La bellezza del somaro

Ci era sfuggito a metà del mese scorso, alla sua uscita nelle sale, presi da titoli più reclamizzati e dal turbinio dell’atmosfera natalizia. Invece questo ultimo film di Sergio Castellito, con, oltre a lui medesimo, Laura Morante, Enzo Jannacci, Marco Giallini, Barbora Bobulova, ci conduce, dopo il nullafacente Libero in fuga dal sud (Libero Burro) […]

Ci era sfuggito a metà del mese scorso, alla sua uscita nelle sale, presi da titoli più reclamizzati e dal turbinio dell’atmosfera natalizia. Invece questo ultimo film di Sergio Castellito, con, oltre a lui medesimo, Laura Morante, Enzo Jannacci, Marco Giallini, Barbora Bobulova, ci conduce, dopo il nullafacente Libero in fuga dal sud (Libero Burro) e il chirurgo Timoteo sull’orlo di un amore impossibile (Non ti muovere), nel campo di una coppia di genitori confusi davanti al sentimento della propria “cucciola” per un uomo più anziano di lei. Ispirato da e risultato di un racconto lungo di Margaret Mazzantini (compagna di Castellito) La bellezza del somaro è una sit-com progressista che sostiene con esaltata ironia il provvisorio vacillare delle coscienze borghesi. Coscienze convitate alla tavola di un casale spalancato sulla campagna toscana, a intendere l’apertura mentale di coloro che la abitano. Attraverso una commedia grottesca, Castellitto descrive una società che scivola verso un’irreversibile decadenza, una borghesia indecente che vagheggia un’età (anagrafica) perduta, incapace di inseguire la virtù e accanita nel vizio della giovinezza. A ridimensionare i predoni della nuova e caduca società ci penserà l’Armando “bianco” e misurato di Enzo Jannacci, che come il personaggio omonimo intonato nella sua celebre canzone “cade giù” dal cielo a “miracol mostrare”. Reduce fiero della vita è il termometro impietoso dei caratteri e delle emozioni della nutrita comitiva che lo circonda, annoiata, narcisista e memore soltanto dei propri successi passati. Come ha scritto qualcuno, il film è teatro filmato sulla crisi della famiglia e sul rapporto tra genitori e figli, disseminato qua e là con funzione nobilitante da pillole di cultura: le citazioni di Cechov e le atmosfere alla Cechov, il libro dello junghiano James Hillman, le lezioni di Nabokov. Peccato soloper il fatto che quando l’attore-autore sembra portare i personaggi vicini al punto di rottura, il momento cioè delle scelte e dell’assunzione di responsabilità, la commedia adotti la soluzione più facile, escludendo l’Armando (con cui la figliola, sia chiaro e affermato nel film, non farà mai sesso) e ricompattando il gruppo di famiglia in un interno sconsolante. Ma è non è forse così anche nella vita? Spesso si parla male del nostro cinema, come se la fine del neorealismo, della commedia all’italiana e del grande cinema d’autore coincidesse con l’inizio di una crisi creativa irreversibile. O come se Mastroianni, Gassman o Tognazzi, esilaranti nei ruoli comici ma bravi anche in quelli drammatici, non potessero avere eredi dello stesso talento. A sfatare questa falsa idea nostalgica, che minimizza senza pudore lo sforzo di grandi attori di oggi, si distingue la figura di Sergio Castellitto. Un attore eclettico che ha cominciato recitando, è cresciuto sperimentando anche la scrittura e la regia e ha finito per ottenere consensi unanimi da critica e pubblico.

Carlo Di Stanislao

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