Non sembra placarsi la serie di inondazioni che ha interessato il Queensland , stato federato dell’Australia che occupa la parte nord-orientale del Paese, dal 29 dicembre, uccidendo 14 persone in due settimane (fra cui 5 bambini) e considerate le peggiori degli ultimi 15 anni. Oggi le autorità hanno invitato migliaia di residenti a lasciare la periferia di Brisbane, la terza città dell’Australia, mentre altri creano trincee di sabbia intorno alle case e immagazzinano rifornimenti alimentari in vista di possibili, nuove piogge torrenziali. La polizia ha riferito che 9.000 case a Brisbane potrebbero venire allagate entro giovedì e che altre 30.000 proprietà sono a rischio, mentre sin’ora, l’area devastata è più grande di Francia e Germania insieme, con danni stimati in 6 miliardi di dollari e allagamento di 70 città. Lo stesso premier del Queensland, Anna Bligh, ha ammesso che il bilancio delle vittime e dei danni e’ destinato a crescere. L’esodo dalla citta’, che conta 2 milioni di abitanti, avviene in autobus, treni e auto. Gli allerta evacuazione sono stati emessi per decine di aree periferiche, si teme che un terzo della citta’ rimanga sommersa quando i livelli dell’acqua raggiungeranno il picco. Il panico ha scatenato la corsa agli acquisti, beni di prima necessita’ come latte, pane, batterie, acqua in bottiglia, candele. Il premier Bligh ha rivolto un appello alla calma: “Supereremo la prova solo se manterremo la calma, saremo pazienti e ascolteremo con attenzione le istruzioni che ci verranno date”. L’ultima vittima accertata e’ un bimbo di 4 anni caduto dalla barca che cercava di trarlo in salvo insieme alla famiglia. Come detto, l’ondata di piena del fiume Brisbane e’ prevista tra mercoledi’ e giovedi’, mentre la diga Wivenhoe, costruita a 80 chilometri dalla città, per proteggerla dopo le disastrose alluvioni del 1974, è già in condizioni critiche. Ieri uno ‘tsunami interno’ nella cittadina di Toowoomba, nell’ entroterra del Queensland, ha ucciso almeno nove persone, mentre i dispersi sono decine. Non è invece arrivata a colpire l’isola di Vanuatu, Nuova Caledonia e le Figi, l’onda anomala di 15 metri, prodotta da un terremoto marino verificatosi sabato nel Pacifico occidentale. Un nuovo comunicato di oggi ha cancellato l’allarme lanciato sabato, subito dopo la mezzanotte, in cui si diceva che: “un terremoto di tale violenza ha la potenzialità di generare uno tsunami distruttivo”. L’epicentro del sisma, di magnitudo 7.2 della Richter, sotto il livello del mare, a circa 33 chilometri di profondità, è stato individuato 225 chilometri a sud della capitale dell’arcipelago di Vanuatu, Port Vila. L’arcipelago, nel Pacifico meridionale, ha origine vulcanica e si trova circa a 1.750 ad est dell’Australia, 500 chilometri a nord est della Nuova Caledonia, a ovest di Figi e a sud delle Isole Salomone. Le isole che lo compongono furono denominate Nuove Ebridi durante il periodo coloniale. Ricordiamo che, lo scorso anno, il 25 ottobre, uno serie di onde anomale createsi dopo un violento terremoto sulle coste di Sumatra, nella stessa zona dove ebbe origine il catastrofico maremoto del 26 dicembre 2004, con 240mila morti, si limitò a distruggere molte costruzioni del villaggio costiero di Betu Monga, nelle isole Mantawai. Inoltre, il 2 aprile dello scorso anno, sono stati pubblicati i risultati di studi, svolti dall’ Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia di Roma, secondo cui nelle acque a sud della Sicilia, dove si trova il vulcano sottomarino Marsili, a causa di crolli di pareti, estremamente instabili, potrebbero verificarsi terremoti seguiti da maremoti o onde anomale. Tuttavia Bill McGuire, dell’University College di Londra, afferma che è per ora impossibile prevedere se e quando potrebbe verificarsi lì eruzione vulcanica. E spiega: “La costruzione apparentemente fragile di Marsili suggerisce che un crollo in un momento futuro non sarebbe una sorpresa. A seconda della scala, la velocità e la natura del collasso, questo potrebbe generare uno tsunami significativo e potenzialmente dannoso”.
Carlo Di Stanislao
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