Dopo quella nei mangimi, ora la diossina sembra presente anche nelle carni suine di provenienza tedesca. La contaminazione è stata riscontrata in un allevamento di maiali nella Bassa Sassonia la più importante regione per la produzione di salumi e che conta oltre 8 milioni di esemplari allevati ogni anno. Nell’azienda incriminata, situata a Verden, il tasso di contaminazione riscontrato supera più del doppio il livello consentito, mettendo al bando anche la carne di questi animali. Mentre crolla quindi l’economia di questo genere di allevamenti, va alle stelle il ricorrere agli alimenti biologici, portando addirittura a una domanda nettamente superiore all’offerta di prodotti bio. Al momento dei 4.709 allevamenti chiusi in Germania all’inizio dell’allarme, solo 558 sono ancora bloccati per poter permettere i controlli sulla contaminazione in atto. Ma non è ancora cessato allarme, nonostante il via libera a 4.151 aziende. Per quanto riguarda il nostro paese non vi sarebbe alcun pericolo. Il 10 gennaio, il sottosegretario alla salute Francesca Mancini ha dichiarato: “Ad oggi le autorità tedesche escludono l’esportazione in Italia di mangimi o prodotti alimentari provenienti dalle partite contaminate” ed aggiunto: “Oggi siamo i più importanti produttori in Europa, e siamo praticamente autosufficienti. Da anni mi batto perché il pollame italiano mantenga un’etichettatura che non è approvata in Europa. Noi siamo i più avanzati in tema di etichettatura, e promuoviamo qualsiasi iniziativa che vada verso la piena tracciabilità di qualsiasi alimento, perché solo la tracciabilità rappresenta l’arma per difendere la salute dei cittadini”, le cose però cambiano per il latte ed i derivati, di cui la Germania è la principale fornitrice per l’Italia. con quasi 41 milioni di quintali all’anno. Per questo motivo sono stati intensificati i controlli da Nas e Regioni in particolare su carni suine e latte a lunga conservazione, di origine tedesca. Ferruccio Fazio, il ministro per la Salute ha assicurato che l’Italia “si adeguerà alle iniziative comunitarie”che si discuteranno nella riunione tecnica a Bruxelles nei prossimi giorni, e che in ogni caso le nostre autorità “hanno la lista dei fornitori tedeschi a rischio e non sono arrivate uova dalla Germania”. Secondo il monitoraggio della Coldiretti, effettuato il primo giorno nei supermercati italiani in seguito all’emergenza tedesca, i consumatori non sembrano allarmati: ogni famiglia continua ad acquistare in media due uova al giorno per un totale di quasi 13 miliardi all’anno. La Coldiretti ritiene che: “Il tempestivo avvio del piano di controlli ma soprattutto il sistema di rintracciabilità” siano motivo di rassicurazione nei consumatori che possono ottenere dall’etichetta sui prodotti tutte le informazioni utili. Il primo numero consente di risalire al tipo di allevamento (0 per biologico, 1 all’aperto, 2 a terra, 3 nelle gabbie), la seconda sigla indica lo Stato in cui è stato deposto (es. IT)e infine le indicazioni relative al codice Istat del Comune, alla sigla della Provincia e il codice distintivo dell’allevatore. La diossina è un composto organico eterociclico, persistente e cancerogeno, non biodegradabili, facilmente accumulabili nella catena alimentare. Reazioni di ossidazione come quelle che avvengono negli inceneritori nelle acciaierie di seconda fusione ed in altri processi di combustione civile ed industriale, sono i principali produttori di diossine. Già dal 2008 Medicina democratica aveva lanciato l’allarme diossina negli alimenti e si era chiesta: da dove viene la diossina nella carne? Ci dicono dai mangimi. E nei mangimi come ci arriva? Solo, “accidentalmente” da olii contaminati? E gli animali contaminati dove vanno a finire? Chi ci assicura che non diventeranno nuovi mangimi direttamente o ancor più con l’incenerimento? La notizia che anche questa volta non è stata data nella vicenda dei “maiali (e non solo) alla diossina” è che la diossina proviene per la maggior parte dall’incenerimento di rifiuti urbani, ospedalieri ed industriali. Da qui la follia di volere costruire nuovi inceneritori ed ampliare quelli esistenti con la inevitabile conseguenza di aumentare la diossina che va a finire nei nostri piatti. In Italia, il 10 luglio del 1975, la fuoriuscita di una nube di diossina del tipo TCDD, uscita dall’ICMESA di meda, causò una nube tossica che investì una vasta area di terreni nei comuni limitrofi della bassa Brianza, in particolare Seveso. In fase acuta esplose una forma virulenta e tenace di acne definita cloroacne, mentre ricerche effettuate verso la fine degli anni novanta sulla popolazione femminile hanno mostrato, a venti anni di distanza, una relazione tra esposizione alla TCDD in periodo prepuberale e alcuni disturbi. Uno studio pubblicato nel 2008 ha evidenziato come ancora a 33 anni di distanza dal disastro gli effetti, misurati su un campione statisticamente ampio di popolazione siano elevati. Nello studio, in sintesi, la probabilità di avere alterazioni neonatali ormonali conseguenti alla residenza in zona A delle madri è 6,6 volte maggiore che nel gruppo di controllo. Le alterazioni ormonali vertono sul TSH, la cui alterazione, largamente studiata in epidemiologia ambientale, è causa di deficit fisici ed intellettuali durante lo sviluppo. È stato rivelato inoltre che negli anni novanta sono nate molte più bambine che bambini. Ciò è stato correlato al fatto che molti dei genitori di questi neonati erano adolescenti all’epoca del disastro e quindi si presume che la diossina abbia in qualche modo alterato lo sviluppo dell’apparato riproduttivo, prevalentemente quello maschile. L’ipotesi dell’aumento di tumori riscontrati nella zona è invece controversa. All’epoca del disastro, molti scienziati avevano sollevato la possibilità di un considerevole aumento dei casi tumorali nell’area, ma ricerche scientifiche hanno evidenziato invece che il numero di morti per tumore si sia mantenuto relativamente nella media della Brianza; i risultati di tali ricerche sono però contestati da alcuni comitati civici. Uno studio della Uiniversità di Milano del 2009, ha infine dimostrato che la potenziale cancerogenicità della TCDD è relativa solo agli effettivi residenti nell’area del disastro al momento dell’incidente. Nessun aumento significativo di casi di tumore è stato riscontrato infatti nella popolazione immigrata nell’area in seguito agli interventi di bonifica che hanno impedito un’ulteriore esposizione alla contaminazione.
Carlo Di Stanislao
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