L’Italia è “un territorio fragile: le aree ad elevata criticità idrogeologica rappresentano il 10% della superficie italiana e riguardano l’89% dei Comuni. Sono circa 6 milioni gli italiani che abitano nei 29.500 chilometri quadrati del nostro territorio considerati ad “elevato rischio idrogeologico”. E’ quanto evidenziato dal primo ‘Rapporto sullo stato del territorio italiano’ del Consiglio nazionale dei Geologi (Cng) in collaborazione con il Cresme; di grande attualità alla luce dell’emergenza-maltempo in corso soprattutto nella provincia della Spezia. Al seminario della Difesa del Suolo organizzato a Torino da Italia Nostra il 30 novembre 1996, Floriano Villa, allora Presidente Nazionale, diceva: “ In un Paese fornito dalla natura, oltre a doti geografiche e paesaggistiche uniche al mondo, di una struttura geologica e geomorfologica particolarmente delicata, appare veramente incredibile che non si sia sentita la necessità di seguire la strada tracciata con mirabile intuito da Quintino Sella nel 1873 quando istituì il Servizio Geologico d’Italia. Sono passati quasi venti anni e questa impostazione del problema è sempre attuale. I miglioramenti della situazione sono stati limitati, alcuni interventi legislativi hanno portato sicuramente ad una maggiore conoscenza delle problematiche dovute ai rischi idrogeologici, come la legge 183 che ha dettato norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo e le varie normative relative alle costruzioni in zone sismiche. Italia Nostra ha costituito un gruppo di lavoro per tener conto degli aspetti indicati, realizzando un’attenta e dettagliata analisi di quanto è stato fatto e di quanto deve essere impostato per migliorare la sicurezza del suolo, non solo di fronte alle cosiddette catastrofi naturali, ma anche e soprattutto per raggiungere la pratica della prevenzione. Gli strumenti necessari per un buon uso del suolo sono da individuare nel mantenimento e nel rafforzamento delle Autorità di Bacino, nel controllo geomorfologico del territorio e dell’uso del suolo e nella corretta definizione delle fasce di pertinenza fluviale e delle aree soggette a frana. In occasione delle frane che sono avvenute nel Messinese l’anno scorso era stato verificato che 5600 comuni erano a rischio idrogeologico, di cui 1700 a rischio frana e 1300 a rischio di alluvioni e 2600 a rischio sia di frana che di alluvione. Le cause, oltre che naturali, sono dovute all’abusivismo, al disboscamento, agli incendi e infine all’urbanizzazione selvaggia e senza regole. Ad un anno di distanza altre frane, altre alluvioni, altre distruzioni, altre vittime. In queste ore Tellaro è ancora isolata, i rifornimenti continuano ad arrivare via mare. Sommozzatori e vigili del fuoco in azione per ispezionare corsi d’acqua sotterranei a rischio esondazione nel territorio delle Cinque Terre. E, in Toscana, ancora bloccato il tratto stradale Autopalio tra Firenze e Siena e la strada Faentin, a a causa dei movimenti franosi che si sono verificati negli ultimi giorni, mentre continuano sfollamenti e difficoltà per decine di famiglie nel Trevigiano, con particolare allarme a Cison, dove la frazione Mura, cassa di espansione del lago di Revine, rischia di finire sott’acqua. In Emilia Romagna, infine, chiusa nuovamente al transito, con ordinanza del sindaco di Villa Minozzo, la pista Gatta-Pianello, per nuovo rischio di esondazione delle acque del fiume Secchia. Sul fronte dei costi, il rapporto del Consiglio nazionale dei geologi con Cresme, ha stimato un valore dei danni causati da eventi franosi ed alluvionali dal dopoguerra ad oggi attorno ai 52 miliardi di euro. In generale riparare i danni costa in media 10 volte in più che prevenirli. E, precisa la recente indagine di Legambiente e della Protezione Civile, nell’ultimo anno sono stati stanziati 650 milioni per fronteggiare le più gravi emergenze idrogeologiche.
Carlo Di Stanislao
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