L’attualità non mi piace (è d’obbligo dire che io non escluda me stessa che ne faccio parte).
Il Lingotto…Mirafiori…Marchionne…la Fiom…gli operai…i colletti bianchi…i Tunisini che si ammazzano per il costo del pane (così si è sentito e letto ripetutamente)…
Per questo mi concedo di fantasticare, come rifugio, e come alternativa al linguaggio corrente. Linguaggio impotente a spiegare le ragioni dei fatti, o forse che non li vuole o non li può spiegare.
Andiamo al referendum concluso con un sì al 53%, e svolgo il tema appunto fantasticando.
Gli operai dunque nella mia fantasia erano assolutamente tutti d’accordo, e hanno avuto fiducia gli uni degli altri. Tutti optavano per i diritti e tutti optavano per il posto di lavoro, ma non potevano dirlo proclamarlo simultaneamente, chi ha votato no contava per intima anche se non consapevole sicurezza che altri avrebbero votato sì, e chi ha votato sì era certo che altrettanti avrebbero votato no. In entrambi i casi non correvano alcun rischio perché davano per scontato che nessuna delle due parti si sarebbe espressa in un plebiscito, mentre un prevalere minimale sarebbe equivalso a una parità. Lo so che non è così secondo quanto si è visto e ascoltato, eppure nella mia fantasia.trovo la convinzione che neppure il visto e sentito esprimano sempre la verità più intima delle persone. Perché ora agli operai, tutti, competerà – una volta assicurato il pane quotidiano – di compensare quel che è mancato a Marchionne.,
sempre che io sia abbastanza informata e di ciò non ho davvero certezza. Questa persona non mi pare aver lavorato su i significati più vibrantidei fatti, cioè gli argomenti idonei a controbilanciare l’indignazione degli operai da essi condensata nel termine “ricatto”, “o accettate le mie condizioni o io delocalizzo”. Si trattava di confrontarsi sul piano psicologico e della sussidarietà. Si trattava di issare gli operai dal livello intellettuale consuetudinario capitalista dei rapporti lavoro e impresa a un livello attuale dove regna senza mezzi termini il caos. Cioè la perdita delle regole e quindi l’incertezza dei diritti. Si trattava di chiedere loro: “Pensate di aspirare a una eguaglianza di trattamento tra tutti i lavoratori del mondo o guardate soltanto in casa vostra?”;”Vogliamo gettare al macero l’Italia in questo clima di si salvi chi può o cerchiamo di competere con i luoghi dove la crescita della produzione cresce vertiginosamente proprio per l’assenza di regole che non sono mai esistite? “
Sono sempre stata convinta che gli operai – ma non quelli dello sciopero facile dove troppo spesso è ricattata la popolazione civile – hanno cervello e sensibilità da vendere se se ne dà loro l’opportunità di esercitarli, siano in grado di maturare qualsiasi presa di coscienza in rapporto a qualsiasi problema (sindacati permettendo).. Ebbene non mi pare che Marchionne si sia dedicato a questa operazione di confronto dialogo; forse gliene è mancato il tempo, forse perché si attendeva dai suoi interlocutori una immediata comprensione del tragitto mentale da lui gradualmente compiuto grazie alla carica che ricopre. Marchionne avrebbe dovuto chiedere:” Nel caso che optiate per una eguaglianza mondiale la pensate forse attestata al livello più basso ( quanto a diritti e remunerazione) qual è quella prevalente, o al livello più alto, quello delle nazioni più progredite tecnologicamente e al contempo efficienti?”. Se Marchionne avesse imposto così il suo confronto con i rappresentanti degli operai e non avesse sconsideratamente detto “O votate sì oppure delocalizzo la Fiat (mi pare in Canada)”forse nessuno avrebbe parlato di ricatto anche se nella sostanza l’alternativa tale poteva sembrare.
Non è una questione di forma ma di linguaggio, quindi di significati più pregnanti riguardanti la sensibilità altrui più ancora che dell’ orgoglio. Sarebbe stato insomma un’ammissione di solidale coinvolgimento tra chi si muove sul piano internazionale e chi è inchiodato davanti a una catena di montaggio.
Perciò sono convinta che non è stata dunque la minaccia o ricatto di Marchionne a “vincere” bensì l’ intima comunione e intelligenza tra i lavoratori a farli esprimere nel più eloquente dei modi, un no dovuto alla difesa della loro dignità in qualità di protagonisti attivi dell’azienda e un sì dovuto a una scelta attenta all’attuale criterio globale estremamente critico, bilanciato al massimo possibile con un comprensibile calcolo di sopravvivenza. Sopravvivenza intesa in un duplice senso, la salute psicofisica da salvaguardare, cosa non facile in un lavoro alienante, e la certezza del pane quotidiano. La mia opinione è che da ora dovrebbe essere sempre accessibile un dialogo tra tutte le componenti dell’impresa, un dialogo non vecchia maniera ma di fiduciosa costruttività, non un paralizzante braccio di ferro.
Già, il pane, i Tunisini distruggendo bruciando saccheggiando hanno scelto l’anarchia; cioè la peggiore delle espressioni. Ma senza tutta questa violenza sarebbe stato possibile egualmente mettere in fuga il Presidente? Mi duole rispondere no, mi duole perché così sembro giustificare l’inutile e dannosa distruzione di beni della collettività, la perdita di vite preziose e i tanti feriti. Ma in Tunisia più che il pane o oltre il pane mancava la libertà a cominciare da quella d’espressione, e allora forse occorre rifarsi a un diverso giudizio, quello più calzante di una rivoluzione, anche se da Giornalista di Pace propugno che anche le rivoluzioni si devono attuare senza spargimento di sangue. Facile a dirsi, se dall’oggi al domani, spero possibile quando avremo portato i linguaggi allo stesso livello temporale e dei contenuti.
Tornando al prezzo lievitato del pane è triste ammettere che i meccanismi economici mondiali come al solito la fanno da padroni. E’ terribile costatare che l’umanità, che presume d’essere perfino geniale, non riesca a capire quale dovrebbe essere il percorso tecnicamente idoneo a rispondere alle necessità di base dei popoli. Maria Antonietta, che sarà condannata a salire sul patibolo, appreso che i sudditi erano letteralmente alla fame, dette ordine di distribuire brioche. Era chiaramente una disinformata. Non sarà che anche noi tutti siamo intellettualmente disinformati?! Se tutta l’informazione (almeno da noi) invece di occuparsi massicciamente di gossip invece che di politica, anzi peggio ancora, avendo trasformato il gossip nell’unica forma di politica di cui sono capaci, e la cronaca nera in spettacolo, si spendesse piuttosto nel testimoniare e sostenere sistematicamente la gente oppressa da le varie forme di dittature forse gradualmente potrebbe non esserci più la necessità di ricorrere a una violenza ciecamente distruttiva anche se fortemente motivata dal bisogno di libertà.
E’ sconfortante ammettere che dall’inizio dell’esistere la società dell’uomo non ha saputo vincere la fame nel mondo, soprattutto perché occupata a combattersi a vicenda. Quando non, all’inverso, che la fame sia e sia stata forse la più frequente causa delle guerre.
Quanta inutile o male adoperata intelligenza.
Gloria Capuano
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