Si allarga come una macchia d’olio anche all’ombra delle piramidi l’onda delle proteste che nei giorni scorsi hanno scosso Tunisia, Algeria e Libano. Nella giornata di martedì, al Cairo, migliaia di persone, (10mila secondo il ministero dell’Interno, 25mila secondo gli organizzatori), sono scese in strada per protestare contro il presidente Hosni Mubarak. Al grido “fuori, fuori, fuori” e “vattene, vattene”, i manifestanti hanno attraversato le principali arterie della capitale in modo pacifico, finché, nella centrale piazza Tahrir, le forze dell’ordine sono intervenute in maniera massiccia. Nella confusione degli scontri un poliziotto è morto calpestato sul grande vialone che costeggia la sede del Parlamento e sfocia sulla grande spianata, dove i manifestanti si erano dati appuntamento.
A Suez tre manifestanti sono stati uccisi dalla Polizia durante i violenti scontri scoppiati poco dopo l’inizio della protesta. Due di questi colpiti da proiettili di gomma, un terzo, stando a quanto raccontano fonti mediche egiziane, centrato da una vera pallottola al ventre. Ad Alessandria d’Egitto, gli incidenti si sono conclusi senza feriti ma la Polizia ha imposto il coprifuoco, a partire dalle 23 fino alle 6.
Mercoledì, nonostante il divieto delle autorità a scendere in strada, il “Movimento 6 aprile”, principale organizzatore delle proteste, ha invitato il popolo a continuare le manifestazioni. Diversi sit-in hanno preso vita nella capitale. Nella prima mattinata circa 300 persone hanno iniziato a radunarsi sulla grande scalinata di accesso al sindacato dei giornalisti scandendo slogan sulla fine del “regime Mubarak”. Otto giornalisti sono stati arrestati, tra cui il leader del sindacato della stampa egiziana, Yayha Qalash.
Nel pomeriggio, mentre in cielo si alzavano le colonne di fumo dei copertoni dati alle fiamme, e il numero dei feriti saliva a 90, la Polizia è intervenuta sparando gas lacrimogeni, contro i cortei che si erano creati per le strade della capitale. Diverse auto sono state date alle fiamme e il fischio delle ambulanze ha risuonato incessantemente per le vie del Cairo. La grande piazza Taharir è rimasta blindata per tutta la giornata, come le vie adiacenti agli edifici del Parlamento. Scontri violenti si sono verificati anche nei pressi del Consolato italiano. Al momento si contano 90 feriti, ma alcune Ong egiziane parlano di numeri ben più alti e del rifiuto di molti feriti a recarsi negli ospedali per non essere arrestati. A Suez, durante il funerale di una delle vittime di martedì, a cui hanno partecipato oltre 2mila persone, si sono verificati incidenti tra i parenti delle vittime e la Polizia.
La censura delle autorità ha iniziato a stringersi anche attorno ai principali social network. Twitter è stato oscurato, così come Facebook. Perché come spesso succede durante le proteste di piazza, il web diventa luogo di annunci e proclami. È proprio attraverso internet, infatti, che nei giorni scorsi i manifestanti si sono dati appuntamento per scendere in strada. Ma intanto tra i giovani è iniziato a girare un programma chiamato “Hotspot”, in grado di aggirare i blocchi imposti.
Mentre le piazze si infiammano, voci, se pure smentite dalle autorità, parlano di importanti personalità del Partito Nazionale Democratico (oggi al potere, ndr) in fuga dal Paese. Tra queste è stata smentita anche la partenza, annunciata ieri dalla piazza, del figlio di Mubarak e candidato papabile alla successione, Gamal, a Londra, e precisato che il figlio del leader sta seguendo l’evolversi della situazione dal Cairo.
Ieri sera, in un comunicato stampa, il ministero dell’Interno egiziano ha accusato i Fratelli Musulmani, uno dei principali gruppi all’opposizione, di aver incitato la folla: “il gruppuscolo illegale dei Fratelli musulmani – si legge – ha spinto un gran numero di persone verso piazza Tahrir”. Secca la replica del portavoce del movimento islamista di opposizione, che ha parlato di “menzogne prive di ogni fondamento”. Nella città di Assiud, Nord Egitto, sono stati arrestati 121 simpatizzanti dei Fratelli Musulmani. Nella serata di mercoledì le autorità hanno annunciato che il totale degli arresti, in questi due giorni di proteste, è di 500 persone.
Una altra sponda Sud del Mediterraneo, cruciale per gli equilibri mediorientali e ricca di interessi occidentali è in fiamme. La Casa Bianca ha fatto sapere che “l’Egitto resta un alleato importante” e sta “seguendo da vicino la situazione”. Ma come i tunisini e gli algerini, anche gli egiziani sono stanchi della povertà e della repressione e decisi a riconquistare i propri diritti.
La scena del giovane manifestante, disarmato, che si oppone alle camionette egiziane rimanendo immobile nel mezzo di un grande vialone della capitale e viene colpito dal getto dell’idrante, ha rievocato da subito la celebre sfida tra un giovane cinese e un carro armato in Piazza Tienanmen, a Pechino, nel 1989.
Il “Faraone Mubarak”, da 30 anni al potere in quella che molti egiziani chiamano “dittatura morbida”, che al contrario del collega tunisino Ben Ali fuggito dal Paese con la coda tra le gambe, finora ha goduto del massimo rispetto negli ambienti alti della società egiziana e militari, è avvisato.
Andrea Bernardi
(Inviato di Unimondo)
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