Una gravidanza non voluta, un parto clandestino, un bambino non riconosciuto. Segreti che segnano un dramma personale, che rischia di frantumare la solidità di una famiglia che ha superato, nella coesione, una tragedia devastante come un terremoto. Ma vi è una nonna, acuta ed accorta come le nonne vere, che scruta e comprende, indaga e convince e trova la soluzione nella chiarezza che si dipana attraverso una serie di sottili inganni. Questo lo scheletro del racconto in due atti e in vernacolo “N angilu arrete la porta”, scritto da Rossa Crisi, diretto da Franco Villani e rappresentato dalla compagnia “Il Gruppo”, in un teatro improvvisato, presso l’Hotel Canadian, con prove in una camera d’albergo, per l’indisponibilità (inaudita) dei residui spazi istituzionali, preoccupati solo della forma e non della sostanza che si fonda su trentaduenne anni di attività, con centinaia di messe in scena, tutte di buona fattura e con migliaia di paganti a gremire la sala. Dicevamo della piece, esile e poetica, che si sviluppa fra sorrisi e commozione, alla rincorsa di un senso di speranza entro una realtà familiare che sembra voler illuminare un’intera collettività. Sia la prima, venerdì 28, che le due repliche (sabato 29 e, con spettacolo pomeridiano, domenica 30), hanno segnato il tutto esaurito, con spettatori di ogni età, dalla città e dal contado, a commuoversi ed applaudire l’autrice, il regista e gli attori: Tiziana Gioia, Lorella Morelli, Roberto Terenziani, Veronica Barnabeo, Ludovica Cittadini, Paolo Rosati, Luca Vespasiano e Laura Mancina. Descrivere attraverso un dramma personale una tragedia collettiva è espediente noto alla letteratura (usata da Moravia ne “La ciociara” o da Beppe Fenoglio ne “Il partigiano Johnny”), ma farlo in modo dialettale e volgarizzando al massimo il concetto, affinché sia immediatamente fruibile, è espediente pienamente e consapevolmente riuscito qui, ad opera di Rossana Crisi e della “composizione” operata da Franco Villani, che ha trovato strumento duttile ed efficacissimo in uno gruppo di attori, tutti in ottima forma. Così, con parole semplici e dirette (dialettali in senso pieno), la nonna-levatrice, cioè la donna che porta alla vita e trasporta le generazioni a durare nel tempo, diviene il simbolo riconoscibile di un atteggiamento salvifico, l’unico che possa dare speranza dopo una distruzione sismica, che è smottamento di luoghi e di persone. Poichè l’attimo vissuto e l’inconscio si identificano e dal momento che essi ci sfuggono poiché siamo irresistibilmente protesi verso l’oltre, l’altrove, l’alterità, è solo l’amore ed il suo frutto, il viatico per crearci una spazio di futuro non ebete o smemorato, ma fatto di tragedie ricomposte e non dimenticate, tragedie superate attraverso la coesione, la condivisione e la speranza. Ed in questo pensiero, semplicemente espresso in un testo comprensibile a tutti, trovano spazio Bloch e Nietzsche e Freud e lo fanno senza alcun ampolloso paludamento. Sicchè questa commedia ci dimostra, con rara forza, che il teatro dialettale non è minore, ma solo esemplificativo, capace cioè, quando autentico, di affrontare grandi temi difficili anche solo a definirsi e a svilupparli nel modo più semplice ed assieme più pieno. “Il Gruppo” dell’Aquila, è fra le migliori compagnie teatrali amatoriali abruzzesi, tanto, negli anni, da meritare numerosi riconoscimenti fra cui due premi a “Marche en Famenne” in Belgio e Migliore Compagnia al “9° Festival Internazionale del Québec”. Questa loro ultima produzione, sarà presentata anche al cine-teatro Circus di Pescara, il 3 febbraio prossimo.
Carlo Di Stanislao
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