Sudan in secessione

Secondo ed ultimo giorno del referendum per  la secessione del Sud in Sudan, che per essere valido dovrà registrare una affluenza di almeno il  60% dei 3,7 milioni di votanti registratisi al Sud e dei 117.000 del Nord. Il referendum fa parte dell’accordo di pace firmato nel 2005 per mettere fine alla guerra tra il […]

Secondo ed ultimo giorno del referendum per  la secessione del Sud in Sudan, che per essere valido dovrà registrare una affluenza di almeno il  60% dei 3,7 milioni di votanti registratisi al Sud e dei 117.000 del Nord. Il referendum fa parte dell’accordo di pace firmato nel 2005 per mettere fine alla guerra tra il nord musulmano e il sud a maggioranza cristiana e il presidente sudanese Omar al-Bashir ha annunciato che rispettera’ l’esito del voto, ma ha anche avvertito che l’indipendenza del Sud potrà causare instabilità nel maggior Paese africano.  Sia ieri che stamani, lunghe file di elettori si sono formate fuori dai seggi elettorali a Juba, futura capitale del Sud separato,  nonostante una vigilia di voto insanguinata da scontri al confine tra nord e sud, durante i quali almeno 8 persone sono morte. Secondo quanto riferito da un funzionario locale, nel primo giorno del referendum, cioè ieri, nella regione petrolifera di Abyei, contesa tra Nord e Sud, sarebbero morte almeno 8 persone, trucidate da miliziani inviate, pare, da gruppi antisecessionisti. Il presidente Obama ha accolto con favore la grande affluenza del primo giorno esortando a non servirsi della violenza per scoraggiare gli elettori dal voto.  La star musicale sudanese Mohammed Wardi ha invece detto che soffrirebbe per la divisione del suo paese. ”Ho cantato l’unita’ del Sudan per 54 anni e se anche il sud dovesse scegliere l’indipendenza, spero che un giorno si possa tornare insieme”, ha detto Wardi all’AFP. L’artista del nord nubiano, che fu imprigionato negli anni Settanta, non ha mai fatto mistero della sua militanza comunista. ”Se dovessi scrivere canzoni oggi, canterei che l’Islam politico non può risolvere i problemi del Sudan’. Anche George Clooney, a sorpresa, è volata ieri per sostenere il referendum. Tutti sono convinti che l’esito sarà positivo, ma è altrettanto certo che la nuova realtà indipendente è tutta da costruire. A Jada e nel resto del Sud, le strade sono piene di spazzatura e di carcasse di macchine, le fogne sono a cielo aperto, in giro c’è un gran via vai di container di petrolio. Gli unici edifici stabili sono le chiese, le scuole e un paio di ospedali, tirati su con grande fatica dalle missioni e dagli organismi operanti nell’area. E’ ancora tutto da costruire e tutti sperano che questa secessione porti ad una nuova nascita. Il Sudan, il cui nome viene dall’arabo Bilād al-Sūdān, che vuol dire “Paese dei Neri”, poiché gli arabi così chiamavano i territori confinanti col Sahara meridionale, le cui popolazioni erano appunto di colore; è oggi, i termini di superficie, il più grande stato del continente africano, organizzato come repubblica presidenziale, retta però da una giunta militare. Il Sudan è in larga parte pianeggiante e si può suddividere in tre zone geografiche, quella settentrionale desertica, la zona centrale tropicale corrispondente all’area della capitale Khartoum ed infine le foreste equatoriali meridionali; il settore agricolo coinvolge tuttora il 60% della forza lavoro. Il 7 gennaio scorso, è trapelata, tramite le agenzie internazionali, la notizia secondo cui il governo di Hosni Mubarak sarebbe infuriato nei confronti di Gerusalemme, rea di infiltrare suoi agenti egiziani e di avere attivato una vera alleanza con russi e sud-sudanesi. Secondo Murabak russi e israeliani starebbero armando il sud Sudan con elicotteri da combattimento e altre armi, in previsione di un attacco dopo la consultazione referendaria, che certamente porterà ad infuocate tensioni nella gestione dell’oro blu (il Nilo) e dell’oro nero (gli idrocarburi del sud). A seguito della firma del Comprehensive Peace Agreement fra il Governo di Khartoum e il movimento dell’SPLM (9 gennaio 2005), nonché della conclusione dell’Eastern Sudan Peace Agreement fra il Governo di Khartoum ed i ribelli dell’Eastern Front, è stato progressivamente eliminato lo stato di emergenza in diverse zone del Paese, che permane solo nel Darfur, a causa del perdurare della situazione di crisi. Il banditismo contraddistingue tutto il territorio del Darfur (nord, sud, ovest Darfur) e non risparmia neanche gli operatori umanitari. Si segnala che nel corso del 2009 si sono inoltre verificati alcuni casi di sequestro di persona, tutti già risolti positivamente, salvo il caso di un operatore umanitario della Croce Rossa Internazionale, di nazionalità francese; il rischio rimane comunque elevato. Rimane inoltre precaria la situazione sicurezza in alcune aree del sud del Paese, in particolare Jonglei, teatro dall’inizio del 2009 di numerosi e violenti scontri tribali, e il Western Equatoria, dove sono ancora attivi guerriglieri nord-ugandesi dell’LRA. Inoltre, nel sud del Paese, nella città di Juba, si è registrata, dal 2009,  una forte recrudescenza di episodi di criminalità comune, atti di violenza e di banditismo spesso con l’uso di armi da fuoco anche ai danni di operatori umanitari.

Carlo Di Stanislao

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