La Libia è ormai un inferno, con oltre mille morti a Tripoli, durante i bombardamenti sulla folla di manifestanti scesi in piazza per protestare contro il regime. Secondo l’International Federation for Human Rights (Ifhr), sono circa una decina le città in mano agli insorti. Oltre a Bengasi, i ribelli hanno il controllo di Sirte e Torbruk, Misrata, Khoms, Tarhounah, Zenten, Al-Zawiya e Zouara. La pista dell’aeroporto di Bengasi è stata distrutta dai bombardamenti e gli aerei non possono decollare né atterrare. E mentre l’Egitto aumenta le guardie di frontiera, la Lega araba convoca una riunione straordinaria, mentre a Nalut, pochi chilometri dalla Tunisia, i manifestanti hanno bloccato l’afflusso di gas verso l’Italia, chiudendo il gasdotto che passa per la loro provincia. Nel pomeriggio di oggi Eni ha confermato di aver chiuso il gasdotto di Green Stream, condotta che trasporta 9,2 miliardi di metri cubi di gas verso l’Italia e sempre sul fronte energetico è giunta notizia, confermata da fonti del nostro governo, del blocco dei terminali libici del petrolio. L’ambasciatore libico a Parigi e il rappresentante di Tripoli presso l’Unesco si sono dimessi nel primo pomeriggio di oggi e sono diversi gli esponenti politici che si sono schierati con i dimostranti, così come anche molti militari, funzionari della polizia e semplici agenti. Anche le potenti Tribù del deserto hanno tolto la fiducia al dittatore e si sono schierate con il popolo in rivolta. Ieri Gheddafi è apparso alla tv di stato, in una conferenza ripresa dall’emittente satellitare Al Arabiya, per smentire le voci circolate che lo davano in fuga. “Vedrò i giovani in Piazza Verde. Per dimostrare che sono a Tripoli e non in Venezuela, e smentire le televisioni, questi cani”, ha detto il colonnello, ripreso nella sua residenza di Bab Al Aziziya, a Tripoli. Le immagini diffuse dall’emittente libica hanno mostrato Gheddafi, in cappotto, che sale su un’automobile, con un ombrello in mano per proteggersi dalla pioggia, davanti alla sua residenza-caserma di Bab Al Aziziya. Il ministro degli Esteri britannico, William Hague, aveva dichiarato, ieri pomeriggio, a margine di un vertice a Bruxelles, che il colonnello era fuggito in Venezuela. Pare che Gheddafi abbia intenzione, oggi, di annunciare in tv vaste riforme, ma al contempo anche la fermezza a resistere ad ogni costo. E poiché la situazione in Libia fa temere un incremento dei flussi migratori già insostenibili verso le nostre sponde, il leader della Lega, Umberto Bossi, dopo aver chiamato in causa l’Europa davanti al rischio che sulle nostre coste possano giungere ondate di libici in fuga dalla crisi esplosa nel paese ha detto: “Aspettiamo ordini dalla Ue. Intanto non sono arrivati e speriamo non arrivino. Se arriveranno li mandiamo in Francia e in Germani”. Insomma, alla vigilia del vertice convocato stasera da Silvio Berlusconi a palazzo Chigi, per decidere la strategia italiana sulla crisi, il Carroccio pianta i suoi soliti paletti. Domani, il ministro dell’Interno Roberto Maroni riunirà nella capitale i colleghi di Cipro, Francia, Grecia, Malta e Spagna per valutare la situazione di instabilità che sta investendo l’area del Mediterraneo. Un primo tentativo, insomma, di muoversi insieme rispetto a uno scenario dagli sviluppi difficilmente prevedibili. L’obiettivo della riunione, che si svolgerà nella palazzina Algardi di Villa Doria Pamphili, è quello di sostenere la posizione espressa dall’Italia in seno all’Unione Europea e affermare una linea comune in vista del Consiglio Giustizia Affari Interni in programma giovedì prossimo a Bruxelles. A chiudere invece la porta all’ipotesi ventilata dal leader dell’Udc di gestire in modo comune la crisi, è il segretario democratico Pierluigi Bersani, che dice: “Non è questione di tavoli. Ciascuno faccia il suo mestiere per bene. Vanno bene il dialogo e la collaborazione e la sede giusta è il Parlamento. Ma non va bene la confusione di compiti perché noi non abbiamo condiviso quanto è stato fatto sin qui”. Intanto Reuters, riferendo una fonte dell’autorità che gestisce il canale di Suez, ci dice che oggi due navi militari iraniane hanno lasciato il canale egiziano e sono entrate nel Mediterraneo, con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu che ha definito il fatto “una grave iniziativa”, il passaggio delle due prime imbarcazioni iraniane dalla rivoluzione Islamica del 1979. In realtà, ci informa Radio Vaticano, il passaggio delle due navi, una fregata ed una nave di approvvigionamento, è stato autorizzato dal Consiglio militare al potere in Egitto dall’11 febbraio, dopo la cacciata di Mubarak. Una scelta diplomatica non semplice per il giovane governo ad interim: il Cairo è un alleato degli Stati Uniti, ha un trattato di pace con Israele e le sue relazioni con l’Iran sono tese da oltre tre decenni. A tal proposito di Israele, ha parlato subito di “grave provocazione” e, al momento si è pronunciato un portavoce del Ministero israeliano degli esteri: che ha chiarito: “è provocatoria, senza precedenti e rappresenta una sfida alla comunità internazionale”. Il sospetto è che il regime di Teheran stia cercando di sfruttare la situazione di confusione vigente in Egitto per colmare il vuoto di potere venutosi a creare ed espandere in questo modo la propria influenza su un Paese storicamente amico di Israele.
Carlo Di Stanislao
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