio non c’è solo Palazzo Chigi, in ballo c’è la gestione della crisi nel momento in cui si farà prevedibilmente più dura. Perché se tutti condividono l’ideologia mercatista, se destra e centrosinistra sono parimenti d’accordo nell’applicare le ricette dell’UE, se dunque la linea dell’intero arco politico istituzionale è quella di scaricare la crisi sulle classi popolari, altri interessi – interni al blocco dominante – non coincidono affatto. Ma questi ultimi non si palesano mai chiaramente, tanto meno oggi, dando luogo così ad una situazione oltremodo confusa, in cui lo scontro di interessi attraversa trasversalmente gli schieramenti e tutte le principali formazioni politiche. Il quadro è dunque quello di un micidiale scontro di potere interno al blocco dominante. E’ in questo contesto che vanno analizzati gli specifici obiettivi delle principali forze politiche. Gli attori politici (siano essi partiti, “poli”, singoli o lobby) hanno i loro referenti sociali, ancora più spesso hanno dei veri e propri committenti, ma – non dimentichiamolo – possiedono anche una loro relativa autonomia. Sono anch’essi dei poteri in gioco. Analizzarli sotto questo particolare profilo è dunque senz’altro utile. L’iniziativa portata avanti da Fini nell’ultimo anno non avrebbe alcun senso se non nella prospettiva immediata di logorare Berlusconi. L’obiettivo di medio periodo è invece quello di lavorare alla costruzione di una cosiddetta “destra europea”, di un “terzo polo” da far nascere con i vari Casini, Rutelli, Fini e Montezemolo. E’ noto come questo progetto con molti generali, tanti sergenti e poca truppa, abbia avuto una chiara benedizione confindustriale, non disgiunta da un certo sostegno “atlantico”. Per capire il ruolo dell’Udc, o degli apisti rutelliani, non c’è molto da aggiungere a quanto scritto per i finiani. Va capito però che il disegno di costoro potrà realizzarsi solo con una nuova legge elettorale. Anche qui non è il caso di inoltrarsi nei vari possibili meccanismi elettorali, l’importante è sapere che all’ingrosso gli può andar bene sia il modello tedesco che quello francese, e perfino il Mattarellum. Un simile “Terzo Polo” non può invece nascere con la legge attuale perché, benché sostanzialmente proporzionale, prevede un premio di maggioranza senza soglia minima. I terzopolisti, per essere veramente tali, necessitano dunque di un’apposita legge elettorale, poi di un programma e di un ledaer, tre passaggi davvero non semplici e, ora, non a portata di mano. Quanto al Pd, Bersani deve muoversi con cautela. Ha molti nemici interni – Veltroni in primo luogo -, ma soprattutto ha la necessità di non esporre i propri futuri alleati ad un impallinamento prematuro e, soprattutto, deve uscire, una volta per tutte, da una situazione di cronica afasia. Il desiderio di cacciare una buona volta e per sempre Silvio Berlusconi è pienamente condivisibile ma dire che questo vogliono la più parte degli italiani è prematura e ancor più prematura che quella parte si riconosca nelle ammicchiate di entro, nell’Idv e nella super sfilacciata sinistra. Rabbrividente è il vuoto di contenuti (stando alle prime dichiarazioni, del “terzo polo”) e, ancor di più, l’ammucchiata nel neoproposto “Ulivo” (con tanto di redivivo Prodi), che vorrebbe convincere cosiddetto “popolo di sinistra” a consegnarsi ancora una volta mani e piedi ai banchieri ed ai tecnocrati europei. Ma, torniamo al Terzo Polo, espressione (in teoria) del tanto vagheggiato ed inseguito “grande centro”. Per il modo in cui si è formato, il Polo della Nazione tra Pier Ferdinando Casini, Gianfranco Fini e altri viene osservato come un contenitore ambiguo. Il centrodestra lo bolla come una formazione contraddittoria, nella quale l’identità cristiana dell’Udc fa fatica a conciliarsi col laicismo del Fli; e soprattutto è esposto alle incursioni berlusconiane. Scrive oggi nella sua Nota Massimo Franco sul Corriere, l’idea di riunire “tutti i moderati in un unico movimento”, è una parola d’ordine non nuova e finora frustrata. Potrebbe funzionare solo se la legislatura supererà le colonne d’Ercole di gennaio. Sarà quello il mese decisivo. Da quanto succederà nelle prime tre settimane del 2011 dipenderanno le elezioni anticipate, le dimissioni di Fini da presidente della Camera e le alleanze del Pd. Insomma, il voto di fiducia ottenuto da Berlusconi non ha stabilizzato la situazione. Ha solo certificato che non sarà possibile creare governi diversi dall’attuale: a meno che lo stesso premier e la Lega non li avallino. E mentre da Avellino Il segretario del Pd lancia l’idea di un ‘Patto costituente’, per certi versi simile a quello del 1948, che abbia al centro sia i temi istituzionali che quelli economico-sociali, un patto proposto a tutte le opposizioni, compreso il Terzo Polo, e a tutte le forze sociali e Casini e Fini per ora non si dicono interessati, da Bruxelles, ove partecipa alla seconda giornata del vertice europeo, Berlusconi, rispondendo ai giornalisti, molto soddisfatto in viso può spiegare che “c’è una maggioranza di Governo inopinatamente ridotta, l’Udc aveva una grande occasione per dare un sostegno alla maggioranza, sia per senso di responsabilità che per amore del paese. Hanno ritenuto che questo per loro non fosse positivo e io rispetto la loro decisione. Nessun discorso è chiuso, dentro di me ho la convinzione di portare a termine questa legislatura. Sono sicuro di avere i numeri, l’ultimo sondaggio di Euromedia mi dà al 54,6%, sono il leader europeo che ha il maggiore apprezzamento dei propri cittadini, che non potranno far altro che apprezzare il lavoro fatto”. Inoltre, su La Stampa, Luca Ricolfi tira anche fuori un handicap ulteriore per la nuova coalizione antiberlusconi: proprio Finie la sua attuale credibilità. Il suo punzecchiamento nei confronti di Berlusconi è iniziato poco dopo lo scioglimento di An nel Pdl. I motivi del suo passaggio all’opposizione sono stati troppo evidentemente strumentali, tardivi, e difficili da conciliare con le sue scelte passate, sempre largamente in sintonia con quelle di Berlusconi. Una certa mancanza di pudore, o di buon gusto, gli ha impedito di arrossire al momento di denunciare cose da lui stesso ampiamente approvate (l’orribile legge elettorale) o giustificate (le leggi ad personam). Soprattutto, nessuno ha capito perché il suo nuovo partito, dopo avere dato la fiducia a Berlusconi sui famosi cinque punti (29 settembre), anziché spiegare in che cosa il governo li stesse tradendo, ed eventualmente aprire una battaglia sui contenuti, abbia preferito ingaggiare un confronto di principio, tutto interno al codice della politica, e come tale intraducibile nel linguaggio della gente comune: ci vuole una “discontinuità”, non ci fidiamo di Berlusconi ma siamo «disponibili a un Berlusconi-bis”, si deve “aprire una nuova fase”, ci vuole “un governo che governi” (paradossale detto da chi lo paralizza da mesi). Insomma, secondo l’editorialista de La Stampa, il modo in cui i temi cari al Terzo Polo sono stati portati nel dibattito politico da Fini e dal suo partito rischiano di bruciarli. Il problema di Fini (ed anche Casini), non da oggi, non è solo (e forse nemmeno prevalentemente) il legittimo desiderio di succedere a Berlusconi, ma è il tipo di centro-destra che Bossi e Berlusconi hanno costruito intorno a sé stessi. Un centro-destra cui, non senza motivo, vengono rimproverati il populismo, lo scarso rispetto per le istituzioni, l’ostilità verso gli immigrati, la disattenzione per il Mezzogiorno, e infine di aver tradito la promessa di una “rivoluzione liberale”. Tutti temi ottimi ma che su certe labbra e con certi passati potrebbero apparire poco credibili.
Carlo Di Stanislao
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