Un trionfo per il duo Honeck-Prayer all’Oratorio del Gonfalone

Arriviamo sul Lungotevere  due ore e mezza dopo la nostra partenza dall’Aquila. Meno di un’ora per i cento chilometri d’autostrada per Roma, più di un’ora e mezza per trenta chilometri fino al centro città. Una coda infernale, giovedì sera (10 febbraio), per entrare dal casello di Lunghezza fino alla stazione Tiburtina, dove finalmente comincia a […]

Arriviamo sul Lungotevere  due ore e mezza dopo la nostra partenza dall’Aquila. Meno di un’ora per i cento chilometri d’autostrada per Roma, più di un’ora e mezza per trenta chilometri fino al centro città. Una coda infernale, giovedì sera (10 febbraio), per entrare dal casello di Lunghezza fino alla stazione Tiburtina, dove finalmente comincia a sciogliersi. Poi, da Castro Pretorio si scorre, per Muro Torto e Piazzale Flaminio. Alle otto e mezza la navetta ci lascia sul Lungotevere, davanti la scalinata che scende su via del Gonfalone, dove sta l’omonimo Oratorio. E’ lì che si tiene il concerto di Rainer Honeck e Luisa Prayer. La via, nel quartiere generoso d’arte del Rinascimento, è un po’ stretta e fa torto alla prospettiva della facciata dell’Oratorio, a due ordini, il primo del Cinquecento e l’altro barocco, progettata dal ticinese Domenico Castelli. L’Oratorio del Gonfalone, uno dei complessi architettonici e pittorici più suggestivi della seconda metà del Cinquecento, è davvero un gioiello d’arte rinascimentale. La Compagnia del Gonfalone, costituita a metà del Duecento e riconosciuta nel 1267 da papa Clemente IV, trasformatasi poi in Confraternita assai vicina alle regole agostiniana e francescana, fu molto attiva in campo assistenziale, vestendo il tipico abito bianco con la croce rossa e bianca in campo azzurro. Ebbe il singolare privilegio di riscattare i cristiani schiavi dei Saraceni, prerogativa che per secoli consentì alla Confraternita di mantenere contatti ufficiali con Costantinopoli e con il Pascià di Algeri.
L’Oratorio, la cui edificazione iniziò nel 1544 sulla chiesa di Santa Lucia vecchia, venne completato nelle parti murarie e nelle opere d’arte, pittoriche e lignee, nel 1580. Del valore del monumento è illuminante una nota di Claudio Massimo Strinati, Soprintendente del Polo Museale di Roma, che ne dettaglia la pregevole ricchezza architettonica e la preziosità delle decorazioni. Scrive Strinati: “Se ragguardevole è la struttura architettonica, improntata ad austera sobrietà e rievocante, sia pure in dimensioni minori, il nobile sviluppo verticale delle più antiche costruzioni cristiane; se raro e qualitativamente pregevole appare il soffitto ligneo intagliato da uno dei più grandi specialisti dell’epoca, Ambrogio Bonazzini; va detto che assolutamente fondamentale, nella storia delle arti figurative, è la tradizione pittorica che è stata giustamente giudicata dagli specialisti della materia, quale primo esempio, destinato a gettare il suo influsso non solo sul resto dell’Italia ma addirittura dell’Europa, di quel genere di pittura ispirata agli ideali etici ed estetici della Controriforma, che continuò a dominare la cultura artistica per almeno due secoli. Se si considera schematicamente la pittura del XVI secolo, questa può essere distinta in due grandi fasi corrispondenti, grosso modo, alla prima e seconda metà. Mentre la prima metà può essere giudicata tutta o quasi sotto l’astro del michelangiolismo (e nella prima metà del secolo si collocano infatti le imprese michelangiolesche nella Cappella Sistina), la seconda metà è tutta da porre sotto l’influsso degli ideali maturati nel lunghissimo e tormentato Concilio di Trento. Di questi ideali per la decorazione l’Oratorio del Gonfalone offre l’esempio più compiuto e paradigmatico”.
E in effetti queste annotazioni si rivelano nella loro icasticità non appena si supera l’uscio che dal vestibolo s’apre nell’oratorio, in un trionfo d’affreschi che coprono tutta l’altezza notevole delle pareti. I dipinti murali illustrano splendidamente il ciclo della Passione di Cristo, con inizio dalla parete destra per chi entra fino al compiersi della sinistra, assecondando la lettura secondo la sequenza dell’antica Sacra Rappresentazione. Vasta ed intensa la gamma delle espressioni, delle scene affrescate tra colonne tortili, con soprastanti riquadri recanti profeti e sibille, opere dei principali artisti del tardo Rinascimento e del Manierismo, realizzate tra il 1569 e il 1575. Nel primo riquadro l’Ingresso di Cristo a Gerusalemme, opera del parmigiano Jacopo Zanguidi, detto il  Bertoja. Seguono l’Ultima Cena, del forlivese Livio Agresti; l’Orazione nell’Orto, firmato Domenico da Modena; la Cattura di Cristo, di Marcantonio del Forno; Cristo davanti a Caifa, di Raffaellino Motta da Reggio; la Flagellazione, di Federico Zuccari; l’Incoronazione di spine, dell’orvietano Cesare Nebbia; l’Hecce Homo, sempre del Nebbia; la Salita del Calvario, di Livio Agresti; la Crocifissione, attribuito a Guidonio Guelfi del Borgo; la Deposizione, attribuito a Giacomo Rocca, allievo di Daniele da Volterra; infine, nell’ultimo riquadro, la Resurrezione, di Marco Pino, tra i capolavori dell’Oratorio. La pala dell’altare maggiore, una Crocifissione, è di Roviale Spagnolo. Sulla parete d’ingresso una tela di Cesare Renzi con la Vergine protettrice dei membri della Confraternita è sovrastata dall’affresco del Re Salomone, dell’estroso Matteo da Lecce. Il soffitto ligneo reca incisioni delle le figure della Vergine e dei Santi Pietro e Paolo.
Dal 1960 l’Oratorio è affidato al Coro Polifonico Romano, ora presieduto da Emilio Acerna, che con lodevole impegno ha promosso il restauro dell’intero ciclo degli affreschi, curato qualche anno fa dalla Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Roma. L’Oratorio si presenta dunque in tutta la sua magnificente bellezza, un unicum singolare che per cinque secoli ha conservato l’integrità del prezioso complesso d’opere d’arte, fino a costituire un vero e proprio scrigno di tesori del Rinascimento. Il Coro Polifonico Romano da molti anni organizza prestigiose stagioni concertistiche, considerate tra quelle di maggior tradizione nella capitale. In questa straordinaria bomboniera d’arte, qual è appunto l’Oratorio del Gonfalone, e nella ricca Stagione del Cinquantenario, è inserito il concerto del violinista austriaco Rainer Honeck, accompagnato al pianoforte da Luisa Prayer, con un interessante programma incentrato sul violino virtuoso. Il concerto, dal particolare valore simbolico, è realizzato in collaborazione con l’aquilano Festival Internazionale di Musica “Pietre che cantano”, proprio per non dimenticare, in un luogo così dotato di testimonianze artistiche, l’arte abruzzese in pericolo dopo il terremoto, soprattutto in quei luoghi che fin dal suo nascere hanno ospitato i concerti del Festival e oggi, perché inagibili o distrutti, non lo possono più. Ospiti del Gonfalone, si diceva, sono dunque il violinista Rainer Honeck, konzertmeister dei Wiener Philharmoniker, accompagnato al pianoforte da Luisa Prayer, direttore artistico del Festival “Pietre che cantano”.
La presenza di Rainer Honeck è significativa: l’artista è infatti un punto di riferimento del Festival, avendo partecipato a quasi tutte le edizioni di “Pietre che cantano”, facendo vibrare il suono del suo Stradivari nelle belle chiese dell’Aquila e dei suoi borghi storici, molte delle quali oggi sono purtroppo fortemente danneggiate dal sisma e ancora in attesa di restauro. “Essere ospitati in una sede artisticamente così splendida come l’Oratorio del Gonfalone – ha dichiarato Luisa Prayer alla vigilia del concerto – oltre che un grande onore, è una grande gioia per noi di “Pietre che cantano”, perché di spazi così belli, come pure erano quelli che ospitavano i nostri concerti, siamo in questo momento dolorosamente privi, all’indomani del tragico terremoto che li ha colpiti e distrutti. Riascoltare uno dei nostri concerti in questa sede romana credo sarà una grande emozione per il pubblico aquilano e per gli amici che da Roma venivano a visitarci fino all’Aquila, a Ocre, e negli altri borghi storici. Di quei luoghi d’arte sentiamo tutti acutamente la mancanza e la generosa accoglienza del Gonfalone ci farà per questo ritrovare l’emozione unica dell’Arte che riveste la Musica e della Musica che fa risuonare l’Arte, aiutandoci a non dimenticare i monumenti abruzzesi, incoraggiandoci a non cedere di fronte alle enormi difficoltà che pone il recupero dei beni artistici ed architettonici danneggiati dal sisma del 2009.”
Il programma impaginato dai due artisti è d’eccezionale suggestione, con musiche di Mozart, Schubert, Saint- Saëns, Ďvorak e un compositore tutto viennese come Fritz Kreisler, con una piccola antologia di suoi pezzi originali o interessanti trascrizioni. “Siamo sotto Carnevale – ha precisato sul programma il maestro Honeck – e a Vienna la tradizione dei balli e delle maschere è ancora viva. Nel programma della serata, il mio violino, così come fu quello di Fritz Kreisler, indossa più d’una maschera, in una ideale passeggiata per le vie di quella città che, oltre ad essere capitale del Classicismo, fu un crocevia di popoli ed una porta verso l’Oriente. La musica a Vienna possedeva, all’epoca, uno stile popolare tutto suo, dal rubato caratteristico e capriccioso, che puoi apprendere solo attraverso il contatto diretto con la tradizione esecutiva, perché non trascrivibile. Suono ben volentieri e con grandissimi piacere a fianco della pianista romana Luisa Prayer, con la quale ho un sodalizio più che decennale e che in Austria ha compiuto parte importante del suo perfezionamento, nel ricordo dei tanti concerti eseguiti nelle splendide chiese d’Abruzzo”. Il programma della serata prevede la Sonata in mi minore KV 304, di Wolfgang Amadeus Mozart; il Rondo dalla Haffner Serenade (Mozart/Kreisler); il Duo in la maggiore op. post. 162-D 574, di   Franz Schubert;  Introduction et Rondo capriccioso, di Camille Saint- Saëns; quindi, di Fritz Kleiner, tre intriganti brani quali Kleiner Wiener Marsch, Caprice viennois, Tambourin chinois; poi Slawische Fantasie (Ďvorak/Kreisler) e infine, ancora Fritz Kreisler nella Danse espagnole.
Sono le nove di sera. Prima che il concerto inizi, il presidente del Gonfalone, Emilio Acerna, dell’evento richiama la rilevanza anche per gli aspetti simbolici. Rivolge poi il saluto alle personalità presenti. Tra queste, oltre all’Ambasciatore d’Austria, Christian Berlakovits, il presidente della Fondazione Cassa di Risparmio dell’Aquila, Roberto Marotta, il presidente della Deputazione Abruzzese di Storia Patria, Walter Capezzali, la dirigente delle Politiche Culturali della Regione Abruzzo, Paola Di Salvatore, il direttore del Conservatorio Musicale dell’Aquila, Bruno Carioti, oltre a numerosi rappresentanti del mondo della cultura, della musica e del giornalismo. Il presidente Acerna, sottolineando il significato della serata e della collaborazione con il Festival “Pietre che cantano”, privato dal terremoto di molti luoghi d’arte che accoglievano i suoi concerti, si è detto onorato d’ospitare un evento musicale di rilevante levatura, certamente di buon auspicio per la rinascita dell’Aquila e per il futuro delle sue valenze artistiche e culturali. La sala dell’Oratorio è colma, tutto esaurito. I  posti sono andati a ruba nelle prenotazioni dei giorni scorsi. Dall’Aquila un’apprezzabile delegazione di pubblico affezionato al Festival. Il concerto può cominciare. Luisa Prayer al pianoforte, abito lungo nero, e Rainer Honeck in frac con il suo prezioso Stradivari del 1714, proprietà – come alcuni altri strumenti del più grande liutaio al mondo che si ricordi – della Banca Nazionale Austriaca. Il concerto è una sequenza crescente di consensi, gli applausi contrappuntano i brani in programma, dove il raffinato virtuosismo di Honeck si sposa con l’intensa esecuzione al piano di Luisa Prayer, in un’intesa perfetta.
Si disegnano arabeschi d’emozioni, intrise di quello spirito viennese che contrassegna gran parte dei brani, come rivela il wiener blut (sangue viennese) di Fritz Kreisler (Vienna, 1875 – New York, 1962), celebre violinista e compositore, superbo virtuoso dalla profonda personalità artistica, oltre che dai giganti viennesi della storia della musica, quali Franz Schubert (Vienna, 1797 – Vienna, 1828) e Wolfgang Amedeus Mozart (Salisburgo, 1756 – Vienna, 1791). Per nulla viennese il brano di Camille Saint-Saëns (Parigi, 1835 – Algeri, 1921), uno dei più celebri del musicista parigino, “rappresenta uno dei primi esempi di quella contaminazione iberica che tanta parte ebbe nella musica francese”, scrive Diego Procoli nel programma di sala, “un volo vertiginoso fra altezze siderali e precipizi, che non rinuncia ad appassionate aperture liriche pur sotto l’incessante passo di un ritmo di habanera”. Il duo Honeck-Prayer racconta con efficacia queste sfumature e il violino di Honeck si esalta nell’impulso ritmico e nel virtuosismo pirotecnico, specie nei brani viennesi di Kreisler, come infine nella dolcezza malinconica tutta slava della Slawische Fantasie (Ďvorak/Kreisler) e nell’andamento misterioso della danza andalusa che il musicista austriaco trascrisse da un’opera di Manuel de Falla.
Una lunga ovazione accoglie i due artisti alla fine del loro concerto – consolidata l’affinità e complice la loro sensibilità – richiamati sul palco più volte. Un grande successo, indubbiamente, se si considera la buona mezz’ora di fila per salutare i due musicisti dopo il concerto: un Honeck cortese e molto sorridente, Luisa Prayer anche lei sorridente, ma con quegli occhi lucidi per l’emozione che esaltano la sua grazia. Molti altri occhi lucidi anche tra gli aquilani, commossi da un’esibizione splendida e dai molti richiami alla rinascita della città, per la quale questo evento costituisce una toccante testimonianza e una pietra angolare immateriale. “Pietre che cantano”,  il Festival dalla formula singolare nella capacità di coniugare buona musica, eccellenti artisti e alcune meraviglie dell’arte e dell’architettura nel capoluogo abruzzese e nei suoi borghi, evoca adesso nella sua locuzione il grido di dolore delle pietre crollate con il terremoto. Ma anche il desiderio e la speranza del ritorno all’antico splendore. E questo evento tenuto a Roma, con la partecipe adesione del Gonfalone, ha il merito di tenere intimamente legati i fili della cultura tra L’Aquila e la Capitale, mantenendo accesa la luce dell’attenzione sul dramma aquilano e sul ritorno della città al suo futuro.
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Rainer Honeck, nato nel 1961 a Nenzing (Austria), ha iniziato lo studio del violino a sette anni. Nel 1969 si è trasferito a Vienna per studiare alla Hochschule con Josef Drevo, Edith Bertschinger e Alfred Staar. Nel 1977 vince a Vienna il concorso “Jugend Musiziert” e riceve una borsa di studio dalla Fondazione Karl Bohm. Nel 1981 entra nell’Orchestra dei Wiener Philarmoniker, di cui è nominato Konzertmeister per l’Opera e la Filarmonica. Ha un’intensa attività di solista e di camerista, ospite di prestigiose istituzioni concertistiche e rassegne musicali, quali i Festival di Bregenz, Salisburgo e Schleiswig Holstein, in Germania, e in importanti centri musicali in Europa (Royal Albert Hall di Londra), in Giappone e negli Stati Uniti (Avery Fisher Hall, New York). Si è esibito anche come solista con i Wiener Philarmoniker, sotto la direzione di Riccardo Muti e Mariss Jansonss. Con i Wiener eseguirà in maggio 2011 il Concerto per violino di Berg, nella sala del Musikverein di Vienna. Come solista e direttore è stato ospite della svedese Malmo Symphony Orchestra e della giapponese Nagoya Philarmonic Orchestra. Nella sua discografia figurano concerti di Dvorak, Mendelssohn, con la Filarmonica Ceca di Praga, le opere per violino e pianoforte di Franz Schubert e molte altre composizioni cameristiche. Dal 1982 è direttore dei Wiener Streichsolisten e dal 2000 Primo violino dell’Ensemble Wien, a capo del quale ha tenuto concerti in prestigiosi auditorium in tutta Europa e in Giappone. Numerose le sue registrazioni radiofoniche e televisive in diversi Paesi. Rainer Honeck suona uno Stradivari del 1714, di proprietà della Banca Nazionale Austriaca.
Luisa Prayer, nata a Roma, si è diplomata al Conservatorio di S. Cecilia sotto la guida di Annamaria e Sergio Cafaro e alla Holchschule Mozarteum di Salisburgo con Gilbert Schuchter. Ha conseguito il diploma di perfezionamento in musica da camera all’Accademia Nazionale di S. Cecilia. Perfezionatasi con Bruno Canino e Valentino Berlinsky, ha seguito all’Accademia Chigiana le masterclass di Riccardo Brengola, Paul Badura Skoda e Rudolph Buchbinder. E’ stata invitata da Gerhard Oppitz ai corsi d’interpretazione beethoveniana della Fondazione Kempff di Positano. La pianista ha all’attivo un’estesa attività concertistica, come solista e camerista. Ha tenuto concerti in Italia, dove ha registrato per la radio e la televisione, e in molti Paesi europei, negli Stati Uniti, in Giappone, Cina e Taiwan. Ha partecipato al Newport Music Festival (Usa), al Festival Orlando di Kerkrade (Olanda), al Moon Beach Okinawa Music Festival (Giappone) ai Mendelssohn Tage di Cracovia (Polonia), ai festival di Pontino e Ravello, in Italia. Ha inciso le Sonate di Brahms per pianoforte e violoncello con Luigi Piovano (Vermeer, Milano 2001) e quelle per pianoforte e clarinetto con I-Nin Lee (Decca Records, Taiwan 1995) e la prima edizione integrale delle liriche per voce e pianoforte di Martucci (Tactus, Milano 2006). E’ docente di musica da camera al Conservatorio Musicale “Alfredo Casella” dell’Aquila. Nel 2000 ha fondato il Festival Internazionale di Musica “Pietre che Cantano”, di cui cura la direzione artistica.
Goffredo Palmerini

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