Afghanistan, ecco perché la Cooperazione resta nonostante la violenza

“Vi riassumo la mia giornata in poche righe. È il mio biglietto di auguri per il nuovo anno appena iniziato”. È il racconto che Alberto Bortolan, direttore dell’Unità tecnica locale della direzione generale per la Cooperazione allo sviluppo (Dgcs) della Farnesina a Kabul, fa dell’attentato che ha sconvolto la capitale afgana il 12 gennaio. “Sono […]

“Vi riassumo la mia giornata in poche righe. È il mio biglietto di auguri per il nuovo anno appena iniziato”. È il racconto che Alberto Bortolan, direttore dell’Unità tecnica locale della direzione generale per la Cooperazione allo sviluppo (Dgcs) della Farnesina a Kabul, fa dell’attentato che ha sconvolto la capitale afgana il 12 gennaio. “Sono rientrato due giorni fa a Kabul dall’Italia e come sempre alle 8 sono in ufficio – spiega Bortolan -. Controllo il programma delle uscite dei miei collaboratori con le auto blindate: il primo a uscire è Giuseppe diretto all’Ospedale Esteqlal, per controllare i lavori di ristrutturazione delle cucine. Poi tocca a Susanna, destinazione: il Giardino delle Donne. Poi da Herat mi chiamano Sandro e Attilio, il primo per raccontarmi di un incontro con Usaid, il secondo per dirmi, non senza qualche preoccupazione, che è in partenza per Baghdis”.

“Un rumore sordo, lontano. Sono circa le 8:30 – sottolinea il direttore dell’Utl -. Solo pochi minuti dopo Idress entra nel mio ufficio per dirmi che c’è stato un attentato vicino all’Ospedale Esteqlal. Lo staff afghano inizia la ricerca di informazioni e dopo qualche momento ricevo un’altra telefonata. Questa volta è l’Ambasciata: niente spostamenti su Esteqlal e Giardino delle Donne. Blocco Giuseppe e Susanna e informo gli altri. Un altro kamikaze, altri morti. Altri feriti, altre sofferenze. Chiedo di mettere la nostre bandiere e quella afgana a mezz’asta. Poi il lavoro continua. Giuseppe ripiega sui cantieri alle Carceri, Susanna ha un incontro al ministero degli Affari femminili, Fabrizio si prepara a partire per Bamyan e organizza gli ultimi dettagli per la distribuzione di cibo prevista nei prossimi giorni. Mi chiama di nuovo Sandro da Herat”.

“Ma che ci fanno un pugno di operatori umanitari, spesso soffocati dalle carte della burocrazia in un contesto come quello afgano? Chi conosce l’esistenza di questo pugno di civili in mezzo alla violenza e alla presenza mediatica delle forze della coalizione? – si chiede Bortolan -. Alle 11 un’altra telefonata: è Ali, il direttore dell’Ospedale Esteqlal. ‘Non potevo non chiamarti’, mi dice, ‘solo per dirti grazie. Grazie alla Cooperazione Italiana: tutti i feriti dell’attentato sono stati portati qui e grazie a Dio siamo pronti a rispondere a queste emergenze. Lo so che tu non vuoi che l’Esteqlal venga chiamato Ospedale Italiano, ma è solo grazie a voi, alla Cooperazione Italiana, se oggi siamo in grado di soccorrere i feriti e garantire l’esistenza di un servizio sanitario di qualità. Tashakor”.

“Questa sera è arrivata una lettera, sempre dal direttore, per ringraziarci e informarci che la ministra della Sanità si è precipitata all’Ospedale dove sono stati portati i feriti e ha espresso il suo apprezzamento per le capacità di risposta dell’Ospedale nella gestione di un’emergenza di questo tipo al servizio della popolazione. Ha ringraziato pubblicamente la Cooperazione Italiana che fin dal 2004 sostiene l’Esteqlal. Ecco perché siamo qui – conclude Bortolan -. Perché vale la pena di restare, anche in mezzo alle scartoffie, anche se si riducono i fondi, anche se in pochi sanno del nostro lavoro”.

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