Dopo un ricevimento in pompa magna, inizia oggi il terzo giorno del presidente cinese Hu Jintao negli USA, giorno cruciale in cui cercherà di convincere i parlamentari Usa che la Cina è un motore di crescita privo di minacce, dopo che un vertice alla Casa Bianca ha cercato di ricucire gli strappi tra le due maggiori economie mondiali. Oggi è la giornata più dura dei quattro giorni di visita ufficiale del presidente cinese negli Stati Uniti, il giorno in cui, lasciati i brindisi e le parate, andrà al Congresso dove covano le critiche più aspre alla politica di Pechino, sia per il troppo alto del valore dello yuan, sia per la gestione dei diritti umani. Come ricorda Reuters, i parlamentari Usa minacciano dal 2005 una legge che punisca le importazioni dalla Cina con dazi compensatori della sua politica monetaria, che secondo i critici tiene ingiustamente bassi i prezzi. Ma la legge deve ancora passare. Inoltre, la visita di Hu ha spinto 84 parlamentari a scrivere ad Obama, invitandolo a dire a presidente cinese che “la pazienza dell’America sta per finire e non possiamo più tollerare il silenzio sprezzante della Cina” per le promesse fatte nel 2001 di aderire all’Organizzazione mondiale del commercio. In verità Barack Obama è stato ieri molto più deciso che in passato nell’ammonire la Cina ad aprire nel suo stesso interesse ai diritti civili, alle libertà di stampa e di espressione, alla democrazia ed ha menzionato – cosa che non aveva fatto nel l’incontro del 2009 a Pechino – il Tibet e l’importanza del dialogo con il Dalai Lama. Hu ha fatto buon viso, segno che il rapporto con gli Usa preme anche al suo governo. E’ il prezzo che lui deve pagare per un onore con pochi precedenti: questa è solo la terza volta nella storia, che un presidente cinese ha diritto al cerimoniale della “visita di Stato” in pompa magna, con tanto di ricevimento di gala alla Casa Bianca, preceduto martedì sera da una cena privata, foto-ricordo con First Lady e bambine sul prato della Casa Bianca, il vicepresidente Joe Biden spedito alla base di Fort Andrews ad accogliere Hu fin sulla scaletta dell’aereo. George Bush gli aveva negato questo trattamento imperiale nel 2006, declassando la visita precedente di Hu ad un rango inferiore, proprio per l’imbarazzo sui diritti umani. Le aziende cinesi hanno già firmato 70 contratti per 25 miliardi di dollari in importazioni da 12 stati americani. Inoltre sono stati firmati 12 contratti di investimento per un valore di 3,24 miliardi di dollari. La parte del leone l’ha fatta la Boeing, che ha ricevuto un ordine da 19 miliardi di dollari per 200 velivoli che saranno consegnati fra il 2011 e il 2013. Quest’ordine da solo contribuirà al sostentamento di 100.000 posti di lavoro nel settore aeronautico, non solo alla Boeing ma in tutto l’indotto. Ma le prove di dialogo presentano ancora non poche difficoltà. Non solo Il presidente della Camera, il repubblicano John Boehner, ha rifiutato l’invito alla cena di gala alla Casa Bianca; ma nella mega-delegazione di Vip del capitalismo americano che ha una sessione di lavoro con Hu, spiccano due assenze di rilevo: Google e Facebook. I due simboli dell’economia di Internet sono esclusi dal mercato cinese. L’altro grande assente nella tavola rotonda tra Hu e il mondo dell’economia sono i sindacati, che pure avrebbero qualcosa da dire sul problema delle delocalizzazioni. Ma, di fatto e nonostante i problemi e le ruggini, è certo che oggi, come si arguisce da un recentissimo sondaggio della Pew Research, istituto indipendente, gli americani considerano l’Asia più importante dell’Europa con uno scarto dal 47% al 37%. Ed ha ragione Glauco Maggi, che su Libero News oggi scrive che gli americani, essendo popolo pratico, stanno aggiustando le loro inclinazioni e interessi nel mondo, sensibili agli scostamenti della bilancia del potere mondiale che vede l’Europa declinante. In definitiva quello che sta avvenendo è un confronto tra una superpotenza “storica” ed una impaziente di dominare, mentre, purtroppo, l’Europa assiste relegata in terza fila. Del resto, Pechino vede la UE con il cappello in mano e agisce di conseguenza: per allargare la sua influenza finanzia con le proprie riserve alle economie in difficoltà, dalla Grecia al Portogallo alla Spagna (con 43 miliardi ha ormai un quinto dei debiti di Madrid). Negli ultimi due anni, con Obama in carica, Pechino ne ha combinate tante, l’ultimo affronto lo schiaffo del test missilistico durante la visita in Cina del ministro della Difesa Robert Gates qualche giorno fa. E l’elenco è ancora più lungo: le sfide navali con Usa, Indonesia e Giappone; la protezione smaccata alla Nord Corea quando ha aggredito la Sud Corea; la prepotenza verso la Norvegia per il Nobel della pace al dissidente Liu Xiaobo, ancora in galera; la censura a Google. Tuttavia, ne siamo certi, alla fine vincerà il pragmatismo di entrambi i protagonisti e da questo incontro certamente si traccerà una nuova mappa per una più intensa e soddisfacente relazione che, in fondo, hanno una comune vocazione: trovare il modo di cooperare per il dominio del mondo. D’altra parte Confucio insegna che chi non si può sconfiggere va abbracciato e dal 17 scorso, una statua alta 9,5 metri, e completamente in bronzo, che ritrae il grande filosofo, si trova davanti all’ingresso nord del Museo Nazionale, in piazza Tiananmen, di fronte a quella di Mao. Il recupero di Confucio, che è vissuto tra il 551 e il 479 a.C., è iniziato nei primi anni ’80 ed ha subito un’accelerazione da quando Hu Jintao è salito al potere. E’ stato l’attuale presidente cinese ad introdurre il concetto di “armonia sociale” nella politica del paese asiatico, un concetto che porta dritto a Confucio: ogni suo scritto parla dell’armonia tra padre e figlio, tra uomo e natura, tra uomo e società. Ma il filosofo di Qufu parla anche della necessità di rispettare l’autorità costituita ed è questo il motivo per il quale è stato riabilitato, in un paese che per il momento si gode il suo accresciuto benessere, ma in cui le tensioni sociali sono in netto aumento. Gli insegnamenti del più famoso filosofo cinese sono dunque tornati di moda, riempiono i discorsi dei leader comunisti e le colonne dei giornali ufficiali. E’ il cosiddetto “revival confuciano”. Il primo passo in questa direzione risale a quasi trent’anni fa, al 1982, quando Deng Xiaoping lanciò la campagna “per i cinque accenti e le tre bellezze”. Gli accenti erano quelli su moralità, comportamento, disciplina, cortesia e igiene, mentre le bellezze erano quelle del cuore, della lingua e dell’ambiente. Un programma che già all’epoca sembrava ricalcato sugli insegnamenti di Confucio. E da Confucio, si vedrà, si trarranno i concetti che permeterrano alla Cina di andare a braccetto con l’odiato nemico di un tempo. Confucio attribuiva grande importanza alla saggezza, tanto che, in base a tale caratteristica, aveva diviso gli uomini in quattro distinte categorie: coloro che sono saggi dalla nascita, coloro che acquisiscono saggezza negli anni, gli uomini che sono sostanzialmente mediocri ma con sufficiente capacità di migliorare e gli stupidi i quali, diceva, si riconoscono, per l’incapacità di trovare un accordo anche tra apparenti opposti. E certamente né Obama ne Hu appartengono a quest’ultima categoria. Non è un caso che il primo grande estimatore di Confucio sia stato il gesuita Matteo Ricci (1552-1610), forte di una cultura pratica, alla ricerca di alleanze per la gestione autentica del potere e che, grande appassionato del filosofo Kong (come è noto in Cina), sia stato anche Ezra Pound. Vale comunque la pena rammentare che tutto quando detto e fatto proprio dalla Cina di oggi, non è propriamente il vero spirito del confucianesimo che, a ben vedere, si fonda sul senso di giustizia e sulla dirittura morale. E quando si cita Pound e la sua adesione al confucianesimo, si ignora, deliberatamente, il “Carteggio Jefferson-Adams come tempio e monumento”, in cui, da Confucio, il geniale poeta dei Cantos, trae motivi e supporti strutturali per la condanna dei metodi di produzione moderna della ricchezza, che si basa sul denaro che genera denaro, cioè sul niente che genera niente, sull’astratto che genera astratto e che sull’interesse sui prestiti chiesto dagli istituti di credito vede una forma neppure tanto camuffata di usura e che odi, a soprattutto, il modo di vivere borghese, il tipo spirituale borghese, contrapponendogli la dirittura morale, l’austerità, perfino lo spirito rivoluzionario dell’autentico dettato di Confucio.
Carlo Di Stanislao
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