I fatti sembrano dare ragione ad Asimov ed ora l’uomo ha costruito il primo robot con una sua memoria personale. Il nuovo prodigio della ricerca robotica e’ infatti la versione aggiornata dell’umanoide da compagnia ‘Palro’, lanciato a febbraio dall’azienda Fujisoft di Tokyo, uno dei pochi esempi di androide non relegato allo stato di prototipo, ma disponibile gia’ sul mercato, al prezzo di circa 2.700 euro. Questa nuova versione non solo cammina, vede e parla, ma è dotata di anche una memoria personale, che si sviluppa gradatamente nel corso del tempo. Il termine Intelligenza Artificiale (IA) venne proposto nel 1956 da John McCarthy, in occasione di uno storico incontro organizzato presso il Darthmouth College (New Hampshire), al quale parteciparono, tra gli altri, Marvin Minsky, Claude Shannon, Herbert Simon e Allen Newell.
Nel corso di questo incontro non vennero raggiunti risultati di particolare rilievo, ma si gettarono le basi che guidarono la ricerca per almeno una ventina di anni. L’Intelligenza Artificiale si propone di indagare i meccanismi che sono alla base della cognizione umana, in primo luogo il ragionamento logico-matematico, la capacità di risolvere problemi e la comprensione del linguaggio naturale, con il fine dichiarato di riprodurli per mezzo di elaboratori elettronici. I sostenitori della tesi forte dell’intelligenza artificiale sono convinti che il pensiero sia interamente riconducibile a un processo di manipolazione di simboli che si attua utilizzando un gran numero di algoritmi. Pensare, in tale prospettiva equivale a calcolare, da cui deriva che la mente è equivalente al programma di un calcolatore. Per i sostenitori della versione debole dell’intelligenza artificiale, pensare non è sinonimo di calcolare, poiché le capacità del pensiero non si limitano a quelle logico-matematiche. Il calcolatore non è visto come l’analogo di un cervello biologico, ma come uno strumento che può essere di grande aiuto nella comprensione dei processi cognitivi. La storia di Robbie, giocattolo elettronico intelligente e baby sitter della bambina Gloria, allontanato dalla famiglia, preoccupata dall’attaccamento di quest’ultima al robot, poi salvata da Robbie stesso in un drammatico episodio, quindi reintegrato senza se e senza ma nel focolare domestico. Sullo sfondo, un mondo futuro pieno di robot. Tutto questo, com’è noto, in “io, Robot”, di Isaac Asimov che, stanco di tale pessimismo oscurantista del primo dopoguerra, capovolge il ritornello ed insinua l’ipotesi non solo di futuri robot intelligenti, ma persino capaci di sentire emozioni. L’intuizione di Asimov, dopo 70 anni, tutt’oggi è come un’opera aperta in progress, suscettibile di ulteriori sorprese previsionali alla luce del divenire scientifico. Proprio la cosiddetta fantascienza tecnologica di Asimov (e altri) conferma sempre più la fantascienza non solo come poetica scientifica, nel Regno dell’Immaginario, ma anche, come (sottolineato da molti futurologi) previsionale tout court. Nel 2001 Spielberg portò con il film “AI”, l’idea di Asimov al cinema, con un film discontinuo, ma con momenti davvero molto intensi. Con soggetto non direttamente ispirato a Asimov, bensì tratto da un racconto di Brian Aldiss e un occhio alla Kubrick, Spielberg ripercorre tutto il suo cinema e apre cento nuove porte, ma senza trovare la forza di guardare cosa c’è dietro, realizzando a metà una favola filosofica, un film dell’orrore, una cyber-rivisitazione di Pinocchio e una profezia amara e grandiosa circa il divenire-macchine del genere umano. Ppettacolare e intimo come ‘Incontri ravvicinati’, ma meno scheggiato di ‘Blade Runner’ e ‘Arancia Meccanica’, cerca di entrare nel cuore di un tema cruciale percepito dall’odierna sensibilità (fanta)scientifica, ma si rivela solo picaresco e visivamente appagante, con un finale film afflitto da un eccesso di senso piuttosto fuorviante rispetto alla premessa. Tornando a Parlo, il prossimo traguardo degli scienziati sarà quello di programmarne il linguaggio in Cinglish, il linguaggio nato dalla fusione del Cinese e dell’Inglese Mandarino, che fonde logogrammi e caratteri alfabetici e che, secondo molti, sarà la lingua internazionale del futuro. Di sicuro, già da oggi, il Globish, il Cinglish e lo Spanglish – e tutte le forme ibride derivate dall’inglese e accreditate di successi universali – dovranno fare i conti con un nuovo concorrente: il robotese. Nei laboratori olandesi della Eindhoven University of Technology un gruppo di ricercatori ha coniato il “Roila” (Robot interaction language), un linguaggio per mettere in comunicazione uomo e macchine. Il nuovo verbo robotico mescola africano, tedesco e inglese, ha una grammatica semplice e senza irregolarità, include sostantivi, verbi, aggettivi e quattro pronomi (io, tu, lui, lei) e possiede un vocabolario di dimensioni contenute (850 le parole base). Con la terza versione di Parlo si arriverà ancora più avanti. Per ora il il piccolo umanoide, può identificare un volto e tenere traccia di esso, può identificare anche il corpo di una persona a distanza, anche in una stanza affollata. Può parlare e sviluppare una suo memoria e, chissà, in futuro, sarà lui a darci nuovo linguaggi e regole morali.
Carlo Di Stanislao
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