E’ uno dei fenomeni del momento, un genere di intrattenimento spiritoso e, per certi versi, anti-maschilista, con ballerine avvinghiate a cornette telefoniche giganti o a cavalli a dondolo d’antan, con seni straripanti, ciglia finte e curve incontenibili, ma che durante i loro show dispensano pillole di filosofia in paillettes, hanno carisma da vendere, un senso dell’umorismo che spaventa gli uomini, che finiscono per essere irrisi se attratti da “manichini siliconati”. E’ il burlesque, esattamente l’opposto del “bunga bunga”; ma, a parte l’evocazione nel titolo, tutto questo manca nel film di Steve Antin, ex attore che ha all’attivo un’altra regia, Prigione di vetro 2 , rilettura della favola della ragazza di campagna (Alice, detta Ali , interpretata da Christina Aguilera), che un bel giorno, stanca della vita di provincia, si trasferisce nella città alfa: Los Angeles, in cerca di più scosse e di successo. Burlesque è un film sul talento e su quanto sia difficile realizzare i propri sogni, quando nessuno crede in te e tu non sei nessuno. L’aspetto più interessante è il connubio Cher/Aguilera. Nelle intenzioni drammaturgiche iniziali, Tess (Cher) rappresenta quello che Ali sogna di essere tra vent’anni (forse anche qualche anno in più): una diva che ha mantenuto le lunghe gambe da sex symbol, la voce prosperosa e un’intraprendenza felina. Le scene migliori sono quelle che le vedono protagoniste. All’inizio tra le due non corre buon sangue, poi lentamente le cose migliorano. Nella versione ufficiale del film, presentato in anteprima al 28° Torino Film Festival e da poco nelle nostre sale, non esistono duetti tra la vetero-icona-gay Cher e la new entry-gay friendly Aguilera e se l’introduzione di questi sia stato un capriccio di Cher, come verrebbe da malignare, ben venga, perchè è la parte migliore di una pellicola per il resto mediocre: un mesto e noioso scimmiottamento di celebri cult come Flashdance, Moulin Rouge, Dreamgirls. I numeri musicali sembrano dei sontuosi videoclip e non assumono mai una reale dimensione cinematografica, mentre buoni sono i costumi dal gusto camp, con cristalli Swarovski, perle, rasi, pizzi e paillettes. Christina Aguilera, che ha modo di sfoggiare le sue straordinarie doti vocali, non ha però un’adeguata presenza scenica. La surclassa Cher, che nonostante il volto ormai un po’ di “plastica” è ancora un’attrice carismatica e interpreta la canzone più bella (“You Haven’t Seen the Last of Me”), premiata con un Golden Globe. In definitiva un musical che vorrebbe essere “Eva contro Eva” al ritmo sincopato di Bob Fosse ed invece è sentimentale, vecchio stile, prevedibile, decisamente tedioso. Cinque giorni fa la pop-star Christina Agulera, dopo essere caduta dal palco ai Grammy Awards, ha sbagliato in diretta televisiva, una frase di Star Spangled Banner, davanti a centinaia di milioni di americani, durante l’apertura del Super Bowl. Ben consapevole dell’errore in cui è incappata (forse perché distratta dal recente divorzio o appannata dalla’alcool che ingurgita a “go go”), ha rilasciato un comunicato stampa per scusarsi: “Posso solo sperare che tutti quanti comprendano l’amore che nutro per il mio paese e che lo spirito originale dell’inno sia arrivato intatto a tutti”. Dopo aver visto questo film, sarebbe il caso si scusasse nei confronti di ha pagato il biglietto. La cosa che più spiace è il tradimento stesso dello spirito del burlesque, che è fatto di contrasti, pasticci, trasgressione erotica, ironia sensuale ed è ben sintetizzato da una frase di Colette, artista e scrittrice sulla cresta dell’onda ai tempi della Belle Epoque parigina, che scriveva, antipipandone lo spirito di un secolo “…voglio recitare la pantomima, e anche la commedia. Voglio danzare nuda se il costume mi impaccia e umilia la mia plasticità, voglio ritirarmi su un’isola, se mi pare, o frequentare signore che vivono delle loro grazie, purchè siano allegre, bizzarre, persino malinconiche e sagge come lo sono molte delle donne di vita…”. Bene. Tutto questo, in sala, nel film, non lo troverete.
Carlo Di Stanislao
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