Cominceranno oggi nei laboratori del Ris di Roma gli esami sui resti dei due pacchi bomba esplosi il 23 dicembre nelle sedi delle ambasciate di Svizzera e Cile a Roma e rivendicati dalla Federazione anarchica informale. Una rivendicazione, sostengono gli investigatori, “attendibile”, che ha fornito “riscontri obiettivi” all’ipotesi che dietro le bombe vi siano quei gruppi che negli ultimi dieci anni, con diverse sigle, hanno firmato decine di attentati in Italia. In attesa degli esiti degli accertamenti tecnici sulla composizione e sul confezionamento degli ordigni, che consentirà di verificare un’eventuale relazione tra il duplice attentato e le azioni compiute in passato e rivendicate dalla Fai, gli inquirenti continuano a lavorare per cercare di circoscrivere il contesto in cui sono maturati gli attentati. E sempre oggi un pacco sospetto e’ stato trovato davanti all’ambasciata greca a Roma, in via Gioacchino Rossini, mentre segnalazioni di plichi sospetti sono giunte dalle ambasciate di Venezuela, Marocco, Kuwait, Principato di Monaco, Svezia e Danimarca. E’ probabile, ci dicono le varie agenzie giornalistiche, che scatteranno presto una serie di perquisizioni e controlli in quegli ambienti anarchici radicali conosciuti dagli investigatori, in particolare in Toscana, Lazio e Piemonte. Contestualmente all’attività investigativa pura e in vista della ripresa delle spedizioni dopo la pausa di Natale, si sta inoltre procedendo ad una serie di controlli nei centri di smistamento postali, visto che non si esclude del tutto che vi siano in circolazione altri pacchi. La Repubblica informa che si sarà un unico procedimento penale per tutti i ‘fatti-reato’ legati alla consegna di plichi esplosivi presso le diverse ambasciate straniere di Roma. Un solo fascicolo in cui il procuratore aggiunto Pietro Saviotti, coordinatore del pool di magistrati dell’antiterrorismo, ipotizza il reato di attentato con finalità di terrorismo. Gli inquirenti ritengono che l’invio di questi pacchi bomba abbia un’unica regia, quella del Fai, la Federazione Anarchica Informale, che ha rivendicato il ritrovamento dei primi ordigni, avvenuto il 23 dicembre scorso. Gli inquirenti, infatti, ritengono che l’invio di questi pacchi bomba abbia un’unica regia, quella del Fai, la Federazione Anarchica Informale. In procura erano praticamente certi che altri pacchi-bomba sarebbero stati consegnati nei giorni successivi al 23: “Ce ne saranno in giro altri ancora – spiegavano a piazzale Clodio prima di Natale -, tutto dipende dal servizio postale che riprende a regime dopo le feste e dai suoi tempi di consegna”. Per questo da diversi giorni le sedi di numerose ambasciate a Roma sono sotto stretto controllo. Già il 23 pomeriggio, mentre il Ministro Frattini allarmava tutte le ambasciate italiane nel mondo, il ministro dell’Interno Roberto Maroni aveva parlato di una possibile matrice anarco-insurrezionalista degli attentati, dopo avere ricordato dei precedenti analoghi in Grecia. “Grecia, Italia e Spagna vedono la presenza di gruppi anarco-insurrezionalisti strettamente legati fa loro… sono molto violenti”, ha precisato il ministro, aggiungendo che gli investigatori “collaborano con la Grecia”. Intanto continua l’emergenza senza fine, né soluzione, dell’immondizia di Napoli, con le strade del Capoluogo invase ancora da oltre 1.500 tonnellate di spazzatura. Il Comune ha chiesto ai cittadini di attendere qualche giorno prima di gettare gli imballaggi dei regali natalizi e nei giorni scorsi sono state mobilitate unità del genio militare per contribuire alla raccolta. Le unità hanno rimosso cumuli di immondizia da viale Maddalena, vicino all’aeroporto di Capodichino; via Don Bosco, vicino al cimitero; a Corso San Giovanni a Teduccio, quartiere popolare situato alla periferia orientale. L’esercito continua il suo lavoro nel tentativo di ripulire Napoli e provincia. Il Comune punta ad operare un prelievo straordinario di 300 tonnellate per poter arrivare a Capodanno con la città pulita o, almeno, quasi. Scrivono invece sia Il Mattino che La Repubblica, che, di questo passo, è facile prevedere che Capodanno sarà più sporco di Natale. E, come se non bastasse, da Roma arriva un’altra pessima notizia: Napoli, subito dopo L’Aquila, è la città più colpita dalla stangata prevista dal federalismo fiscale. I napoletani subiranno un taglio complessivo del 61 per cento che annulla i benefici derivanti dai trasferimenti per abitante che sono più alti della media. Lo Stato da un lato concede e dall’altro prende a piene mani: è il federalismo di Bossi e Tremonti. Inoltre, a Chiaiano, nella notte, gruppi di persone che protestano da tempo contro l’arrivo di rifiuti da Napoli nella locale discarica, hanno bucato gli pneumatici di 9 autocompattatori, danneggiando anche i parabrezza di altre tre veicoli, per impedirgli di scaricare. Alla fine, l’intervento delle forze dell’ordine ha consentito il passaggio dei mezzi. Il raid si è consumato pochi minuti dopo la mezzanotte in via Santa Maria a Cubito ad opera di un gruppo di giovani con il volto coperto da sciarpe e cappellini. Poco prima, in via Cupa del Cane, strada di accesso al sito dell’ex cava del Poligono, circa 150 manifestanti avevano bloccato il transito degli autocompattatori carichi di immondizia da sversare e raccolta nelle strade del capoluogo campano. Dopo l’atto di teppismo, gli autori del gesto si sono dispersi mentre soltanto cinque dei nove camion sono riusciti a conferire nella discarica. I fatti ci dicono che, di là dalle evidenti e multiple responsabilità locali e del governo, sia In città, che in provincia l’immondizia continua ad ammassarsi, mentre si prova ad accelerare l’intesa con la Spagna per trasportare entro i primi mesi dell’anno trentamila tonnellate di frazione umida dallo stir di Caivano al porto di Cadice. In Provincia si è svolta, poco prima di Natale, una riunione a cui hanno partecipato l’Autorità portuale, la società che gestisce lo Stir di Caivano e il termovalorizzatore di Acerra (la Partenope ambiente del gruppo A2A di Brescia), gli agenti marittimi e i principali operatori e concessionari del porto di Napoli: Conateco, Soteco, terminal Flavio Gioia, Magazzini Generali Silos e Frigoriferi, Merismar, Logistica Portuale, Marinter, Pappalardo & Co. È stato deciso che il trasferimento dei rifiuti dall’impianto di Caivano al porto di Napoli avverrà in orari notturni per non interferire con i traffici portuali. I rifiuti, già tritovagliati, saranno collocati in sacchi impermeabili da caricare direttamente e senza sosta nelle stive delle navi. Nella stessa giornata è stato dato il benservito ad Antonio Bonomo, amministratore delegato di “Partenope ambiente”, società di A2A che gestisce Acerra e lo stir di Caivano. “La Regione Campania potrebbe smaltire un milione di tonnellate al giorno – interviene duro l’ad di Asìa, Daniele Fortini – Ma il capoluogo viene lasciato con l’immondizia in strada a Natale. Non parliamo di emergenza. Questa è una scelta politica”. E, naturalmente, fallito il “miracolo di Natale” promesso da Berlusconi, ricomincia il rimpallo di responsabilità fra comune e Regione. L’assessore all’Igiene Urbana del Comune, Paolo Giacomelli, e chiede “di conferire i rifiuti negli impianti sia della provincia che in altre province”; mentre l’assessore regionale all’Ambiente Giovanni Romano, replica: “Se la situazione è critica la responsabilità è solo di chi gestisce il Comune e la sua Società”. Così, mentre ciascuno scarica sull’altro, vengono in mente i 12 racconti di “Gesù fate luce” di Domenico Rea, scritti 60 anni fa, che ci parlano di una Napoli fatta di una umanità di un’umanità dolente e affaticata, con la divina indifferenza di chi quell’umanità dovrebbe aiutare e tutelare. “Napoli è proprietà privata di appaltatori, esportatori e armatori, Lauro ha insegnato, ma oggi gli allievi hanno superato il maestro.” Con queste parole del suo secondo romanzo (“Ferito a morte”, del 1961) Raffaele La Capria prefigura la sua successiva collaborazione alla sceneggiatura del memorabile film di denuncia Le mani sulla città (1963), diretto dal suo amico Francesco Rosi. Rosi come La Capria e tanti altri intellettuali (Patroni Griffi, Ghirelli), lasceranno Napoli da giovani, proprio come Massimo De Luca, il protagonista di Ferito a morte. Nelle pagine di questo romanzo è forse scritto il destino di una generazione cosciente che la storia del mondo non passa per Napoli ma che “scorreva altrove, dove si poteva vedere ogni luce di speranza e d’intelligenza che spunta sulla faccia della terra, quelle luci che da Napoli si vedono così male”. La Capria demistifica, in Ferito a morte, la napoletanità, la stessa napoletanità che frantumerà, in seguito, definitivamente, nel bellissimo libro L’armonia perduta. E’ proprio nel profondo dell’inconscio collettivo della città che La Capria conduce il suo affondo, demistificando la psicologia del napoletano in attesa del miracolo capace di mutare la sua situazione, sempre in bilico nell’antitesi perenne di miseria e commedia, di vita e teatro, nell’invenzione di una leggenda che nutre con la propria vita e che lo assolve da ogni condanna. Un miracolo che non viene da fuori, ma dovrebbe maturare dal di dentro, dalla capacità di trovare, nel suo interno, una classe dirigente capace, onesta ed operosa, che sappia comprendere i problemi e volgerli in soluzioni. Non basta dirsi delusi dalla politica o provare disgusto per la politica tutta, perché, come già nel 2007 scriveva in una lettera indirizzata a Berlusconi a l’Occidentale Riccardo Zucconi, bisogna invece esigere una politica migliore e manifestare una grande voglia di riconciliarsi con l’impegno pubblico e civile. Bisogna infatti ricordare che il nostro (non solo a L’Aquila o a Napoli), è un paese affaticato , deluso dalla politica, che di fronte allo smarrimento del centrosinistra e dei partiti minori , preferisce quelli che puntano sull’anti-politica, il che fa gioco proprio alla Lega e Berlusconi. Secondo Fare Futuro web magazine, alla base dei “malumori” di Fini, diventati manifestazione di insanabile inimicizia e vocazione terzista, con il passare del tempo, c’è soprattutto la presa di coscienza che il Pdl di oggi non è quel partito moderno, europeo, ambizioso, in grado di rappresentare l’elettorato moderato di tutto il Paese. Un partito che ha una leadership indiscussa, ma che sembra deficitario sotto tutti gli altri punti di vista, da quello organizzativo a quello programmatico, da quello della rappresentanza territoriale a quello della formazione del consenso. Ed anche se sono in molti, dopo i fatti e Ri-fatti recenti, sono in molti a non fidarsi del Fli e del suo leader, resta un merito quello di aver costretto tutti a chiedersi cosa sia e dove vada il Pdl e quale sia l’idea di Italia del primo partito nazionale. A oggi questa idea sembra alquanto vaga. E in questa vaghezza generale, il partner minoritario di coalizione (la Lega appunto) diventa sempre più maggioritario, invasivo, protervo e pertinace. Dunque, le questioni poste sul tavolo da Fini sono diverse, ma rimandano essenzialmente alla “forma” e alla “sostanza” del Pdl. Cos’è e cosa vuole essere il Popolo della libertà? Qual è la sua forma-partito? E soprattutto qual è l’Italia che ha in mente? C’è ancora spazio per una politica per il Mezzogiorno, per la questione giovanile e generazionale, per un’idea dell’immigrazione e della cittadinanza moderna e coraggiosa, per un senso dello Stato e di appartenenza nazionale che continuano a essere drammaticamente deficitari, per una classe politica in grado di guardare oltre l’“eterno presente” che azzera la capacità strategica e di visione del futuro, dilatando gli spazi per gli atteggiamenti di volta in volta tattici, populistici, clientelari o antipolitici? È lecito che all’interno del primo partito nazionale si pongano queste domande senza per questo essere etichettati come cospiratori o traditori? Su questo e sulle responsabilità, nei singoli problemi, dei politici locali occorre riflettere, senza tentazioni né di reflusso antipolitico, né di incapacità di giudizio individuale. E’ innegabile, ad esempio, che nell’attuale crisi politica e sociale, il Sud dell’Italia come nel Belgio, rischia di essere “tagliato fuori” dalla ridistribuzione delle risorse e ridotto ad un “collettore di voti per disegni politici ed economici estranei al suo sviluppo, così come innegabili sono, ritardi ed errori “locali” nella gestione del dopo terremoto a L’Aquila e della spazzatura a Napoli.
Carlo Di Stanislao
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