Fino a una ventina di anni fa, eravamo convinti di aver capito, o quasi circa il contenuto dell’Universo. E fisici ed astronomi erano concordi nel dire che la materia della quale siamo fatti noi umani, i sassi, gli oceani, la Terra, i pianeti e tutte le stelle e galassie visibili fosse un parte significativa, se non dominante, dell’Universo. In soli 5 lustri, che è una durata biblica alla velocità della scienza, abbiamo cambiato radicalmente opinione e adesso sappiamo, o crediamo di sapere, che la materia come la nostra rappresenta pochi percento di tutto l’Universo: siamo un pizzico di sale nella minestra. Il problema vero, però, è che non abbiamo idea di che cosa sia il resto, il grosso dell’Universo. Lo chiamiamo energia “oscura” o materia “oscura” perché non si vede, certo, ma soprattutto perché non sappiamo dirne altro. Inoltre, rispetto alla materia oscura, però, l’Universo ci pone il problema opposto con l’antimateria: sappiamo cos’è, ma ne troviamo pochissima. Per simmetria, ce ne aspettavamo una quantità uguale alla materia, invece no. Di antimateria, in giro per l’Universo, ne vediamo solo quantità minuscole, ridicole. Non sappiamo bene perché sia così, ma vorremmo tanto saperlo meglio. Anche perché (ma questo, arditamente, lo aggiungo io) quella risposta potrebbe addirittura contenere indizi sull’origine della vita. Comunque, al CERN di Ginevra, il più grande centro al mondo di ricerca fisica, l’antimateria la usano tutti i giorni, anche se in modiche quantità. In un gigantesco anello sotterraneo di 27 km, protoni e antiprotoni vengono accelerati in senso opposto e poi fatti sbattere gli uni contro gli altri. Dalle collisioni vengono fuori pezzi più o meno strani, che sono proprio quello che i fisici vogliono studiare. Insomma, nel grande acceleratore europeo LHC del CERN, materia e antimateria vengono usati per capire come sono fatte dentro. Come tirare due televisori uno contro l’altro e poi capire come funzionano analizzando i pezzi della collisione. Il più complesso e ambizioso esperimento scientifico di tutti i tempi è ormai entrato nel vivo, eppure i suoi scopi precisi sono in gran parte sconosciuti al pubblico. Questo libro è una guida chiara e comprensibile per apprezzare le scoperte che avranno luogo al Large Hardon Collider (LHC) del CERN, per conoscere le stupefacenti innovazioni tecnologiche che sono state necessarie per la sua costruzione e per capire le motivazioni scientifiche dell’esperimento. Ma è soprattutto uno straordinario viaggio all’interno del mondo della fisica delle particelle, un’avventura coinvolgente in uno spazio insolito ed enigmatico, un percorso durante il quale il lettore acquisterà gli strumenti per comprendere la portata della rivoluzione intellettuale che sta avvenendo. Per capirne di più si può leggere, pubblicato la scorsa estate, “Odissea nello Zeptospazio”, di Gian Francesco Giudice, libro di 328 pagine edito di Springer & Verlag, che risponde in modo chiaro a domande come: esiste il misterioso bosone di Higgs? Lo spazio nasconde una supersimmetria o si estende in nuove dimensioni? Come possono le collisioni tra protoni che avvengono nell’LHC svelare i segreti dell’origine del nostro universo? Un viaggio nel mondo della fisica delle particelle, percorrendo la storia appassionante e spesso curiosa delle scoperte che hanno condotto i fisici all’attuale comprensione del mondo, per conoscere le ragioni per le quali è stato concepito e realizzato il più grande acceleratore di particelle di tutti i tempi. Gian Francesco Giudice, scrittore, scienziato e divulgatore, aveva già scritto, nel 2009, un altro grande libro, su un universo altrettanto incompreso, anche se più a portata di mano, il Zeptospazio umano della follia. Il lbro, “Un manicomio di confine” , con sottotitolo Storia del San Martino di Como (edizioni Laterza), racconta della “materia oscura” e dell’antimateria dei circa quarantamila i “matti” del San Martino, il manicomio di Como entrato in funzione nel giugno del 1882: poveri contadini ammalati di pellagra, mentecatti e vagabondi, casalinghe isteriche o in preda al delirio delle puerpere, bambini abbandonati, operai e muratori alcolizzati, emigrati meridionali e veneti rimpatriati dalla Svizzera ai primi segni di malattia mentale (il loro disagio ottenne anche una ben precisa definizione medica: il “delirio dell’immigrato”). Molti tra gli ospiti del San Martino – almeno fino all’approvazione della legge Basaglia nel 1978 – venivano internati “d’imperio”, sulla base di un certificato medico che li dichiarava “pericolosi a sé o agli altri”, o anche solo “di pubblico scandalo”: insomma bastava che il sindaco, il parroco, il medico e il comandante dei Carabinieri di un paese decidessero di concerto che una determinata persona, a salvaguardia della quiete e del decoro pubblico, non dovesse più circolare liberamente, perché per questa si aprissero le porte del manicomio e di una terribile non-vita. Accanto alle statistiche e alle raccolte di dati che, provenienti dagli archivi del San Martino, documentano un secolo di attività, Gianfranco Giudice racconta le biografie dei tanti “folli” che sono passati per i padiglioni di questo manicomio di confine, alla frontiera tra l’Italia e la Svizzera ma anche tra la normalità urbana e l’emarginazione dei diversi. Libri diversi ma con un comune denominatore: mostrare gli errori di cui la scienza di macchia nel corso della sua storia e della possibilità di “redenzione” attraverso la lenta, paziente ricerca.
Carlo Di Stanislao
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